Patricia McKillip - L'erede del mare e del fuoco

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L'erede del mare e del fuoco: краткое содержание, описание и аннотация

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La terra di Hed, è risaputo, non è mai stata una fucina di eroi. Tutti i suoi abitanti — compresi i principi che la reggono — sono contadini, ed anche Morgon, Signore di Hed, è un contadino. Ma non solo questo. Perché in un mondo da cui la magia è misteriosamente scomparsa in un remoto passato, e nel quale il sapere esoterico è affidato ai Signori degli indovinelli, Morgon può essere considerato un adepto, il miglior allievo della scuola di Caithnard, unico risolutore di un indovinello rimasto inspiegabile per oltre settecento anni. E poi Morgon ha tre stelle in fronte, identiche a quelle incise su un’arpa che solo lui può suonare e sull’elsa di una spada che solo lui può impugnare. Così, senza volerlo, il principe di Hed viene coinvolto in un viaggio fantastico e in un’avventura misteriosa, nel viaggio verso la montagna di Erlenstar assieme all’arpista del Supremo, per cercare risposta a una domanda che neppure lui ancora conosce. Con l’aiuto di Raederle, la donna che ama e per la quale ha vinto una sfida, Morgon affronterà un difficile cammino esistenziale e avventuroso, cercando la soluzione dell’enigma che lega passato e futuro, e combattendo Ohm, il mago corrotto che vuole alterare gli equilibri del mondo.

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Raederle annuì. Il fuoco s’era spento fra le braci e stava tremando, ma più per la stanchezza che per il freddo. La donna parve fluttuare avanti come una falena verso ciò che restava della luce del focolare. I suoi occhi fissarono le braci e da esse scaturì di nuovo la fiamma, alta e bianca, che delineò sullo sfondo buio il suo volto pallido e delicato.

— Io dovevo farlo. Dovevo sapere quale marchio mio padre avesse posto sul mio nome ancor prima della mia nascita. Così andai là. Ma non potei entrare. Fu molto tempo fa, e avevo paura… — Scosse la testa, come per scacciare quei ricordi. Di nuovo si volse a fronteggiare la donna, davanti a quel fuoco stregato che si rifletteva in quegli occhi scuri e imperscrutabili. — Chi sei? Qualcosa dentro di me ti conosce.

— Ylon. — Qualcosa di simile a un sorriso le incurvò le labbra. — Noi siamo consanguinee, tu ed io.

— Lo so — rispose lei con voce atona. Il cuore le aveva accelerato le pulsazioni. — Tu hai molti consanguinei nella discendenza dei Re di An. Ma chi sei?

La donna sedette davanti al caminetto. Alzò una mano verso la fiamma in un gesto stranamente dolce e insieme infantile, e disse: — Io sono un cambiaforma. Fui io a uccidere Eriel Ymris ed a prendere le sue sembianze. Fui io ad accecare quasi Astrin Ymris. Fui io ad avvicinare il Portatore di Stelle, sebbene non fosse la sua morte ad interessarmi. A quel tempo. E non m’interessa la tua, se è questo che ti stai chiedendo.

— Me lo chiedevo, sì — sussurrò Raederle. — Cosa… allora cos’è che ti interessa?

— La risposta a un enigma.

— Quale enigma?

— Lo capirai da sola, fin troppo presto. — Tacque, con le mani in grembo e lo sguardo nel fuoco, finché anche gli occhi di Raederle scivolarono sui tizzoni ardenti mentre sedeva nella seggiola che era alle sue spalle. — È un enigma vecchio quanto le radici degli alberi più antichi, quanto il silenzio che stagna nelle caverne più profonde dell’Isig, quanto le facce di pietra dei bambini morti. È vitale, come il vento o il fuoco. Il tempo non significa niente per me, è soltanto un intervallo fra quell’enigma e la sua risposta. Tu sei stata molto vicina a darmela, su quella nave, ma nonostante i miei sforzi hai spezzato il legame che c’era fra te e quella pietra. Questo mi ha sorpreso.

— Io non… non riuscivo a spezzarlo. Ricordo che fu Lyra a colpirmi. Tu! Quella presenza nella mia mente eri tu! E l’enigma… tu vuoi dare un nome a quella faccia?

— Sì.

— E poi… che altro? Cosa accadrà?

— Tu sei una specie di esploratrice di enigmi. Perché dovrei essere io a risolverli per te?

— Questa non è una gara di enigmi. Tu stai giocando con le nostre vite!

— Le vostre vite non significano niente per me — disse la donna freddamente. — Il Portatore di Stelle e io stiamo cercando la risposta alla stessa domanda; lui uccide quando è costretto; i nostri metodi non sono diversi. Io devo trovare il Portatore di Stelle. Egli è diventato molto potente, e molto abile a eludere chi lo cerca. Avevo pensato di usare te o Tristan e di costruire una trappola per lui, ma lo lascerò andare per la sua strada per un po’. Credo di aver capito dove quella strada lo sta portando.

