— Che cos’era quello? — Pur senza suono la voce di Farr fu rauca e bassa nella testa di lei.
Inaspettatamente captò i pensieri dello spettro e seppe che stava per sbalordirlo. Rispose: — Quello era colui contro il quale tu proteggerai il Portatore… lo straniero.
— Quel mago?
— Quel mago. — Dopo un istante aggiunse: — Lui spegnerebbe la tua furia come una candela se capisse cosa stai facendo, e di te non resterebbe davvero altro che ossa sparse e vecchi ricordi. Sei sempre tanto deciso a riprendere il tuo teschio, adesso?
— Lo voglio — ringhiò lui. — O qui oppure ad Anuin, strega. Fai la tua scelta.
— Io non sono una strega.
— Cosa sei allora tu, con quegli occhi pieni di fuoco?
Lei rifletté un poco. Poi si limitò a rispondere: — Io sono senza nome. — E quelle parole le riempirono la bocca di un sapore amaro e triste. Tornò a dedicarsi al fuoco, vi aggiunse, altra legna, e i suoi occhi seguirono il disordinato volo delle scintille che fluttuavano a spegnersi nell’aria. Poi sollevò ancora due fiammelle, stavolta una su ogni mano, e cominciò lentamente a plasmarle.
Durante quell’interminabile notte fu interrotta più volte: dalla fuga del bestiame rubato a Hallard Albanera, che muggiva terrorizzato attraversando i campi di grano; dal sopraggiungere di uomini armati che si radunarono intorno a Farr, e dall’urlo di rabbia che l’uomo le fece esplodere nella mente allorché essi risero di lui; e quindi dal clangore delle spade che si levò fra di loro. A un certo momento sollevò lo sguardo e vide soltanto le sue nude ossa in sella al cavallo, bianche nei riflessi del fuoco; poco più tardi vide invece che l’uomo si teneva la testa sottobraccio, come un elmo, e l’espressione di lui restò immutata mentre gli occhi della ragazza si spostavano a osservare lo spazio vuoto sopra il suo collo. Verso l’alba, quando la luna tramontò, aveva dimenticato Farr, aveva dimenticato ogni cosa. Era riuscita a plasmare le fiammelle in un centinaio di forme diverse, fiori che si aprivano e poi si disfacevano lentamente, e uccelli vivaci che dispiegavano le ali balzando dalle sue mani. Aveva dimenticato perfino la forma del suo stesso corpo: le mani, ondeggiavano e ardevano di luce liquida. Qualcosa d’indefinito e d’inatteso stava accadendo dentro la sua mente. Barlumi di poteri e di conoscenze elusive come il fuoco passavano sullo schermo dei suoi pensieri, quasi che avesse destato in sé memorie facenti parte della sua ereditarietà. Facce ed ombre, irriconoscibili, nascevano e svanivano prima che avesse il tempo di sondarle. Intravide strane piante, sentì sussurranti linguaggi marini fluttuare oltre la portata del suo udito. Un vuoto nelle profondità del mare, o nel cuore della terra, tagliò un varco nella sua mente; vi spinse lo sguardo con curiosità, senza timore, troppo presa nei suoi giochi di fiamma per chiedersi che oscuro pensiero fosse. Creò una lontana stella di fuoco anche in quella cava immensità sconfinata, e mentre quel buio fremeva subito sentì che non era un vuoto, bensì un groviglio di memorie e di poteri ancora oltre l’orlo della sua consapevolezza.
Quel miscuglio di sensazioni-rivelazioni causò in lei l’anelito di tornare al semplice caos di An. Stanca di viaggiare dentro se stessa cercò di riposare un poco. Sui campi di Hallard scivolava la nebbia del mattino; l’alba color cenere si espandeva fra gli alberi senza che un solo cinguettio la salutasse. Tutto ciò che restava del suo fuoco notturno era un mucchietto di rami carbonizzati. Si stiracchiò rigidamente, insonnolita, e fu allora che scorse con la coda dell’occhio una mano che si protendeva verso il teschio.
Svelta creò intorno alle ossa di quel cranio un’illusione di fuoco che scaturì dalla sua mente e lingueggiò alto; Farr balzò subito indietro. Lei raccolse il teschio, e si alzò, fronteggiandolo. L’uomo sibilò: — Tu sei fatta di fuoco…!
La ragazza lo sentiva ancora nelle dita infatti, scorrerle sotto la pelle e su fin nel cuoio capelluto. Con voce rotta per la stanchezza domandò: — Hai riflettuto abbastanza? Qui non troverai mai Oen, le sue ossa giacciono nel Cimitero Reale fuori dalle mura di Anuin. Se riuscirai a sopravvivere al viaggio, potrai prenderti laggiù la tua vendetta.
— E tu tradisci la tua stessa famiglia?
— Vuoi darmi la tua risposta? — gridò irritata. Lo vide tacere indeciso. Ancor prima che parlasse capì che avrebbe ceduto, e sussurrò: — Giura sul tuo nome. Giura sulla corona dei Re di Hel che né tu né nessun altro toccherà me o questo teschio finché non avrai oltrepassato la soglia della reggia di Anuin.
