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Robert Jordan: La corona di spade

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Robert Jordan La corona di spade

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Elaida serrò i pugni, e dalla striscia di carta venne un debole crepitio.

È stato messo l’anello al naso del toro.

Alviarin aveva la compostezza di una statua di marmo, ma a Elaida non importava più. Il pastore era in marcia per raggiungerla. Le ribelli sarebbero state schiacciate, il Consiglio intimidito, Alviarin costretta a inginocchiarsi e ogni governante stizzoso ridotto alla ragione, da Tenobia della Saldea, che si nascondeva per evitare l’emissaria di Elaida, fino a Mattin Stepanoes di Illian, che stava cercando di schierarsi con tutte le parti simultaneamente, di raggiungere un accordo con lei, con i Manti Bianchi e, per quel che ne sapeva, anche con al’Thor. Elayne sarebbe stata messa sul trono a Caemlyn, senza intromissioni del fratello, e con la piena consapevolezza di chi l’aveva aiutata. Un breve periodo trascorso di nuovo nella Torre avrebbe trasformato quella ragazza in morbida argilla da modellare nelle mani di Elaida.

«Voglio che quegli uomini vengano eliminati, Alviarin.» Non c’era bisogno di specificare a chi si riferiva; metà della Torre non parlava d’altro se non di ‘quegli uomini’ e della loro Torre Nera, mentre l’altra metà ne discuteva furtivamente nascosta negli angoli.

«Ho ricevuto notizie inquietanti, Madre.» Alviarin controllò ancora una volta le sue carte, ma Elaida pensava fosse solo una scusa per avere qualcosa da fare. La Custode non tirò fuori altri fogli, e per quanto nulla potesse turbare a lungo quella donna, di sicuro l’empia accozzaglia nei dintorni di Caemlyn non la lasciava indifferente.

«Altre voci? Credi alle favole che parlano di migliaia di persone che si precipitano a Caemlyn in risposta a quell’amnistia oscena?» Di certo non era il minore dei danni causati da al’Thor, ma nemmeno costituiva una vera fonte di preoccupazione. Solo un cumulo di sporcizia che doveva essere eliminato con la massima cautela prima che Elayne venisse incoronata a Caemlyn.

«Ovviamente no, Madre, ma...»

«Toveine dev’essere a capo della spedizione; quest’incarico appartiene di diritto alle Rosse.» Toveine Gazal aveva abbandonato la Torre da quindici anni, e non vi aveva fatto più ritorno fino al giorno in cui Elaida l’aveva convocata di nuovo. Le altre due Sorelle Rosse che si erano ritirate in ‘esilio volontario’ durante lo stesso periodo adesso avevano sguardi carichi di nervosismo ma, a differenza di Lirene e Tsutama, Toveine si era indurita durante il proprio esilio. «Le devono essere assegnate cinquanta Sorelle.» Non potevano esserci più di due o tre uomini capaci di incanalare in quella Torre Nera, Elaida ne era certa. Cinquanta Sorelle avrebbero preso facilmente il sopravvento. Ma avrebbero potuto esserci anche altri soggetti con cui vedersela. Parassiti, seguaci esterni, fanatici pieni di futili speranze e ambizioni insane. «E dovrà portare con sé cento... no, duecento soldati.»

«Sei certa che sia saggio? Le dicerie su migliaia di uomini sono di sicuro una follia, ma un agente delle Verdi a Caemlyn sostiene che siano oltre quattrocento in quella Torre Nera. Un tipo furbo. Ha contato i carri delle provvigioni che escono dalla città. E di sicuro sei al corrente delle voci secondo le quali Mazrim Taim si trova con loro.»

Elaida si sforzò di rimanere inespressiva, riuscendoci a malapena. Aveva proibito di nominare Taim, e le bruciava non rendersi conto che non osava — non osava! — imporre la punizione ad Alviarin per averlo fatto. La donna la guardò dritto negli occhi; l’assenza dell’appellativo ‘Madre’, per quanto fittizio, stavolta fu evidente. E con quale coraggio le aveva chiesto se la sua era una decisone saggia! Lei era l’Amyrlin Seat! Non la prima fra eguali, ma l’Amyrlin Seat!

Elaida aprì la scatola laccata più grande, che conteneva miniature d’avorio disposte su del velluto grigio. Spesso il solo osservare la sua collezione la faceva calmare, ma ancor più, come il lavoro a maglia che amava molto, serviva a far capire a tutti quelli davanti a lei quale fosse il loro posto; se prestava maggior attenzione alle miniature che a quanto gli altri avessero da dire... Prima carezzò un gatto finemente lavorato, liscio e sinuoso, poi una donna vestita in maniera elaborata, con uno strano animaletto — un’invenzione dello scultore — simile a un uomo coperto di peli appollaiato su una spalla. Alla fine Elaida scelse un pesce ricurvo, così finemente intagliato da sembrare quasi vero, nonostante il colore ingiallito dell’avorio vecchio.

