«Scendi giù di lì!» urlò l’uomo.
«Vieni su a prendermi,» gridò di rimando Shandy. Aveva raggiunto la sommità, ora, e stava ingobbito sulla sfera di ottone in cima al palo, con le gambe incrociate proprio sotto di essa e la bandiera britannica drappeggiata sulla testa come un cappuccio.
«Portatemi un’ascia!» strillò l’ufficiale, ma Shandy si era spinto all’indietro, tirando verso di sé l’estremità del palo. Questo s’inclinò di alcune iarde, poi si fermò, tornò dritto e superò il punto centrale per poi piegarsi dall’altro lato. Shandy rimase aggrappato, e quando il palo tornò a oscillare nella direzione originaria, tirò indietro con forza ancora maggiore… e nel punto più lontano e di maggiore tensione della curvatura, l’asta piegata si spezzò. I sei piedi superiori, con Shandy all’estremità, rotearono velocemente nell’aria e si abbatterono sul tetto di tegole mentre la parte restante del palo sferzò all’indietro l’estremità scheggiata sopra il cortile.
Mezzo stordito dall’improvvisa rotazione e dall’impatto, Shandy scivolò a testa in avanti giù per il tetto, verso la grondaia, ma riuscì ad allargare la braccia e le gambe e a fermarsi, scorticandosi: la cima dell’asta e diverse tegole infrante lo superarono rotolando nell’abisso.
Piagnucolando per le vertigini, cominciò a eseguire una sorta di spasmodico movimento dorsale sulle tegole inclinate, e quando i mattoni e la sezione di asta colpirono con fracasso il marciapiede sottostante, aveva portato le ginocchia sulla sommità del tetto. Si girò su un fianco finché non riuscì a sedersi, e poi si alzò in piedi, corse con le ginocchia piegate sulle tegole crepitanti fino ai rami di un alto albero di olivo che spazzavano il tetto, e, con la scioltezza derivatagli dalle tante ore trascorse ad arrampicarsi sul sartiame delle navi a vela, si lasciò dondolare e poi cadere al suolo. Un carro stava avanzando nel vicolo dove lui si trovava, e lui saltò sulla traversina laterale e si appiattì sul carico accidentato e setoloso di noci di cocco mentre il carro proseguiva sbatacchiando verso l’entroterra, lontano dal litorale.
Si calò giù dal carro quando si fermò davanti a una bottega col tetto di paglia nella strada principale di Kingston. La gente si mise a guardarlo, ma lui si limitò a rivolgere loro un sorriso benevolo e a incamminarsi in direzione dei negozi. Gli abiti di Hurwood erano laceri, adesso, e coperti di polvere rossa e setole di cocco, così mentre camminava frugò inosservato dentro la fodera della sua bandoliera, lacerò la debole cucitura che aveva fatto quella mattina, e poi tirò fuori un paio di scudos d’oro che aveva inserito dentro. Questi, pensò, dovrebbero essere più che sufficienti per degli abiti nuovi e una buona spada.
Si fermò quando un pensiero lo colpì, poi sorrise compiaciuto fra sé e sé e proseguì, ma dopo pochi passi si fermò di nuovo. Oh, beh, si disse, perché no… male non farà, e te la puoi certamente permettere. Sì, puoi anche comprare una bussola.
In qualche modo, il fatto che fosse la notte di Natale enfatizzava l’estraneità di quella terra: gli odori caldi di punch e di tacchino arrosto e di pasticcio di prugne rendevano gli ospiti della cena maggiormente consapevoli degli odori intensi provenienti dalla giungla dell’entroterra; la luce gialla delle lampade e la musica maestosa dei violini che si riversava dalle finestre aperte non riuscivano ad allontanarsi troppo dalla casa prima di essere assorbite dalle tenebre e dallo scricchiolare degli alti palmizi nella brezza della notte tropicale; e gli ospiti stessi sembravano leggermente a disagio nella loro eleganza europea un po’ vistosa. C’era una sfumatura di apprensione nelle loro risate, e la loro arguzia sembrava dilatarsi fino alla negligenza tanto era sofisticata.
