L’immagine si dissolse in un bianco accecante.
Nihal sbatté le palpebre. Era la mattina di un’altra splendida giornata di sole, e lei era ancora nella piccola radura. Aveva sognato, dunque. Ma chi era quella gente? Che cosa gli era successo? E perché lei cavalcava un drago? Con Sennar, poi! Forse si stava facendo troppe domande: in fin dei conti, era solo un sogno.
Si stiracchiò, si levò a sedere e il rumoroso sbadiglio che stava facendo si mozzò a metà, lasciandola senza fiato. La radura era gremita di creature grandi poco più di una mano. Avevano capigliature di mille colori e le svolazzavano intorno sbattendo le loro fragili ali iridescenti.
Nihal non poteva credere a quel che vedeva. Sto ancora sognando , si disse, e strizzò gli occhi un paio di volte.
Uno di quegli esserini le si parò davanti, la scrutò con i suoi occhi blu privi di pupilla, quindi si allontanò un po’. «Sei un’umana?» le chiese.
Nihal ci mise un attimo a rispondere: «Sì che lo sono».
«Strano, me li ricordavo diversi, gli umani. Mica con le orecchione come noi!»
«A me sembra identica a un…» ribatté uno più lontano. «Hai capito chi intendo, no?»
«Impossibile! Non ce ne sono più» fece eco un altro.
Un terzo si unì alla discussione. «E già. Il Tiranno li…»
«Silenzio!» urlò quello davanti a Nihal, e tutti tacquero. «Può essere che sia un umano. Ci sono tanti di quegli umani strani nella Terra del Vento!»
Nihal si era parzialmente ripresa dallo stupore. «Chi sei tu? E tutti questi altri… cosi, come te? Che cosa ci fate qui?»
Quello fece una faccia stizzita. «Signorina, piano con le parole. Non siamo “cosi”. Siamo folletti. Io mi chiamo Phos e sono il capo della comunità della Foresta. E qui ci abitiamo, se non ti dispiace. Tu, piuttosto? Voi umani non avevate paura della Foresta?»
«Io sono Nihal e vengo da Salazar. Sono qui perché voglio diventare maga. Devo superare una prova.»
«Ah, ecco!» fece Phos, col tono di chi ha capito tutto. «Sei una di quelli di Soana.»
A quelle parole si levò un mormorio generale di approvazione.
«Allora sei amica. Brava umana, Soana. Ti confesso che quando ti abbiamo vista ci siamo spaventati. E poi ieri sera hai fatto un tale baccano!»
Phos si avvicinò all’orecchio di Nihal con una piroetta. «Molti di noi sono scampati alle persecuzioni del Tiranno e non si fidano più di nessuno.»
A Nihal quell’esserino iniziava a piacere: era buffo e la trattava come se la conoscesse da sempre. «Senti, non so tu, ma io sono affamata. Ho qualcosa da mangiare. Se volete tu e tuoi amici potete fare colazione con me.»
Phos e i suoi non si fecero pregare. La radura si riempì di vocine e risate; i folletti volavano ovunque e molti ringraziavano Nihal con mille moine. La ragazza fece accomodare Phos sul suo ginocchio.
«Così tu sei il capo di tutti i folletti.»
«Be’, non di tutti, ma di quelli della Foresta sì. Sai, la nostra è la comunità più numerosa del Mondo Emerso. È che ormai le foreste diminuiscono a vista d’occhio, così i nostri simili muoiono o sono costretti a scappare.»
«Perché, vivete solo nei boschi?»
«Scherzi? Noi siamo i boschi! Un folletto senza un bosco è come un pesce all’asciutto. Alcuni di noi hanno provato a vivere altrove, anche con gli umani, ma pian piano sono come… avvizziti, ecco. E alla fine sono morti, perché senza boschi da vedere e profumo di alberi da respirare non possiamo sopravvivere. Cosa c’è di più bello di un bosco? D’inverno giochi a nascondino tra i rami secchi e canti la ninna nanna agli animali che vanno in letargo. Con la bella stagione ti godi l’ombra delle foglie e fai il bagno con gli acquazzoni estivi.»
«A me sembra che la Foresta goda di ottima salute!» disse Nihal.
