Robert Jordan - La corona di spade

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Riportò di nuovo l’attenzione sulla battaglia e vide che l’equilibrio era mutato, a quanto pareva, in suo favore. I globi di fuoco e i fulmini a sud erano più intensi che mai, ma non era lo stesso per quelli davanti a lei e, era evidente, nemmeno per quelli a ovest o a nord. Quelli che cadevano in direzione dei carri continuavano a essere quasi sempre deviati, eppure vedeva che gli sforzi delle Aes Sedai si erano molto allentati. Adesso erano costrette a difendersi. Lei stava vincendo!

Mentre quel pensiero ancora la pervadeva come un’ondata di puro calore, le Aes Sedai si fermarono. Il fuoco e i fulmini cadevano ancora fra gli algai’d’siswai solo a sud. Sevanna aprì la bocca per proclamare a tutti la sua vittoria, quando una nuova constatazione la indusse a tacere. Il fuoco e i fulmini che grandinavano in direzione dei carri colpivano una protezione invisibile. Man mano che saliva, il fumo proveniente dai carri in fiamme cominciava a delineare la sagoma di una cupola e alla fine usciva a ondate da un buco al centro di quella barriera invisibile.

Sevanna ruotò su sé stessa per trovarsi faccia a faccia con la fila di Sapienti e la sua espressione spinse alcune di loro ad allontanarsi, da lei e forse dalla lancia che impugnava. Sevanna sapeva di sembrare pronta a usarla, e lo era davvero. «Perché avete lasciato che facessero una cosa simile?» chiese furiosa. «Perché? Il vostro compito era impedire alle Aes Sedai di difendersi, non permettere loro di erigere altre mura!»

Tion sembrava pronta a dare di stomaco, ma piantò le mani sui fianchi larghi e affrontò Sevanna apertamente. «Non sono state le Aes Sedai.»

«Non le Aes Sedai?» chiese sprezzante Sevanna. «Allora chi? Le altre Sapienti? Ve l’avevo detto che bisognava attaccarle!»

«Non è stata nessuna donna» rispose Rhiale con voce tremante. «Non è stata...» Deglutì, pallida in volto.

Sevanna si voltò con lentezza per osservare la cupola e solo allora si ricordò di respirare di nuovo. Era apparso qualcosa attraverso il buco dal quale usciva il fumo. Una della bandiere degli abitanti delle terre bagnate. Il fumo non era sufficiente a oscurarla del tutto. Una bandiera cremisi, con un disco metà nero e metà bianco, i due colori erano divisi da una linea sinuosa, simile alle fasce che portavano i siswai’aman. La bandiera di Rand al’Thor. Che fosse talmente forte da essersi liberato da solo, aver preso il sopravvento sulle Aes Sedai e aver issato la bandiera? Doveva essere così.

La pioggia di fulmini e globi infuocati ancora bersagliava la cupola, ma Sevanna sentiva dei mormorii alle sue spalle. Le altre stavano pensando alla ritirata. Non lei. Aveva sempre saputo che la via più facile verso il potere risiedeva nel conquistare gli uomini che lo detenevano e già da bambina sapeva di essere nata con le armi giuste per farlo. Suladric, capoclan degli Shaido, era caduto ai suoi piedi quando lei aveva solo sedici anni, e alla sua morte quelli che con ogni probabilità lo avrebbero sostituito. Muradin e Couladin erano entrambi convinti di aver catturato il suo interesse uno ai danni dell’altro. Quando Muradin non fece ritorno dal Rhuidean — come accadeva a tanti uomini — bastò un sol sorriso a convincere Couladin di essere lui quello che l’aveva conquistata. Ma il potere di un capoclan impallidiva di fronte a quello del Car’a’carn, e anche questo era nulla a confronto con ciò che vedeva con i propri occhi in quel momento. Sevanna fu scossa dai brividi come se avesse visto nella tenda della sauna il più bell’uomo che potesse immaginare. Una volta che Rand al’Thor fosse stato suo, avrebbe conquistato il mondo intero.

«Metteteci più energia» ordinò. «Più energia! Umilieremo le Aes Sedai in onore di Desaine!» E lei avrebbe avuto Rand al’Thor.

A un tratto si alzò un boato dalla prima linea della battaglia. Gli uomini gridavano, urlavano. Sevanna imprecò perché non poteva vedere cosa stesse accadendo. Incitò di nuovo le Sapienti a esercitare maggior pressione ma, al contrario, sembrò che la pioggia di fuoco e fulmini contro la cupola diminuisse. E alla fine riuscì a vedere qualcosa.

