Tim Powers - Mari stregati

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Una fantasy orrorifica con i pirati, uno spadaccino voodoo? Chi potrebbe mai mescolare il mondo del pirata Barbanera con la magia nera se non Timothy Powers, il creatore di Le Porte di Anubis, l’autore più originale e geniale prodotto dal mondo fantascientifico e fantastico negli ultimi decenni. Lo scenario di questo eccezionale romanzo è il Mar dei Caraibi del 1718, periodo di grandi cambiamenti per i pirati, un tempo strumento dell’Impero Britannico, libera forza mercenaria che non riveste più nessuno scopo strategico per gli inglesi. È su questo scenario in evoluzione che compare il giovane John Chandagnac, ex burattinaio orfano alla ricerca di vendetta su uno zio malvagio. Ciurme di Zombie, magia nera, riti voodoo, giungle infestate da spettri: fra mille pericoli il protagonista inizierà una sorta di viaggio iniziatico che lo porterà in un luogo ignoto al di là del tempo e dello spazio, in un luogo mitico e terribile dove si cela la vagheggiata fonte della vita eterna. Partito per vendicarsi di un torto subito, Chandagnac andrà incontro al suo destino e troverà a sbarrargli la strada nientemeno che… il pirata Barbanera!

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Il pollice sinistro di Shandy era sulla laringe dello zio, e lui sapeva che avrebbe potuto schiacciarla come un uovo; ma era nauseato dalle morti, e pensava che non avrebbe ricavato alcun senso di appagamento dalla visione di quell’ometto spaventato che saltellava sul pavimento soffocato a morte dalle ossa della sua gola. Spostò la presa sul colletto dell’uomo.

«Chi… sei?» gracchiò Sebastian Chandagnac, gli occhi spalancati dal terrore.

Ad un tratto Shandy realizzò che, sbarbato e con tutte le nuove rughe dell’età e della stanchezza sul volto, doveva apparire molto simile a suo padre quando Sebastian lo aveva visto per l’ultima volta… e naturalmente quest’uomo non sapeva che suo nipote John Chandagnac era venuto nei Caraibi.

Avendo deciso di non ucciderlo, Shandy scoprì di non poter trattenersi dal rimestare nella colpa di quell’uomo. «Guardami negli occhi,» sussurrò con voce strozzata.

Il vecchio lo fece, anche se tremando e gemendo.

«Io sono tuo fratello, Sebastian,» disse Shandy attraverso i denti serrati. «Sono François.»

La faccia del vecchio divenne quasi pórpora. «Avevo sentito dire che eri… morto. Davvero morto, intendo dire.»

Shandy sogghignò con ferocia. «Sì… ma non hai mai sentito parlare di vodun?… Sono venuto dall’Inferno stanotte per portarti con me, fratello caro.»

Evidentemente Sebastian aveva sentito parlare di vodun, e trovò l’affermazione di Shandy fin troppo plausibile. I suoi occhi rotearono all’indietro nella sua testa e, con un’esalazione brusca come se avesse ricevuto un pugno nel petto, si afflosciò.

Sorpreso ma non particolarmente costernato, Shandy lasciò cadere il corpo sul pavimento.

Quindi, quasi fianco a fianco, Shandy e il calvo si lanciarono verso le scale; presumibilmente Edmund stava inseguendo il pirata, ma era arduo essere sicuri che non stessero entrambi correndo verso una meta comune. Alcuni uomini con le spade balzarono sulla loro strada, e poi si scansarono, e un momento dopo Shandy salì i gradini a tre per volta, ansimando e pregando di non svenire ancora.

In cima alle scale c’era un corridoio, si fermò là, col petto che si sollevava, e voltò la faccia verso l’uomo che si faceva chiamare Mordila, che si era fermato a due gradini dal pianerottolo. I suoi occhi erano alla stessa altezza di quelli di Shandy.

«Cosa… vuoi?» disse Shandy, ansimando.

Il sorriso del gigante parve quello di un cherubino sulla sua faccia liscia. «La giovane donna.»

Le grida e il fracasso, sotto, erano aumentati, e Shandy scosse la testa con impazienza. «No. Dimenticalo. Torna giù.»

«Me la sono guadagnata… ho trascorso tutto il giorno a controllare questa casa, pronto a entrare e a intervenire al primo indizio di una magia tesa a estirpare l’anima…»

«Cosa che non è avvenuta poiché ho mandato all’aria il piano di Hurwood,» disse Shandy. «Vattene.»

L’uomo calvo sollevò la spada. «Preferirei non ucciderti, Jack, ma prometto che lo farò se sarò costretto a farlo per averla.»

Shandy, sconfitto, lasciò che le sue spalle si accasciassero e che il suo volto si rilassasse in rughe di sfinimento e disperazione — e poi si lanciò in avanti, sbattendo la spada del gigante contro la parete con l’avambraccio sinistro mentre con la mano destra conficcava la sciabola nel petto di quell’uomo. Soltanto il fatto che il calvo tenne duro impedì che Shandy precipitasse a testa in giù per le scale. Shandy ritrovò l’equilibrio, sollevò il piede destro e lo piantò sull’ampio torace dell’uomo accanto al punto dove la lama lo aveva trafitto, e poi scalciò, raddrizzandosi sul pianerottolo e proiettando il calvo in un ruzzolone all’indietro giù per le scale. Esclamazioni di orrore e sorpresa eruppero al di sopra del generale clamore sottostante.