Gli occhi di Phos si fecero tristi e le sue orecchie si abbassarono come quelle di un cane bastonato. «È il Tiranno. Distrugge le foreste delle terre che conquista per fare le armi. E i suoi servi, quei maledetti fammin, ci odiano. Tanti di noi sono stati catturati e costretti a diventare i loro giullari. È una fine triste, sai? Noi siamo liberi come l’aria, tutto quello che vogliamo è un po’ di verde per vivere.»
«Come ti capisco! Anch’io voglio essere libera, volare di avventura in avventura…»
Nihal si tirò su di scatto. «Sai che ti dico? Io sono un guerriero – o meglio, lo diventerò – e combatterò contro il Tiranno! Diventerò il difensore di tutti i folletti, mi unirò a qualche esercito, vi libererò da questa schiavitù e voi tornerete a vivere nei boschi.»
Phos la guardò con disincanto. «Sarebbe bello, ma il mondo come lo conosciamo sta sparendo. Tutto quello che possiamo fare è rintanarci qui e difendere la nostra esistenza.»
A gambe incrociate sul ginocchio di Nihal, Phos guardava lontano, e nei suoi occhi si rispecchiava l’antica Foresta. La ragazza si sentiva stranamente vicina a quel popolo minacciato. Per un istante le sembrò che le sue voci interiori piangessero all’unisono con il cuore ferito del folletto.
«Forse hai ragione. Ma il male non può regnare per sempre. Nel futuro ci sarà di sicuro un posto per il tuo popolo.»
Phos le sorrise e un attimo dopo tornò a essere gioviale e allegro, come se quel discorso non fosse mai stato fatto. «Insomma, perché sei qui? Una prova, dicevi…»
«Soana ha detto che devo entrare in contatto con la natura e farmi accettare da lei.»
«In che senso entrare in contatto con la natura?»
«Be’, sentirla dentro, che ti scorre nel cuore… almeno, credo.»
«Tutto qui? Per noi folletti è naturale.»
«E come si fa?»
«Non è che si fa. La senti e basta.»
Nihal si buttò sull’erba, scoraggiata. «Accidenti. Soana dice che devo concentrarmi, ma io non ci riesco. Con tutti questi fruscii… insomma, ho paura.»
Phos iniziò a ridere a crepapelle. «Paura?»
«Ah, bene! Io ho un problema e tu ridi!»
Phos si ricompose. «E va bene. Mi sei simpatica e ci hai offerto la colazione: ti darò una mano. Pregheremo gli alberi e i prati di aiutarti. Tu, di tuo, devi solo… come hai detto? Ah, sì, concentrarti.»
Nihal non smetteva più di ringraziarlo.
Phos chiamò a raccolta i suoi. Quando l’adunata si sciolse i folletti si dileguarono e Phos fece a Nihal un gesto d’incoraggiamento.
Sulla radura scese il silenzio.
Nihal si avviò alla pietra e si sedette, pronta a concentrarsi: decise che stavolta niente e nessuno l’avrebbero distolta dal suo intento.
Fu meno facile del previsto. Nonostante l’aiuto dei folletti a Nihal sembrava di non sentire altro che i semplici rumori del bosco: il vento tra gli alberi, il frullio delle ali degli uccelli, l’acqua della polla che si increspava. Poi, lentamente, si accorse che in quei rumori c’era una musica nascosta. All’inizio pensò che fosse solo una sua impressione, una fantasia causata dalla fatica di stare ferma su quel masso. Poi però la musica si fece più insistente: i suoni della natura sembravano seguire una loro melodia. Il vento tra i rami era il basso e il tamburo. La brina notturna, che sciogliendosi cadeva nella polla, l’arpa. Il cinguettio degli uccelli era il canto. Persino l’erba partecipava: Nihal la sentiva crescere, e quel sussurro faceva da controcanto a tutto il resto.
Fu allora che Nihal sentì forte sotto di sé la sensazione della roccia, e poi della terra. Ne sentiva il pulsare ritmico, come di arterie invisibili che la irrorassero al ritmo dei battiti di un cuore che palpitava in ogni ramo.
La natura parlava con parole arcane che Nihal non capiva, eppure ne comprendeva il significato nascosto. Dicevano che tutto è uno e uno è tutto. Che ogni cosa inizia e finisce nella bellezza della natura. Che tutti gli esseri del mondo sono parte del grande corpo del creato.
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