«Un libro di racconti. Camas mi ha chiesto di leggerlo, e di annotare i riferimenti con la storia del ventaglio.»
«La cosa?»
«La città-ombra. In attesa di quella che lui chiama ‘la trasformazione’. Crede che sia una cosa vera.»
Ducon la guardò in silenzio, con un’espressione che lei non riuscì a decifrare. «E tu?»
«Non saprei. Come si fa a saperlo? Se è una cosa accaduta davvero, nessuno la ricorda. Eppure si può vederne la storia in tutti quei libri. Scivola fuori senza che nessuno se l’aspetti, come il sole in un giorno nuvoloso, un bagliore di luci attraverso il mondo. E poi se ne va. Ma non abbandona il tuo cuore altrettanto in fretta. Il cuore ricorda. E così il racconto si fa strada nella storia.»
Lui la stava ancora guardando. Lydea vide la luce passargli negli occhi trasformandoli in argento, e infine lasciarli di nuovo freddi, metallici. «Strano», sussurrò lui. Poi ritrovò la voce. «Forse è questo che è successo a Camas Erl.»
«Cosa?»
«È stato trasformato.»
«Ducon…» Le mani di lei, ancora strette insieme, erano gelide. «Ho molta paura.»
«Sì.» Hai motivo di averla , le disse il volto di lui. Le si avvicinò e le prese le mani. Anche le sue non erano troppo calde, ma la voce suonò meno lontana. «Tu», disse dolcemente, «sei l’insegnante del principe, e la maestra Spina è una donna forte e capace. È in lei che Kyel ha riposto il suo cuore, e lei non deve cederlo a nessuno.»
«Dove vai?» volle sapere Lydea. «Cosa vai a cercare?»
Ma lui non rispose.
Poco più tardi Ducon la raggiunse in biblioteca, e insieme aspettarono l’arrivo della reggente e del principe. Con labbra così strette che la sua bocca sembrava quella di una tartaruga, la Perla Nera gettò lì alcune secche osservazioni sull’assenza di Camas Erl. Lydea si aspettava che l’atmosfera temporalesca intorno a lei rombasse di tuoni e crepitasse di fulmini da un momento all’altro. Con suo sollievo la donna non si trattenne. Doveva occuparsi di affari urgenti, disse a Ducon, esasperata: lui sarebbe rimasto lì a far lezione a Kyel, e poi avrebbe continuato a cercare Camas.
Non appena restarono soli, Lydea sedette accanto al principe, lo salutò nel loro modo privato e fu ricompensata nel veder sorgere il sole del riconoscimento nei suoi occhi. Quando si voltò a cercare Ducon con lo sguardo, si accorse che era già uscito.
La maestra Spina proseguì la lezione con calma; Kyel non notò nessun nervosismo in lei. Ma quando, dopo circa un’ora, la ragazza passò dalla calligrafia alla storia, lo sentì diventare inquieto. La sua non era la voce della storia, e Ducon era l’altra solida roccia a cui Kyel poteva aggrapparsi nella corrente ostile della sua vita. Si voltò verso il tavolo alle loro spalle, dove il giovane sedeva a disegnare quando aspettava che loro due finissero l’ora di calligrafia. Poi la guardò e con strana calma disse: «È Ducon che mi insegna storia».
«Ducon ha altro da fare, mio signore. Oggi il tuo tutore sono io. La cosa ti dispiace?»
Lui scosse il capo, senza mostrare nessun dispiacere, e le si accostò, per guardare il libro dal quale leggeva e seguire il suo dito che scivolava da una parola all’altra.
Ducon fece ritorno così in silenzio che lei non si accorse della sua presenza finché, lottando su un elementare calcolo matematico che li stava costringendo a contare sulle dita, si guardò attorno come a supplicare disperatamente qualcuno.
Lui era lì che leggeva, con le lunghe gambe accavallate, un gomito posato sul tavolo e una mano sulla fronte per ombreggiarsi gli occhi da un raggio di luce.
Lydea si sentì sciogliere per il sollievo. Tornò a essere la maestra Spina, impantanata in un groviglio di numeri, e aprì la bocca per chiedere il suo aiuto.
