Attese senza scendere di sella, mentre l’uomo spariva nell’interno. Attraverso l’arcata di pietra poté vedere che il vasto cortile era vuoto. Perfino il fuoco nella bottega del fabbro era spento; non c’erano animali da cortile, non un bambino che giocava fra le ceste e i carretti; il solo rumore continuava ad essere l’incessante abbaiare della lontana muta di segugi. Hallard riapparve camminando a passi lunghi, con un oggetto tondeggiante avvolto in una lunga pezza di elegante velluto rosso. Glielo consegnò senza pronunciar parola. Lei svolse un lembo del tessuto, gettò una rapida occhiata a quel macabro reperto biancastro e all’oggetto d’oro che sembrava incuneato in esso, e poi disse: — C’è ancora un’altra cosa che desidero.
— Che succederà, se quella lì non è la sua testa? — la interrogò lui. — Si raccontano tante favole, e a quei tempi gli inganni si sprecavano.
— Sarà meglio che sia la sua — sussurrò. — Ho bisogno d’una collana di perle di vetro. Puoi trovarmene una?
— Perle di vetro! — L’uomo si coprì gli occhi con una mano ed emise un mugolio simile a quelli dei segugi. Poi si volse bruscamente e tornò in casa. Stavolta restò assente più a lungo, e quando riapparve la sua espressione era ancor più infastidita e disgustata. Da un dito gli penzolava una semplice collanina a un sol giro di perline biancastre, del tipo che i mercanti regalavano alle ragazzotte e alle mogli dei contadini per ingraziarsi i campagnoli. Gliela fece oscillare davanti al viso. — Farà un bell’effetto sulle ossa di Farr! — borbottò. Poi, mentre lei allungava una mano per prenderla, la afferrò per il polso. — Fammi un favore — mormorò. — Io ti ho dato il teschio. Adesso vieni in casa mia, e resta fuori da ogni pericolo. Io non posso lasciarti cavalcare da sola attraverso Hel. In questo momento tutto sembra calmo, ma quando cala la notte non c’è uomo che non tremi dietro la sua porta sbarrata. Là fuori, nelle tenebre, tu saresti sola col nome che porti contro tutto l’odio scatenato degli antichi nobili di Hel. E i ridicoli poteri che puoi aver ereditato non basteranno a difenderti. Te lo chiedo per favore.
Lei si divincolò dalla sua stretta, fece indietreggiare il cavallo. — In tal caso metterò alla prova i poteri che mi vengono da un’altra eredità. E se non dovessi tornare indietro, non importerà nulla.
— Raederle!
La ragazza ebbe l’impressione che il suo nome echeggiasse per tutte le terre di lui, vibrando fin nelle profondità dei boschi e nei più segreti nascondigli. Spronò via il cavallo al galoppo, per allontanarsi dalla casa prima che lui avesse il tempo d’inseguirla. Scese fino al fiume che aggirava i campi meridionali, dove il grano ancora verde appariva schiacciato al suolo e sconvolto, e si trovò di fronte le vecchie tombe degli antenati di Hallard, tumuli erbosi dalle porte di pietra affondate nel terreno, che adesso si mostravano devastati e squarciati come gusci d’uovo. Con un colpo di redini arrestò il cavallo dinnanzi a quello spettacolo. In quelle fosse di nera terra rivoltata erano visibili fondazioni e pareti semidistrutte, e il pallido luccichio di ricche armi antiche che nessun uomo vivente avrebbe osato toccare. Girò lo sguardo attorno. I boschi erano un sipario immobile; il cielo estivo si stendeva azzurro e tranquillo su tutta An, salvo ad occidente dove una fila di nubi si addensava scura sulla foresta di querce. Fece girare ancora il cavallo e spinse lo sguardo sull’immensità dei campi sussurranti. A bassa voce disse nel vento: — Farr, io ho la tua testa. Se la vuoi, per deporla col resto delle tue ossa sotto la terra di Hel, allora vieni a prenderla!
Trascorse il resto del pomeriggio raccogliendo legna, sul bordo della boscaglia a poca distanza dai sepolcri. Mentre il sole scendeva sotto l’orizzonte accese il fuoco, e poi tolse il cranio dall’involto di velluto. Era ingiallito dai secoli e dalla fuliggine, e la corona d’oro che qualcuno vi aveva calcato attorno sembrava inchiodata alla fronte e all’occipite. I denti, notò, erano intatti nella stretta delle mandibole chiuse ermeticamente. Pur vuote le cavità orbitali erano profonde, e in qualche modo le comunicavano la furia con cui quel Re, sconfitto ma non sottomesso, aveva dovuto piegare il capo alla spada di Oen. La luce del fuoco creava increspature d’ombra in quelle orbite, e sentì un groppo in gola. Aprì al suolo la pezza di velluto rosso, e poggiò il teschio a un’estremità di essa. Fatto ciò si tolse di tasca la collana di perle di vetro, la fissò finché essa divenne un’immagine nella sua mente, e vi plasmò sopra il suo nome. Poi la lasciò cadere nel fuoco. All’istante tutto intorno nacquero magici bagliori perlacei, mentre la collana si mutava in un circolo di grosse lune opalescenti che circondavano il fuoco, il teschio, il suo spaventato cavallo e lei stessa.
