Rorbert Jordan - Memoria di luce

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L’oscurità si immobilizzo.

Dammi la morte, Shai’tan, ringhiò Rand, gettandosi in quelle tenebre. Poiché io la do a te!

Aviendha cadde su un piano di roccia molto più in alto sopra il suolo di Thakan’dar. Cercò di alzarsi, ma i piedi rovinati e le gambe non riuscivano a sostenere il suo peso. Crollò sul piano, con la lancia di luce che scompariva dalle sue dita. Il dolore risalì su per le gambe come se fossero state scagliate dentro un fuoco.

Graendal si staccò da lei barcollando, annaspando forte e tenendosi il fianco. Aviendha intessé immediatamente un attacco, fiamme di fuoco, ma Graendal le annullò con i propri flussi.

«Tu!» proruppe Graendal. «Bambina odiosa, parassita!» La donna era ancora forte, sebbene ferita.

Aviendha aveva bisogno di aiuto. Amys, Cadsuane, le altre. Disperata, aggrappandosi all’Unico Potere malgrado la sofferenza, iniziò a tessere un passaggio. Era abbastanza vicino da non rendere necessario che conoscesse bene la zona.

Graendal glielo lasciò fare. Del sangue sgorgava tra le dita della donna. Mentre Aviendha lavorava, Graendal intessé un sottile filamento di Aria e si tamponò la ferita. Poi puntò le dita insanguinate contro Aviendha.

«Stai cercando di scappare?»

La donna iniziò a tessere uno schermo.

Frenetica, le forze che scemavano, Aviendha legò il flusso, lasciando il passaggio aperto al suo posto. Per favore, Amys, vedilo! pensò mentre contrastava lo schermo di Graendal.

Riuscì a malapena a bloccarlo; era molto debole. Graendal aveva preso in prestito Potere per l’intero combattimento, mentre Aviendha aveva usato il proprio. Perfino con il suo angreal, nella sua condizione non poteva davvero competere con Graendal.

Graendal si mise dritta, il dolore che traspariva dal volto. Aviendha sputò ai piedi della donna, poi si trascinò via, lasciando una scia di sangue dietro di sé.

Nessuno giunse attraverso il passaggio. L’aveva creato per il posto sbagliato?

Raggiunse l’orlo del piano che dava sul campo di battaglia di Thakan’dar lì sotto. Se avesse fatto un altro passo, sarebbe caduta. Meglio quello che diventare un’altra dei suoi schiavi...

Filamenti di Aria si avvolsero attorno alle gambe di Aviendha e la strattonarono indietro. Lei urlò attraverso i denti serrati, poi si rigirò; i suoi piedi parevano poco più di moncherini di carne scorticata. Il dolore la investì e la vista le si offuscò. Si sforzò di raggiungere l’Unico Potere.

Graendal la tenne a distanza, ma lei incominciò a cedere e ringhiò, poi si afflosciò con un rantolo. Il flusso che le tamponava la ferita era al suo posto, ma il volto impallidì. Pareva quasi sul punto di svenire.

Il passaggio aperto invitava Aviendha, era un mezzo per fuggire... Ma era come se fosse a un miglio di distanza. Con la mente annebbiata e le gambe che bruciavano di dolore, Aviendha fece scivolare il coltello fuori dal fodero.

Cadde dalle sue dita tremolanti. Era troppo debole per reggerlo.

44

Due artigiani

Perrin si svegliò sentendo un fruscio. Socchiuse gli occhi, guardingo, e si ritrovò in una stanza buia.

Il palazzo di Berelain, si ricordò. Fuori il suono delle onde si era attenuato, i richiami dei gabbiani si erano acquietati. In lontananza rombava il tuono.

Che ora era? Odorava di mattina, ma fuori era ancora buio. Aveva problemi a distinguere la sagoma scura che si muoveva per la stanza verso di lui. Si tese finché non avverti l’odore.

«Chiad?» chiese, mettendosi a sedere.

La Aiel non sobbalzò, anche se Perrin era certo di averla sorpresa, dal modo in cui si fermò. «Non dovrei essere qui» bisbigliò lei. «Sto spingendo il mio onore al limite stesso di ciò che sarebbe consentito.»

«È l’Ultima Battaglia, Chiad» disse Perrin. «Ti è consentito forzare alcuni limiti... Sempre che non abbiamo già vinto.»

«La battaglia a Merrilor è vinta, ma la battaglia più grande, quella a Thakan’dar, infuria ancora.»

