L’avevano trovato quasi subito. Farr aveva rotto il silenzio per informarla, e lei non aveva voluto domandare quali sembianze egli avesse assunto. I Re seguirono il suo cammino standogli attorno, non troppo vicini, e Raederle immaginò con quale batticuore da parte sua allorché sui prati immersi nel lucore lunare avvertiva la loro spettrale presenza, o vedeva un uccello involarsi spaventato, o un topo di campo fuggire fra le stoppie. Aveva capito che lui non osava mantenere la stessa forma a lungo, e fu sorpresa nel constatare che ciò malgrado i Re non perdevano mai le sue tracce. Essi erano però un richiamo per la mente gravida di potere oscuro di cui lei aveva avuto una breve visione, e che si aggirava in quella terra. Nessun uomo di An, e certamente nessuno straniero, avrebbe potuto passare fra di loro inosservato; e il mago, rifletté, indubbiamente scandagliava ogni essere umano da essi incontrato. A sorprenderla ci fu anche il fatto che, sebbene cavalcasse da sola in quelle zone poco tranquille, lui non si avvicinasse a minacciarla. Forse, pensò, nel vederla portarsi dietro un teschio appeso alla sella e accamparsi a dormire nei boschi ignorando del tutto ogni pericolo, il mago aveva deciso che era soltanto una povera pazza.
Evitò di accostarsi ai contadini, cosicché non poté avere notizie di come e dove si estendevano i disordini; ma ovunque vide campi in cui nessuno si avventurava al lavoro, fattorie e granai chiusi e sorvegliati, e nobili che viaggiavano verso Anuin scortati da molte guardie armate. Sapeva che gli umori dei popolani e dei fattori dovevano esser stati inaspriti dalle continue molestie, e che entro breve tempo avrebbero trasformato le loro case in piccole fortezze, richiudendosi in se stessi, isolandosi, e che avrebbero accolto con le armi puntate qualsiasi viandante o sconosciuto. La sfiducia e la rabbia causate dall’assenza del Re sarebbero sfociate in scontri armati, in una guerra a cui avrebbero partecipato i vivi e i morti, tale che neppure Mathom sarebbe riuscito a riprenderla sotto controllo. E in quanto a lei, conducendo ad Anuin i Re di Hel avrebbe potuto far precipitare ancora gli eventi.
La ragazza pensò molto a questi fatti, specialmente la notte allorché distesa accanto al teschio era incapace di chiudere gli occhi. Cercò di prepararsi a quanto la attendeva esplorando i suoi poteri, ma aveva scarsa esperienza su cui basarsi. Era oscuramente conscia di ciò che poteva esser capace di fare, dei poteri intangibili come ombre chiusi in fondo alla sua mente, poteri che ancora non riusciva ad afferrare ed a controllare. Ad Anuin avrebbe fatto quel che avrebbe potuto fare; Morgon, se fosse stato in condizioni di affrontare il rischio, l’avrebbe aiutata. Forse Mathom sarebbe ritornato; forse i Re si sarebbero ritirati da Anuin senza radunare il loro esercito. Forse lei avrebbe trovato qualcos’altro da barattare con loro. Sperava che Duac, almeno in una certa misura, avrebbe capito. Ma ne dubitava.
Arrivò ad Anuin nove giorni dopo la sua partenza dalle terre di Hellard. I Re cominciarono ad apparire solidi e concreti prima ancora di entrare nelle mura della città: una minacciosa e stupefacente scorta armata chiusa intorno all’uomo che aveva protetto. Raederle, che li aveva raggiunti, cavalcava alle loro spalle. Le strade di Anuin si presentarono loro insolitamente tranquille; non fu molta la gente che si fermò a guardare, fra attonita e spaurita, quel gruppo di cavalieri sui loro nervosi e feroci cavalli da battaglia, le loro teste coronate, le armature e le vesti d’oro e di broccato e le armi ingioiellate, nelle cui diverse fogge era racchiusa quasi l’intera storia della loro terra. Fra quelle scintillanti figure, nascosto in un mantello col cappuccio malgrado la calura, cavalcava l’uomo da essi scortato. Appariva rassegnato alla protezione di quelle guardie ultraterrene; senza neanche dar loro uno sguardo guidò lentamente il cavallo attraverso le vie della città e poi su per la leggera salita che conduceva alla dimora del Re. Il portone era aperto; nessuno li ostacolò quando entrarono nel vasto cortile. Mentre stavano smontando dalle selle ci fu una certa confusione fra gli stallieri subito occorsi: nessun servo né paggio, sotto il peso dello sguardo rovente di Farr, si azzardò ad accostarsi per prendere i loro cavalli. Raederle era rimasta un po’ indietro, e allorché oltrepassò da sola il portone li vide seguire la figura ammantellata su per gli scalini che portavano nel grande salone delle udienze. Le facce pallide e spaurite dei servi che la fissavano esitanti le fecero capire che tutti quanti, probabilmente, si stavano chiedendo se anche lei fosse un fantasma. Poi un paggio si decise a farsi avanti, prese le redini e con mano tremante le tenne ferma la staffa mentre smontava. Staccò l’involto del teschio dalla sella, se lo mise sottobraccio e lo portò con sé nel salone.
