— Ha importanza! Io ho ereditato un potere dai cambiaforma… posso sentirlo! Se toccassi il fuoco, potrei prenderlo e tenerlo chiuso nella mia mano. Guarda… — Qualcosa, il vino, la disperazione, l’indifferenza di lui, la rese avventata. Allungò una mano, curvandola in una lenta carezza sopra un’ardente lingua di fiamma. Il fuoco si rifletteva negli occhi di Deth, la luce si spezzava nelle linee e nelle cavità del macigno alle sue spalle, si allargava a sciogliere gli intrecci dei rami che il buio aveva annodato in una massa amorfa. Lasciò che i bagliori del fuoco penetrassero nei suoi pensieri, riempiendoli di colore e di movimento, saturandoli col suo svanire e rinascere di guizzi che erano fatti di niente e di mistero. Il fuoco era una creatura aliena che divorava le tenebre e se ne nutriva, mai sazio, mai uguale a se stesso. Il suo linguaggio era più antico della storia degli uomini. Era un cambiaforma, e mentre lo guardava le scivolava nella mente brancolando alla ricerca di una forma, abbacinandole le pupille finché tutto ciò che si vide intorno fu fuoco: fuoco le pietre, fuoco gli alberi, fuoco le foglie che scintillavano come lacrime di luce sul terreno di fuoco. E dal profondo della sua anima, scaturendo dal segreto di un’eredità inumana addormentata in lei, balzò fuori la viva consapevolezza di una conoscenza occulta. La sfavillante realtà senza parole che era la pura nozione del fuoco la pervase; il suo morbido crepitio divenne un linguaggio, il suo incessante ondeggiare uno scopo, il suo colore il colore del mondo, il colore della sua mente. Toccò la fiamma, allora, e la sollevò sul palmo della mano come un fiore. — Guarda!… — ansimò. E chiuse le dita intorno ad essa per estinguerla, prima che la sua stessa meraviglia spezzasse il legame che era nato fra loro e le separasse, e la fiamma ferisse la sua carne. La notte ricadde più intensa attorno a loro quando il piccolo fiore di fuoco morì. Vide il volto di Deth rigido e imperscrutabile. Poi l’uomo mosse appena le labbra.
— Un altro enigma — sussurrò.
La fanciulla si sfregò le mani contro le ginocchia, perché malgrado ogni sua attenzione s’era un po’ scottata. Un refolo d’aria fredda proveniente dalle montagne le sfiorò il volto e le schiarì la riente; rabbrividì a un altro ricordo improvviso e disse: — Lei voleva che io prendessi in mano il fuoco, il suo fuoco…
— Lei chi?
— La donna. La donna bruna che fu Eriel Ymris per cinque anni. È venuta a dirmi che siamo della stessa razza, ma io l’avevo già capito.
— Mathom ti ha istruita bene — commentò lui. — Ti ha istruita per fare di te la sposa di un Maestro degli Enigmi.
— Tu eri un Maestro. Lo hai detto a lui, una volta. Sono proprio tanto brava con gli enigmi? Ma a cosa portano, se non alla tristezza e ai tradimenti? Guardati. Tu non hai soltanto tradito Morgon, ma anche mio padre e chiunque altro nel reame aveva fiducia in te. E guarda me. Quale nobile di An sprecherebbe un’oncia di fiato per chiedermi in sposa, se sapesse quale creatura mi ha riconosciuto sua consanguinea?
— Tu stai fuggendo da te stessa, e io sto fuggendo dalla morte. È troppo, per mantenere ancora i principi etici richiesti a un Maestro. Solo un uomo con il cuore e la mente implacabili, freddi come i gioielli sepolti nelle viscere dell’Isig, potrebbe aderire ad essi. E sul valore degli enigmi io presi le mie decisioni cinque secoli fa, quando Ghisteslwchlohm mi convocò al Monte Erlenstar. Pensavo che nulla nel reame avrebbe potuto contrastare il suo potere. Ma ero in errore. Egli si è spezzato i denti contro i rigidi principi etici del Portatore di Stelle, ed è fuggito, lasciandomi solo, senza protezione, senza arpa…
— Dov’è la tua arpa? — domandò lei, stupita.
— Non lo so. Ancora al Monte Erlenstar, presumo. Ora non ho il coraggio di suonarla. È stata l’unica cosa che Morgon ha udito, oltre alla voce di Ghisteslwchlohm, per un anno.