— Te lo giuro.
— Giura che riunirai i Re nel tuo cammino attraverso Hel, per trovare e proteggere la forma usata dallo straniero che viaggia fino ad Anuin, contro tutto ciò che vive e tutto ciò che è morto.
— Lo giuro.
— Giura che non dirai a nessuno, salvo ai Re di Hel, cosa ti sei impegnato a fare.
— Lo giuro. Sul mio nome, su tutti i Re di Hel e su questa corona.
In piedi accanto al suo cavallo nella luce dell’alba, con il sapore acre della sottomissione sulle labbra, l’uomo sembrava quasi vivo. Lei trasse un profondo sospiro. — Benissimo. Io giuro sul nome di mio padre e sul nome dell’uomo che scorterai che quando lo vedrò nella dimora del Re di Anuin ti restituirò il tuo teschio, e non chiederò altro da te. Ogni legame fra noi sarà sciolto. L’unica cosa in sovrappiù che ti chiedo è di farmi sapere quando lo troverai.
Lui annuì brevemente. I suoi occhi si fissarono nel vuoto e derisorio sguardo del teschio. Poi si volse e montò a cavallo. Dall’alto della sella la osservò ancora un istante, e lei vide che aveva un’espressione incredula. Subito dopo si volse e spronò il cavallo, scomparendo fra gli alberi più silenzioso di una foglia spinta dal vento.
Da lì a poco, mentre s’allontanava a cavallo dal limite dei boschi, la ragazza incontrò Hallard Albanera e i suoi uomini che s’avventuravano sui campi più bassi per contare le perdite fra il bestiame. L’uomo la attese in silenzio, e quando riuscì a farsi uscire di bocca la voce essa fece un sussurro stanco.
— Per la mano destra di Oen! Sei proprio tu, o sei un fantasma?
— Non te lo so dire. Il toro di Cyn Croeg è morto?
— Gli hanno fatto sputare la vita… Vieni in casa. — Alla luce del giorno i suoi occhi stavano finalmente ritrovando vita, ma erano ancora a metà preoccupati e a metà spaventati. Alzò una mano a toccarle una spalla, esitante. — Vieni dentro. Sembri… hai l’aria di…
— Me lo immagino. Ma non posso. Devo andare ad Anuin.
— Adesso? Aspetta almeno che ti dia una scorta.
— Ne ho già una. — Lo vide abbassare lo sguardo sull’involto del teschio appeso alla sella e deglutire a vuoto.
— Lui è venuto a cercarlo?
Gli sorrise appena. — È venuto. Ho fatto un patto con lui…
— Per il sangue… — L’uomo non nascose un brivido. — Farr non è mai venuto a patti con nessuno. Cos’hai mercanteggiato con lui? La salvezza di Anuin?
Lei sospirò. — Ebbene, no, non esattamente. — Si tolse di tasca la collanina annerita e gliela restituì. — Ti ringrazio. Senza di questa non avrei potuto sopravvivere.
Quando poi si chinò per aprire il cancello di legno, in fondo al campo, si volse e lo vide fermo accanto al corpo di un vitello, con gli occhi ancora fissi su quella manciata di perline annerite e incrinate.
Attraversò Hel da nord a sud fin quasi all’altezza delle terre di Raith, seguita da un’invisibile scorta di Re che pian piano s’ingrossava. Poteva sentirne la presenza intorno a sé, e con la sua mente cercò le loro finché essi le rivelarono i loro nomi: Acor, terzo Re di Hel, che un po’ con la forza e un po’ con la persuasione aveva portato sotto il suo controllo gli ultimi nobili indipendenti del territorio; Ohroe il Maledetto, che aveva visto sette dei suoi nove figli cadere in sette battaglie consecutive fra An e Hel; Nemir dei Maiali, che sapeva parlare sia nella lingua degli uomini che in quella dei porci, aveva allevato il maiale di nome Hegdis-Noon e aveva avuto come guardiana dei porci la strega Madir; Evern il Falconiere, che aveva addestrato falchi per usarli in battaglia contro gli avversari; e altri che come Farr aveva giurato erano tutti sovrani, e che avevano acconsentito di aggregarsi a lui, l’ultimo dei Re di Hel, nel suo viaggio verso la roccaforte dei Re di An. Talvolta le accadde di vederli; spesso li udiva trottare davanti e dietro a lei, e sentì che le loro menti si univano scambiandosi pensieri, progetti, leggende, complotti, ricordi di ciò che era stato Hel durante la loro vita e dopo la loro morte. Essi erano tuttavia ormai legati alla terra di An, assai più di quanto loro stessi credessero; le loro menti scivolavano sovente in pensieri sorprendentemente inumani, pensieri che corrispondevano alle forme di vita in cui i loro corpi avevano finito per assimilarsi: radici, foglie, insetti, perfino piccoli animali. Ed era proprio attraverso questa profonda conoscenza di An, intuì Raederle, che essi avevano potuto riconoscere e identificare il Portatore di Stelle, l’uomo nella cui forma non era compresa alcuna delle essenze intime di An.
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