— Vuole uccidere Deth — disse ottusamente Raederle.

— Non sarà il primo grande arpista che egli avrà ucciso. Ma d’altro canto non osa distogliere troppo a lungo la sua attenzione da Ghisteslwchlohm. Sia Morgon che i maghi vogliono uccidere il Fondatore. I maghi hanno la loro vendetta da compiere, fin dai tempi della distruzione di Lungold. Senza dubbio essi si distruggeranno l’un con l’altro, il che non avrà importanza poiché per sette secoli non si può dire che siano stati veramente vivi. — Notò l’espressione di Raederle, intuì quel che stava per dire, e sorrise. — Nun? Un tempo la vidi, a Lungold, Nun la potente, la bella. In vita sua non avrebbe mai messo piede fra i maiali, né intrecciato canestri di paglia.

— E tu cosa stai facendo di meglio?

— Sto aspettando. — Tacque per un poco, fissando Raederle coi suoi occhi imperscrutabili. — Non sei curiosa di te stessa? Non sei curiosa di sapere quali sono in realtà i tuoi poteri? Sono poteri considerevoli.

— No.

— Io sono stata onesta con te.

Le mani di Raederle si rilassarono sui braccioli, abbassando il capo sentì ancora, alle sue parole, quello strano senso di affinità, se non addirittura di fiducia, e una consapevolezza a cui non poteva sfuggire. Amareggiata e sconfortata sussurrò: — Il sangue di Ylon è nella mia famiglia da generazioni, e per quanto ciò non sia piacevole nessuno ha mai capito che questo era qualcosa di più di una semplice favola, una delle tante forme inesplicabili in cui la magia esiste ad An. Ora io so chi era suo padre. Uno di voi. Questo mi dà una certa affinità con te. Ma nient’altro: niente della tua fredda assenza di scrupoli, niente della tua capacità di uccidere.

— Soltanto qualche nostro potere. — La donna si piegò un poco verso di lei. — Il padre di Ylon ed io, con Hereu, cercavamo di fare la stessa cosa: distruggere l’istinto del governo della terra, ad An e ad Ymris, infondendo nelle dinastie reali un po’ di sangue misto e di istinti diversi. C’era uno scopo in questo, ma la cosa fallì. La terra produce un legame troppo forte. Soltanto ad Ylon accadde di sopportare il tormento del governo della terra; i suoi poteri si dispersero nei discendenti, talora inutili, talaltra sopiti. Salvo che in te. Un giorno, forse, tu potresti riuscire a dare un nome al tuo potere, e quel nome ti sorprenderebbe. Ma non vivrai abbastanza a lungo. Tu credi di conoscere l’infelicità di Ylon. Ma non ti sei mai domandata, se noi siamo così terribili, cosa lo spinse a rompere le sbarre della sua prigione per tornare fra noi?

— No — ammise Raederle in un sussurro.

— Non la compassione ma… la passione! — Qualcosa nel suo tono sembrò aprirsi, come una crepa nella roccia dell’Isig, a rivelare un’inaspettata vena di gioielli e di segreti sepolti, ma poi richiuse la bocca con una smorfia. Abbassò una mano a sfiorare il fuoco e d’un tratto ne strappò una fiammella che le guizzò fra le dita come un passero imprigionato. Scosse la mano, facendone cadere una ragnatela di luce, un osso spolpato, uno spolverio di stelle, una conchiglia bianca come la luna. Forma dopo forma altre immagini cadevano dalle sue dita: una manciata di fiori scintillanti, un cestello intrecciato con erbe simili ad alghe marine, un’arpa dalle corde argentee e sottilissime. Nell’osservarla Raederle sentì nascere in lei un impulso, il desiderio di possedere anch’ella la conoscenza e il controllo di quel fuoco magico. Il volto della donna era chino; come dimentica di lei, intenta al suo lavoro, sembrava perdersi nella meraviglia e assaporare la bellezza di ciò che creava. Infine lasciò che le fiamme si riabbassassero sul loro letto di braci. — Io prendo il mio potere, come tu il tuo, dal cuore stesso delle cose, dalla conoscenza di ciò che esse sono. Dalla curva interna di un filo d’erba, dal pallore di una perla chiusa nel segreto di un’ostrica, dall’odore che emana da un albero. Questo ti è già familiare, vero?

— Sì. — Raederle udì la sua stessa voce come da lontano, da oltre le pareti scure della stanza. La donna continuò, in un mormorio:

— Potresti capirlo: è l’essenza stessa del fuoco. Tu hai il potere. Puoi riconoscerlo, afferrarlo, dargli forma, perfino diventare fuoco tu stessa e mescolarti alla sua grande bellezza, libera da ogni legge umana. Sei esperta di illusioni, hai creato un miraggio di fuoco solare. Adesso lavora col fuoco vero. Guardalo. Comprendilo. Non con gli occhi, né con la mente, ma col potere che hai di accettare senza paura e senza domande la cosa in se stessa. Alza una mano, allungala, tocca il fuoco!

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