«Quattrocento canaglie, Alviarin.» Si sentiva già più calma, poiché le labbra di Alviarin erano tese. Solo per una frazione di secondo, ma Elaida assaporava ogni minima incrinatura nella facciata dell’altra donna. «Se ce ne sono così tanti. Solo una sciocca può credere che più di uno o due siano in grado di incanalare. Al massimo! In dieci anni ne abbiamo trovati solo sei con questa capacità. Ventiquattro negli ultimi vent’anni. E tu sai bene con quale attenzione abbiamo rastrellato ogni nazione. Per quanto riguarda Taim...» Il nome le bruciava la lingua; il solo falso Drago che fosse mai riuscito a evitare di essere domato una volta preso in custodia dalle Aes Sedai. Un evento che Elaida non voleva vedere negli Annali riguardanti il suo periodo da Amyrlin, di sicuro non prima che avesse deciso come avrebbe dovuto registrarlo. Al momento, gli Annali non riportavano altro che la cattura di quell’uomo.

Elaida fece scorrere il pollice lungo le squame del pesce. «È morto, Alviarin, altrimenti ne avremmo sentito parlare già da parecchio tempo. Quindi non è al servizio di al’Thor. Pensi che una persona simile possa essere passata dal dichiarare di essere il Drago Rinato a servirlo? Credi davvero che potrebbe trovarsi a Caemlyn, senza che Davram Bashere quanto meno provi a ucciderlo?» Il pollice si mosse più veloce sul pesce d’avorio mentre Elaida si ripeteva che il maresciallo generale della Saldea si trovava a Caemlyn agli ordini di al’Thor. A cosa mirava Tenobia?

Elaida tenne per sé quelle riflessioni, però restando calma in viso, come una delle sue miniature.

«Ventiquattro è un numero pericoloso da dire ad alta voce» osservò Alviarin con una sinistra serenità. «Pericoloso quanto duemila. Gli Annali ne riportano solamente sedici. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è che quegli anni tornino a imperversare. O che le Sorelle al corrente solo di ciò che era stato detto loro scoprano la verità. Anche quelle che hai fatto tornare mantengono il silenzio.»

Elaida assunse un’espressione pensierosa. Per quanto ne sapeva lei, Alviarin aveva scoperto la verità su quegli anni solo dopo essere stata eletta Custode, mentre la sua conoscenza personale era di tipo più approfondito. Ovviamente Alviarin non poteva esserne al corrente. Non con certezza. «Figlia, qualsiasi cosa ne dovesse scaturire, non ho timori. Chi potrebbe impormi una punizione e con quale accusa?» Con questa frase era riuscita a girare intorno alla verità con una discreta grazia, ma era evidente che non aveva sortito alcun effetto sull’altra donna.

«Gli Annali elencano un diverso numero di Amyrlin che hanno subito pene pubbliche per motivi di solito poco chiari, ma io ho sempre pensato che apparissero tali perché così desiderava l’Amyrlin in questione, una volta trovatasi senza altra scelta se non far registrare la propria condanna...»

Elaida colpì forte il tavolo con una mano. «Basta, Figlia! Io ‘sono’ la legge della Torre! Ciò che è stato omesso rimarrà nascosto, per la stessa ottima ragione degli ultimi vent’anni: il bene della Torre Bianca.» Solo a quel punto sentì che il palmo cominciava a farle male. Sollevò la mano e vide il pesce spezzato in due. Quant’era vecchio? Cinquecento anni? Mille? Riuscì appena a non tremare dalla rabbia. Ma parlò con voce senza dubbio più dura. «Toveine deve condurre cinquanta Sorelle e duecento soldati della Torre fino a Caemlyn, a questa Torre Nera, dove domeranno e impiccheranno tutti gli uomini capaci di incanalare che troveranno, assieme a tutti quelli che riusciranno a prendere vivi.» Alviarin non batté ciglio a quella violazione delle leggi della Torre. Elaida aveva detto la verità, o almeno quella che lei voleva fosse la verità: in fondo in merito a quella faccenda, come per tutto il resto, lei ‘era’ la legge della Torre. «Anzi, ti dirò di più. Farà impiccare anche i morti. Che siano di monito per ogni uomo che pensa anche solo di toccare la Vera Fonte. Fai venire Toveine da me. Voglio sentire il suo piano.»

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