Dalla porta più lontana della biblioteca provenne l’eco di un passo. Un’ombra, simile a una figura senza volto, distesa sul lucido pavimento, attraversò la soglia. Lydea trattenne le parole in gola e la guardò. Ducon non si mosse, ma girò un poco la testa bianca e cambiò la posizione delle dita a cui posava la fronte. Dava le spalle alla porta, e lei lo vedeva di profilo, ma notò che si era irrigidito. Nonostante la sua posa languida era teso e attento. Chiunque si fosse avvicinato alla porta non entrò. L’ombra li osservò per un poco; Lydea guardò l’ombra.
Poi essa si volse e scomparve dopo un paio di passi, senza fretta. Kyel le toccò una mano. «Maestra Spina», disse con la cautela che aveva imparato per sopravvivere, «possiamo usare i pollici, per contare?»
«Io li uso sempre», annuì la maestra Spina. Guardò il principe che contava e poi intingeva la penna nel calamaio per scrivere il risultato: un uovo, con una coda ricurva sul dorso come quella di un cane. In quel momento una serie di passi rapidi fece ancora sussultare Lydea. La maestra Spina si volse con calma aggraziata, inarcando un sopracciglio, e ciò che vide fu Ducon che entrava dalla porta principale della biblioteca. Gli occhi di lei si spalancarono. La sua bocca dimenticò di respirare.
Ducon venne a fermarsi vicino a loro, accennò al libro rimasto aperto sul tavolo accanto e domandò: «Camas è tornato?»
No dissero le labbra di lei, senza suono. Con uno sforzo si alzò e ritrovò la voce. «Continua a fare pratica con i numeri, mio signore, mentre io parlo con tuo cugino.»
Ducon la seguì dall’altra parte della sala. Nel vedere l’espressione tesa di lei si rabbuiò in viso. «Che succede?» le domandò.
«Qui c’era qualcuno», mormorò lei.
«Qualcuno chi?»
«C’eri tu», rispose lei, con un tremito. «Stavi a quel tavolo, e leggevi.» Ducon passò il libro nell’altra mano e le strinse un braccio. «E poi qualcun altro ha cercato di entrare. Chiunque fosse, ti ha visto seduto là, e se n’è andato.»
Lydea lo vide diventare pallido come un morto. Le lasciò il braccio e andò a sedersi al tavolo. Cercò di parlare, deglutì, poi all’improvviso i suoi occhi s’inumidirono e lei vide con sorpresa che stava piangendo.
«Quello non ero io», sussurrò Ducon.
«Sembravi tu.»
«Lo hai visto chiaramente in faccia?»
«No. Tu avevi… lui aveva una mano sugli occhi.» Lydea si sentì chiudere la gola, senza capire il perché. «Ducon, chi era quell’uomo?»
«Una delle facce uscite dal mio carboncino. L’ho visto per la strada; l’ho visto in sogno. L’ho visto nella tenebra assoluta, nel cuore dei passaggi segreti del palazzo. Sul confine tra la luce e l’ombra.»
«Lui è te?» domandò lei, incredula.
«No. Se si fosse lasciato vedere in faccia, avresti intuito, anche senza conoscerci entrambi, che potrebbe essere mio padre.»
Lei spalancò gli occhi. Sentì l’incantesimo che le proteggeva il viso diventare fragile come una ragnatela. Ducon la toccò, con un’occhiata d’avvertimento. Subito lei unì le mani davanti all’addome, e la sua maschera quieta tornò a prendere il sopravvento sul suo vero volto.
«Nobile Ducon», disse sottovoce, «forse dovresti mostrare al principe in che posizione tuo padre potrebbe trovarsi, sull’albero genealogico della famiglia.»
«Per trovare la posizione di mio padre, maestra Spina», rispose lui, un po’ scosso, «credo che ci sarebbe bisogno ci un diverso albero genealogico.»
Quando la reggente venne a prelevare il principe, trovò tutto come si aspettava: Ducon occupato a condurre Kyel attraverso una complicata regola grammaticale, e la maestra Spina seduta a leggere dall’altra parte della sala, in attesa di essere messa in libertà.
Quando uscì, la ragazza portò un libro con sé. Era quello che il misterioso sconosciuto aveva cominciato a sfogliare prima di sparire: un’antologia di racconti per bambini. Sembrava una strana scelta, per un uomo che aveva viaggiato tra i mondi in risposta alle necessità di suo figlio. Il padre di Ducon , pensò, perplessa. Il mistero non risolto della corte di Ombria. Chi era costui, nel suo mondo? E come aveva fatto la sorella di Royce a risvegliare la sua attenzione, ad attirarlo oltre l’elusivo confine tra la luce e l’ombra e il tempo? O era stata lei ad andare da lui?
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