«Mi occorre tornare al lavoro» disse Perrin. Aveva solo i suoi indumenti intimi. Non lasciò che lo infastidisse. Una Aiel come Chiad non sarebbe arrossita. Spinse via la coperta.

Purtroppo la stanchezza schiacciante dentro di lui era scemata solo un poco. «Non hai intenzione di dirmi di stare a letto?» chiese, cercando stancamente camicia e pantaloni. Erano piegati con il martello ai piedi del letto. Dovette appoggiarsi contro il materasso per arrivarci. «Non avrai intenzione di dirmi che non sta a me combattere mentre sono stanco? Ogni donna che conosco sembra pensare che sia uno dei suoi compiti principali.»

«Ho scoperto» disse Chiad in tono asciutto «che rimarcare la stupidità serve solo a rendere gli uomini più stupidi. Inoltre sono gai’shain. Non spetta a me.»

Lui la guardò, e anche se non riuscì a vederla arrossire al buio, poteva fiutare il suo imbarazzo. Non si stava comportando molto da gai’shain. «Rand avrebbe dovuto semplicemente liberarvi tutti dai vostri voti.»

«Lui non ha quel potere» replicò lei accalorata.

«A che serve l’onore se il Tenebroso vince l’Ultima Battaglia?» sbottò Perrin, infilandosi i pantaloni.

«È tutto» disse Chiad piano. «Vale la morte, vale rischiare il mondo stesso. Se non abbiamo onore, meglio perdere.»

Be’, Perrin supponeva che avrebbe potuto dire lo stesso per altre cose. Non indossando sciocche vesti bianche, naturalmente... Ma non avrebbe fatto alcune delle cose che avevano fatto i Manti Bianchi anche se fosse stato in gioco il destino del mondo. Non la incalzò oltre.

«Perché sei qui?» le chiese, mettendosi la camicia.

«Gaul» disse Chiad. «È...»

«Oh, Luce!» esclamò Perrin. «Avrei dovuto dirtelo prima. Di recente ho limatura di ferro al posto del cervello, Chiad. Stava bene quando l’ho lasciato. È ancora nel sogno, e il tempo passa più lentamente dove si trova lui. Probabilmente lì è passata circa un’ora, ma mi occorre tornare da lui.»

«Nelle tue condizioni?» chiese lei, ignorando il fatto di aver detto che non lo avrebbe rimproverato per quello.

«No» disse Perrin, sedendosi sul letto. «L’ultima volta mi sono quasi rotto l’osso del collo. Ho bisogno che una delle Aes Sedai mi curi dalla fatica.»

«Questa cosa è pericolosa» disse Chiad.

«Più pericolosa di lasciar morire Rand?» disse Perrin. «Più pericolosa di lasciare Gaul senza un alleato nel Mondo dei Sogni, a proteggere il Car’a’carn da solo?»

«È probabile che si infilzi con la sua stessa lancia, se lo si lascia a combattere da solo» disse Chiad.

«Non intendevo...»

«Zitto, Perrin Aybara. Tenterò.» Se ne andò in un fruscio di stoffa.

Perrin tornò a stendersi sul letto, sfregandosi gli occhi con i palmi. Era stato molto più sicuro di sé quando aveva affrontato l’Assassino quest’ultima volta, tuttavia aveva fallito comunque. Strinse i denti, sperando che Chiad tornasse presto.

Qualcosa si mosse fuori dalla sua stanza. Perrin si riscosse, mettendosi di nuovo in posizione seduta.

Una grossa sagoma oscurò la soglia, poi tolse lo schermo da una lampada. Mastro Luhhan aveva la corporatura di un’incudine, un torace compatto — eppure possente — e braccia muscolose. Perrin non se lo ricordava con così tanto grigio tra i capelli. Mastro Luhhan era invecchiato, ma non era fragile. Perrin dubitava che lo sarebbe mai stato.

«Lord Occhidoro?» chiese.

«Luce, per favore» disse Perrin. «Mastro Luhhan, proprio tu dovresti sentirti libero di chiamarmi Perrin. Se non ‘quel mio inutile apprendista’.»

«Suvvia» disse Mastro Luhhan, entrando nella stanza. «Non aedo di averti chiamato così tranne quella volta.»

«Quando ruppi la lama nuova per la falce di Mastro al’Moor» disse Perrin con un sorriso. «Ero certo di riuscire a farcela.»

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