Shandy si voltò e guardò nel corridoio. Uno dei pomelli delle porte era di legno, e lui lo raggiunse vacillando. Era bloccato, così Shandy si puntellò a fatica contro la parete di fronte, sollevò il piede, e con una replica del gesto che aveva liberato la sua lama dal petto di Mordila, proiettò il piede contro la porta. La serratura di legno si scheggiò, la porta volò verso l’interno e Shandy lasciò cadere la sciabola mentre crollava in avanti nella stanza.

Stando sulle mani e sulle ginocchia, alzò lo sguardo. C’era una lampada accesa nella stanza, ma la scena che gli si presentò era molto poco rassicurante: il pavimento era cosparso di foglie dall’odore disgustoso, qualcuno aveva appeso diverse teste di cane alle pareti, una donna nera chiaramente morta da un pezzo stava accasciata scompostamente nell’angolo, e Beth Hurwood stava rannicchiata accanto alla finestra e tentava apparentemente di mangiarne l’intelaiatura.

Ma Beth Hurwood si guardò intorno, allarmata, e i suoi occhi erano limpidi e svegli. «John!» disse con voce roca, quando vide chi era. «Mio Dio, avevo quasi rinunciato a pregare perché tu venissi! Porta qui quella spada e spezza in due questo chiavistello di legno… i miei denti non servono assolutamente a nulla.»

Lui si alzò e accorse, scivolando solo una volta sulle foglie, ed esaminò con la vista annebbiata il chiavistello. Sollevò con cautela la spada. «Sono sorpreso che tu mi abbia riconosciuto,» osservò scioccamente.

«Certo, anche se sei piuttosto malconcio. Quando hai dormito l’ultima volta?»

«…non ricordo.» Abbatté la spada. Spezzò il chiavistello, di netto. Beth tolse nervosamente i pezzi dai sostegni e spalancò la finestra, e la fredda aria notturna purificò gli odori stantii e portò con sé le strida degli uccelli tropicali della giungla.

«C’è un tetto qua fuori,» disse lei. «All’estremità settentrionale della casa la collina arriva quasi al suo livello dandoci l’opportunità di saltare senza pericolo. Ora ascolta, John, io…»

«Dandoci?» la interruppe Shandy. «No, tu sei salva, adesso. Mio zio — Joshua Hicks — è morto. Tu sei…»

«Non essere sciocco, è ovvio che verrò con te. Ma ascolta, ti prego! Quella creatura nell’angolo è crollata a terra morta — rimorta, direi — la notte scorsa, e così non ho dovuto più mangiare quelle dannate piante, ma sono terribilmente debole e mi è stato fatto un incantesimo di… non so, disorientamento. A volte è come se mi addormentassi con gli occhi aperti. Non so quanto durerà, ma sta diminuendo… così se lo faccio, se mi aggrapperò a te con lo sguardo vuoto, non preoccuparti, sorreggimi soltanto. Ne uscirò.»

«Uh… benissimo.» Shandy scavalcò la finestra e salì sul tetto. «Sei sicura di voler venire con me?»

«Sì.» Lo seguì fuori, vacillò e si aggrappò alla sua spalla, poi trasse un profondo respiro e annuì. «Sì. Andiamo.»

«Va bene.»

Attraverso la finestra aperta dietro di loro lui poté udire delle persone che salivano, titubanti ma rumorose, su per le scale, così le prese un gomito e la condusse con tutta la rapidità possibile verso l’estremità settentrionale del tetto.

EPILOGO

Al cantar del gallo s’è consunto.
Quel dì che sempre annuncia la stagione
Quando il natal del Redentor fa festa,
L’uccello dell’alba canta la notte intera;
E, dicono, spettro non si può aggirare;
Le notti son salubri; nessun pianeta agisce,
Malia non attecchisce, nessuna strega incanta,
Talmente sacro e pien di grazia è il tempo.

— William Shakespeare

Camminarono per ore, evitando le strade più frequentate e meglio tenute a causa delle bande di soldati a cavallo, muniti di torce, che, a quanto pareva, galoppavano avanti e indietro per Spanish Town. Shandy guidò Beth lungo bassi muretti di pietra e stretti sentieri e fra file di canne da zucchero. Due volte i cani latrarono al loro indirizzo, ma entrambe le volte Shandy fu capace di zittire l’allarme facendo increspare la brezza e fischiando una certa canzone. Non era in grado di trattare altrettanto facilmente con le zanzare, tuttavia, e dovette ovviare strofinando il fango sulla sua faccia e su quella di Beth. Poteva stabilire la direzione e anche dedurre con una certa accuratezza l’ora studiando il cielo ogni qualvolta il loro percorso non era sovrastato dalla vegetazione… ma non gettò via la bussola che aveva comprato quel pomeriggio, anche se era un peso scomodo e ingombrante nella tasca della sua giacca.

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