Vicino ai carri, le figure in cadin’sor esplosero in aria insieme alla terra, il tutto accompagnato da un frastuono fragoroso, non in un unico punto ma lungo tutta una fila. Il terreno esplose di nuovo, ancora e ancora, ogni volta un po’ più lontano dal circolo di carri. Non una linea, ma un solido anello di terreno, uomini e fanciulle che saltavano in aria, un anello che, Sevanna ne era sicura, correva compatto tutto intorno ai carri. Un’esplosione dietro l’altra, sempre in espansione, e a un tratto gli algai’d’siswai iniziarono a passarle accanto per lanciarsi oltre la linea delle Sapienti, per fuggire.

Sevanna li colpì con la lancia, flagellò teste e spalle, senza scomporsi quando la lama della sua arma diventava più rossa di prima. «Fermatevi e combattete! Fermatevi, per l’onore degli Shaido!» Gli uomini la oltrepassarono senza prestarle attenzione. «Ma non avete onore? Fermatevi e combattete!» Colpì nella schiena una Fanciulla in fuga, ma il gruppo che la seguiva si limitò a scavalcarla. Sevanna si accorse a un tratto che alcune delle Sapienti erano sparite e altre stavano rialzando i feriti. Rhiale si voltò per fuggire e Sevanna l’afferrò per un braccio, minacciandola con la lancia. Non le importava che sapesse incanalare. «Dobbiamo resistere! Possiamo ancora prenderlo!»

Il volto dell’altra donna era una maschera di paura. «Se restiamo moriremo! O forse finiremo incatenate fuori la tenda di Rand al’Thor! Rimani pure e muori se lo desideri, Sevanna. Io non sono un Cane di Pietra!» Liberò il braccio con uno strattone e si diresse di corsa verso levante.

Sevanna rimase immobile per un altro momento, lasciando che uomini e Fanciulle la spingessero da una parte all’altra mentre la superavano in preda al panico, quindi scagliò in terra la lancia e toccò il sacchetto che portava appeso alla cintura, dov’era riposto un piccolo cubo di pietra scolpita con un motivo intricato. Era un bene che avesse esitato a gettarlo via. Aveva ancora un’altra freccia al suo arco. Sollevò la gonna per scoprire le gambe e si unì a quella fuga caotica, ma mentre gli altri correvano terrorizzati, lei aveva già una serie di piani che le turbinavano in testa. Avrebbe avuto Rand al’Thor in ginocchio davanti a lei, insieme alle Aes Sedai.

Alla fine Alviarin lasciò gli appartamenti di Elaida, fredda e controllata in superficie come sempre. Interiormente si sentiva strizzata come uno straccio umido. Riuscì a mantenere le gambe stabili lungo la serie di scalini che curvavano verso il basso, di marmo anche lassù. Gli inservienti in livrea si inchinarono o le fecero la riverenza mentre si affrettavano nelle loro faccende, vedendo solo la Custode in tutta la sua serenità da Aes Sedai. Man mano che scendeva incominciarono ad apparire delle Sorelle, molte portavano lo scialle con le frange del colore dell’Ajah d’appartenenza come per sottolineare formalmente il fatto che erano Sorelle a pieno titolo. Molte la guardavano a disagio mentre le oltrepassava. La sola a ignorarla fu Danelle, una Sorella Marrone dagli occhi sognanti. Aveva partecipato al complotto per deporre Siuan Sanche ed eleggere Elaida ma, persa nei propri pensieri, una donna solitaria senza amiche nemmeno fra la sua stessa Ajah, sembrava inconsapevole di essere stata messa da parte. Altre invece ne erano fin troppo consapevoli. Berisha, una Grigia snella e dallo sguardo duro, e Kera, con i capelli chiari, gli occhi azzurri che talvolta si vedevano fra i Tarenesi e tutta l’arroganza tanto comune tra le Verdi, si limitarono a farle la riverenza. Norine accennò a salutarla ma poi cambiò idea. Con gli occhi grandi e talvolta sognanti quasi quanto quelli di Danelle, anche lei senza amiche, era offesa con Alviarin: se la Custode doveva appartenere all’Ajah Bianca, secondo lei avrebbe dovuto essere Norine Dovarna.

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