Una volta che fu nel grande locale vi trovò Duac, che in piedi dinnanzi a quel consesso di Re li fronteggiava ammutolito. Il giovane aveva la bocca spalancata, e quando s’accorse del suo ingresso le indirizzò uno sguardo vacuo. Il silenzio era tale che ebbe l’impressione di udire il rumore delle palpebre di lui, quando le sbatté. Ma il sangue defluì del tutto dal volto di Duac nel momento in cui vide il teschio di Farr. La giovane donna si accostò all’uomo incappucciato, chiedendosi perché egli non si voltasse a parlare. Giusto allora però lui si girò, quasi che avesse sentito i suoi pensieri, e fu lei a sentire la bocca spalancarsi storditamente. L’uomo che i Re avevano scortato e protetto attraverso Hel non era Morgon, ma Deth.
Si fermò di colpo e lo fissò, in preda al più completo sbalordimento. L’uomo era pallido, con la pelle tesa sulle ossa del volto; aveva l’aria, dopo esser stato seguito per nove giorni dagli spettri di Hel, di non esser riuscito a dormire molto. Lei ansimò: — Tu! — Si volse a Farr, che stava percorrendo con occhi guardinghi e scrutatori ogni trave e angolo del salone. Duac aveva intanto ritrovato un po’ della sua presenza di spirito, e con una certa cautela si stava facendo strada fra il gruppo dei Re nella sua direzione. Essi non dicevano parola e si guardavano attorno con aria d’attesa, reggendo i loro scudi su cui animali senza nome incisi in metalli preziosi riflettevano la vivida luce che entrava dalle finestre. Il cuore della ragazza balzò in un tambureggiare di pulsazioni improvvise. Farr si volse a guardarla, quando trovò il fiato per esclamare: — Ma cosa stai facendo qui? Eri diretto a Lungold, quando ci lasciammo nell’entroterra!
La voce pacata e familiare dell’arpista suonò scossa, fragile: — Io non avevo alcun desiderio d’incontrare la Morgol o le sue guardie, nell’entroterra. Sono sceso lungo il Cwill fino a Hlurle, e ho trovato un passaggio su una nave diretta a Caithnard. Non ci sono più molti luoghi nel reame che mi siano rimasti aperti.
— E così sei venuto qui?
— È l’unico posto che ancora mi resta.
— Qui! — Disperata e furiosa non aveva saputo trattenere quel grido, che fece fermare Duac a qualche passo da lei. — Tu sei venuto qui, e per colpa tua io adesso ho condotto tutti i Re di Hel in questa casa! — Sentendo la rauca domanda senza parole di Farr nella sua mente, si volse tremando. — Tu hai scortato l’uomo sbagliato! Lui non è neppure un cambiaforma!
— Lo abbiamo trovato in questa forma, ed egli ha scelto di mantenerla — rispose sorpreso Farr, sulla difensiva. — Era lui l’unico straniero che si spostasse segretamente attraverso Hel.
— C’era forse soltanto lui? Che misero modo di mantenere un patto è stato il tuo! Neppure se aveste cercato nei più luridi vicoli e angiporti del reame avreste potuto trovare un uomo che desideravo vedere meno di costui!
— Io ho mantenuto il giuramento che ho fatto — disse Farr, e lei capì dall’espressione di Duac che quelle parole rimbombavano anche nella sua mente. — Il teschio è mio. Il patto che ci legava è sciolto.
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