Il ricevimento aveva tuttavia attirato parecchi ospiti. Si era sparsa voce che avrebbe partecipato Edmund Mordila, per cui molti danarosi cittadini della Giamaica, incuriositi da questo nuovo arrivato nell’aristocrazia, avevano deciso di accettare l’invito di Joshua Hicks, che per parte sua aveva ben poco, al di là del suo indirizzo, che potesse raccomandarlo.
E il loro ospite era chiaramente sopraffatto dalla gioia per il grande successo di quella serata. Si affaccendava da un capo all’altro della vasta sala da ballo, baciando le mani delle signore, assicurandosi che le coppe fossero piene, ridacchiando piano ai motti di spirito, e, quando non stava parlando con qualcuno, lanciando occhiate ansiose intorno e lisciandosi gli abiti e la barba tenuta in perfetto stato con le mani ben curate.
Alle otto, i cavalli e le carrozze in arrivo stavano tutti in fila d’attesa di fronte alla casa, e Sebastian Chandagnac si scoprì incapace di salutare ogni ospite personalmente — anche se si fece un dovere di accorrere verso la torreggiante figura di Edmund Mordila e di stringergli la mano — e avvenne che un uomo scivolò dentro, senza essere notato, e si avvicinò, senza che nessuno si rivolgesse a lui, al tavolo dov’era il recipiente di cristallo del punch.
La sua apparizione non destò particolare attenzione, poiché nessuno degli invitali avrebbe potuto sapere che la sua parrucca e la spada e la giacca di velluto erano state acquistate soltanto quel pomeriggio con l’oro dei pirati. C’erano, forse, più ondeggiamenti da marinaio nella sua andatura di quanti ci si poteva aspettare in una persona vestita così elegantemente, e c’era meno formalità del solito nella maniera in cui la sua mano guantata sfiorava di tanto in tanto l’elsa del suo stocco, ma quello era dopo tutto il Nuovo Mondo, e le persone lontane dalla loro casa erano spesso costrette ad acquisire abilità disonorevoli. Il servitore che si occupava del recipiente del punch riempì una tazza e gliela tese senza rivolgergli una seconda occhiata.
Shandy prese la tazza di punch e lo sorseggiò mentre lasciava che il suo sguardo percorresse per la sala. Non era sicuro di come procedere, e il suo unico piano fino a quel momento era di individuare chi fra quelle persone fosse Joshua Hicks, appartarsi per un po’ con lui e indurlo a rivelargli dov’era custodita Beth Hurwood, e poi liberarla, dirle in fretta una cosa o due, e tentare di fuggire sano e salvo dall’isola.
Il punch bollente, reso aspro dal limone e dal cinnamono, rammentò a Shandy i Natali della sua giovinezza, quando si affrettava con suo padre lungo le strade innevate di qualche città europea per raggiungere il tepore della solita camera in affitto, dove suo padre avrebbe preparato almeno una simbolica cena natalizia e bevuto davanti al fuoco che traeva riflessi scintillanti dagli occhi di vetro delle dozzine di marionette appese. Nessuno di quei ricordi — suo padre, gli inverni nevosi, o le marionette — era un soggetto piacevole per i suoi pensieri, e così si costrinse a concentrarsi su ciò che in quel momento lo circondava.
Era stato certamente speso molto denaro in quel posto — come una sorta di informale agente di import-export lui stesso, Shandy sapeva quanto doveva essere stato dispendioso e complicato fare arrivare con una nave dall’Europa tutti quegli enormi dipinti con cornici d’oro, quei candelabri di cristallo, quel mobilio. Niente nella sala era di manifattura locale; e, a giudicare dagli odori provenienti dalla cucina, anche il cibo doveva essere, per quanto possibile, genuinamente inglese. E ciò non era terribilmente allettante per Shandy, che era diventato sempre più amante di tartarughe marine, radici di manioca e insalate salmagundi .
Uno dei servitori di Hicks entrò in quel momento nella sala e, alzando la voce per essere udito al di sopra delle ondate della conversazione, annunciò, «Per favore, signori, da questa parte — la cena sarà servita fra breve.»
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