La fanciulla provò la tentazione di alzarsi e fuggire via da lui, ma il suo corpo non volle saperne di muoversi. Quasi in un singhiozzo disse: — La tua musica era un dono per i Re! — Lui non rispose, sollevò il boccale rigirandolo fra le dita e il fuoco ne strappò alcuni riflessi. Quando parlò fu in un sussurro.
— Io ho suonato per la rovina di un Maestro; egli si prenderà la sua vendetta. Ma rimpiango la perdita della mia arpa.
— Come Morgon rimpiange la perdita del governo della terra? — La voce di lei tremava. — Questo m’incuriosisce. Come ha potuto Ghisteslwchlohm strappare da lui quell’istinto… quel legame con la terra, che era noto soltanto a Morgon stesso e al Supremo? Quale frammento di conoscenza il Fondatore si aspettava di trovare, in mezzo alle nozioni di quando l’orzo comincia a germogliare, o di quale albero del frutteto nasconde una malattia nelle radici?
— È cosa fatta. Lascia perdere…
— E come posso? Credevi di tradire soltanto Morgon? — Tu mi hai insegnato a suonare sul flauto «L’amore di Passero e Allodola» quando avevo nove anni. Stavi dietro di me e aiutavi le mie dita di bambina a muoversi sullo strumento. Ma questo è ancora nulla, in confronto a ciò che proveranno i regnanti di tutto il reame, quando ripenseranno agli onori che hanno concesso all’arpista di Ghisteslwchlohm. Hai ferito Lyra, ma cosa proverà la Morgol quando Morgon le racconterà ciò che hai fatto? Tu… — La donna tacque. Deth non s’era mosso, sedeva nella stessa posizione in cui lo aveva trovato li, con la testa china e una mano su un ginocchio, il boccale stretto fra le dita. Lei sentì che in qualche modo l’angoscia che le stava riempiendo l’anima la intorpidiva. Sollevò la testa, annusò l’aria fredda gravida d’odore di pino che spirava dalla parte dell’Isig, si accorse che la notte creava troppe ombre anche dentro di lei. Era lì, rifletté, seduta davanti a un focherello, perduta in quell’immensa tenebra, coi vestiti laceri, i capelli sporchi e spettinati, la faccia graffiata, così malridotta che probabilmente nessun nobile di An l’avrebbe riconosciuta. Aveva messo una mano nel fuoco e lo aveva tenuto fra le dita; qualcosa del suo splendore sembrava ancora bruciarle nella mente. In un sussurro chiese: — Pronuncia il mio nome.
— Raederle.
Anch’ella chinò la testa. Per un poco cercò di rilassarsi, mentre il nome pulsava dentro di lei al ritmo dei battiti del cuore. Infine trasse un profondo respiro. — Sì. Quella donna per poco non me lo ha fatto dimenticare. Sono fuggita da Isig nel mezzo della notte, per cercare Morgon qui nell’entroterra. Sembra sciocco, non è vero, che sperassi di trovarlo in questo modo.
— Un poco.
— E nella dimora di Danan nessun sa se sono viva o morta. Sembra un’azione sconsiderata. Ho dimenticato che, pur avendo i poteri di Ylon, ho tuttavia ancora il mio nome. Quello, da solo, è un potere molto grande. Il potere di vedere…
— Sì. — Finalmente lui sollevò la testa, parve sul punto di portarsi il boccale alle labbra ma poi lo appoggiò con cautela sul terreno. Il sorrisetto ironico non aleggiava più sul suo volto. Vedendola stringersi le ginocchia sul petto disse: — Tu hai freddo. Prendi il mio mantello.
— No.
Un angolo della bocca di lui ebbe un fremito, ma mormorò soltanto: — Cosa sta facendo Lyra sul Monte Isig?
— Eravamo venute per porre al Supremo alcune domande, Lyra, Tristan di Hed e io, ma Danan ci ha detto che Morgon era vivo, e che non era consigliabile che qualcuno valicasse il Passo. Per ore e ore mi sono domandata il perché di questo. E poi, per un giorno e una notte, non ho fatto che pensare a un’altra domanda. Ma non c’è nessuno che possa rispondere, a parte Morgon e te.
— Pensi di poterti fidare della mia risposta?
Lei annuì stancamente. — Io non riesco a capirti più. Il tuo volto sembra cambiare forma ogni volta che ti guardo; ora è quello di uno sconosciuto, ora una faccia che esce dai miei ricordi… Ma chiunque tu sia, tu conosci forse meglio di ogni altro ciò che sta accadendo nel reame. Se Ghisteslwchlohm ha preso il posto del Supremo al Monte Erlenstar, allora dov’è il Supremo? Qualcuno continua a mantenere l’ordine nel reame, questo è chiaro.
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