Al sorgere della luna sentì che le mandrie di bovini nei recinti di Hallard cominciavano a muggire. Dalle fattorie lontane oltre i boschi si levarono gli ululati lamentosi dei cani, che ben presto divennero un coro allarmante e interminabile. Qualcosa che non era il vento sussurrò fra le querce, e Raederle curvò istintivamente le spalle sentendoselo passare sopra la testa. Il cavallo, che s’era accovacciato al suolo accanto a lei, si alzò di scatto con un tremito violento. Cercò di parlargli per calmarlo, ma le parole le morirono in gola. Nel profondo della boscaglia era nato un forte scalpore, e gli animali che fin’allora erano stati immobili nel silenzio cominciarono a fuggire e a volar via davanti ad esso. Un cervo sbucò ciecamente dalla vegetazione, scalpitò e indietreggiò nel trovarsi dinnanzi il misterioso e lampante circolo di sfere perlacee, girò su se stesso e schizzò via verso i campi aperti. Piccoli roditori, volpi e donnole emersero dal buio e fuggirono disperatamente passandole attorno, seguiti da uno schianto di tronchi e di vegetazione sfondata che s’avvicinava e da un selvaggio, ultraterreno muggito il cui eco rombò fra gli alberi come un tuono. Raederle tremava e i suoi pensieri erano pagliuzze disperse dal vento; con mani gelide aggiunse rami su rami al fuoco finché le grandi perle intorno a lei rosseggiarono nei riflessi delle fiamme. Con uno sforzo di volontà impedì a se stessa di bruciare in una sola volta tutto il legno accumulato, poi sedette accanto al fuoco e si premette le mani sulla bocca, quasi temendo che il suo cuore potesse balzarne fuori, e ad occhi sbarrati attese che l’incubo scaturisse dalle tenebre.
Quando esso apparve, aveva le sembianze del grande Toro Bianco di Aum. L’enorme animale, che Cyn Croeg amava come Raith di Hel amava i suoi maiali, emerse dalla vegetazione galoppando pesantemente verso il fuoco, ed era pungolato e guidato da cavalieri che lo attorniavano in sella ad animali sfiniti, malconci, dagli occhi folli. Armati di lunghi bastoni gli uomini colpivano e incitavano il loro toro in corsa, gridando, strattonando da una parte e dall’altra le loro cavalcature. Coperto di sangue e di sudore, il muso massiccio striato di bava, gli occhi rossi strabuzzati dal terrore, il toro passò così vicino al circolo creato da Raederle che lei poté sentire l’odore acre della sua paura e leggergli la follia nelle pupille. Mentre deviava per evitare il fuoco, i cavalieri che si sforzavano di affiancarlo ignorarono completamente la presenza di Raederle; ma non così l’ultimo di essi, che girandosi a sogghignare verso di lei le consentì di vedere la bianca cicatrice che gli segnava il volto e terminava in un occhio bianco e senza vita.
Tutti i rumori che le stavano risuonando attorno parvero concentrarsi in un unico punto dentro la sua testa, e si domandò vagamente se era sul punto di svenire. Il muggito del toro in distanza la indusse a riaprire gli occhi. Riuscì a vedere l’animale, gigantesco e color cenere nel pallore lunare, che galoppava a testa bassa attraverso i campi di Hallard. All’apparenza i cavalieri, figure nere e biancastre in preda a una spietata agitazione, sembravano decisi a spingerlo dritto verso il portone chiuso del cortile di Hallard. In un improvviso lampo d’intuizione comprese che la loro intenzione era quella di farlo ammazzare là contro il muro di cinta, per lasciarlo come un regalo alla porta di Hallard: l’enorme carogna di un toro, tanto per dargli il problema di spiegare la cosa al Nobile di Aum. Brevemente si chiese cosa stesse accadendo ai maiali di Raith. Ma non ebbe il tempo di rispondersi, perché il suo cavallo nitrì, e nel volgersi con un ansito si trovò faccia a faccia con la furia di Re Farr di Hel.
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