Robert Jordan - Il cuore dell’inverno
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«Ma cosa stanno costruendo, direttrice Tarsin?» domandò Rand. Gli uomini che lavoravano su quel congegno laggiù si muovevano con aria determinata, non come se vedessero un fallimento. E si era mosso. Lei tirò su col naso più forte, stavolta. «Sciocchezze, mio lord Drago, ecco cosa costruiscono. Kin Tovere ha costruito quella sua grossa lente. Attraverso di lei puoi vedere la luna tanto bene quanto la tua stessa mano, e anche quei pianeti che lui indica come mondi altri, ma qual è l’utilità di tutto ciò? Ne vuole costruire una più grande, ora. Maryl Harke fa enormi aquiloni che chiama alianti, e quando verrà la primavera, si getterà di nuovo giù dalle colline. Ti fa balzare il cuore in gola quando la vedi volar giù per il pendio su uno di quei cosi; non si romperà soltanto il braccio la prossima volta che si accartoccerà dentro uno di questi marchingegni, te lo garantisco. Jander Parentakis crede di potere muovere le barche fluviali con le ruote ad acqua di un mulino, o qualcosa del genere, ma quando mette abbastanza uomini sull’imbarcazione per girare le manovelle, non c’è spazio per il carico e ogni vascello a vela può superarla. Ryn Anhara intrappola il fulmine in grossi barattoli — dubito che perfino lui sappia il perché — e Niko Tokama è altrettanto sciocca con quel suo...»
Rand si voltò tanto rapidamente che lei fece un passo indietro e perfino Dobraine spostò il peso da un piede all’altro, con una mossa da spadaccino. No, non erano affatto certi di lui. «Intrappola il fulmine?» chiese con calma. L’intuizione si diffuse sul suo volto schietto, e lei agitò le mani di fronte a sé. «No, no! Non come... non così!» Non come te, aveva quasi detto. «È un aggeggio fatto di fili e ruote e grossi barattoli di argilla e la Luce sa cosa. Lui lo chiama fulmine, e io ho visto un ratto balzare su uno dei barattoli una volta, sulle barre di metallo che escono da sopra. Sembrava proprio colpito dal fulmine.» Un tono speranzoso si fece strada nella sua voce.
«Posso farlo smettere, se vuoi.»
Lui cercò di raffigurarsi qualcuno che cavalcava un aquilone, ma l’immagine era ridicola. Catturare il fulmine in barattoli andava oltre la sua immaginazione. E tuttavia... «Lasciali andare avanti come prima, direttrice. Chi lo sa? Forse una di queste invenzioni si rivelerà importante. Se qualcuna funziona come dicono, da’ una ricompensa all’inventore.»
Il volto scurito dal sole di Dobraine parve dubbioso, anche se riuscì quasi a nasconderlo. Idrien chinò il capo in un accigliato assenso e fece perfino una riverenza, ma era chiaro che pensava che lui le stesse chiedendo di lasciar volare i maiali, se potevano.
Rand non era sicuro di essere in disaccordo. Tuttavia, forse a uno dei maiali sarebbero cresciute le ali. Il carro si era mosso. Voleva fortemente lasciarsi alle spalle qualcosa che aiutasse il mondo a sopravvivere alla nuova Frattura che le Profezie affermavano che lui avrebbe causato. Il problema era che non aveva idea di cosa potesse trattarsi, tranne le scuole stesse. Chi sapeva cosa poteva fare un prodigio? Luce, lui voleva costruire qualcosa che durasse.
Pensavo di poter costruire , mormorò Lews Therin nella sua testa. Mi sbagliavo. Non siamo costruttori, non tu, non io, non l’altro. Siamo distruttori. Distruttori.
Rand fu percorso da un tremito e si passò le mani fra i capelli. L’altro?
Alle volte, quella voce suonava più sensata quand’era più folle. Lo stavano osservando, Dobraine nascondendo al meglio la sua incertezza, Idrien che non ci provava neanche. Raddrizzandosi come se non ci fosse nulla che non andava, estrasse due pacchettini dall’interno della sua giubba. Entrambi recavano un drago su una lunga protuberanza esterna di cera rossa. La fibbia della cintura che in questo momento non indossava era uno stupefacente sigillo.
«Quello sopra ti nomina mio sovrintendente a Cairhien» disse, porgendo i pacchetti a Dobraine. Un terzo era ancora nascosto contro il suo petto, per Gregorin den Lushenos, per nominarlo sovrintendente a Man. «Perciò non ci saranno rischi che nessuno metta in discussione la tua autorità mentre io sono via.» Dobraine poteva occuparsi di quel genere di rischi coi suoi armigeri, ma era meglio accertarsi che nessuno potesse fingere di ignorare la situazione o dubitarne. Forse non ci sarebbero stati problemi da affrontare se tutti avessero creduto che il Drago Rinato si sarebbe abbattuto sui trasgressori. «Ci sono ordini su ciò che voglio che sia fatto ma, a parte quelli, usa il tuo giudizio. Quando lady Elayne rivendicherà il Trono del Sole, forniscile il tuo pieno supporto.» Elayne. Oh, Luce... Elayne e Aviendha. Almeno erano al sicuro. La voce di Min pareva più allegra, ora: doveva aver trovato i libri di mastro Fel. Lui avrebbe lasciato che lo seguisse finché non fosse morta perché non era abbastanza forte da fermarla. Ilyena , gemette Lews Therin. Perdonami, Ilyena! La voce di Rand risuonò fredda come il cuore dell’inverno. «Saprai quando consegnare l’altro. Se consegnarlo. Forzalo, se serve, e decidi secondo di che dice. Se decidi di no, o se lui rifiuta, sceglierò qualcun altro. Non te.»
Forse questo era stato brusco, ma l’espressione di Dobraine si era a malapena modificata. Le sue sopracciglia si sollevarono un poco quando lesse il nome sul secondo pacchetto; tutto qua. Fece un inchino mellifluo. I Cairhienesi di solito erano melliflui. «Sarà come vuoi tu. Perdonami, ma da come parli sembra che tu intenda star via a lungo.»
Rand scrollò le spalle. Si fidava del Sommo Signore quanto si fidava di chiunque. Quasi. «Chi può dirlo? Sono tempi incerti. Accertati che la direttrice Tarsin abbia tutto il denaro che le serve e che gli uomini comincino la scuola a Caemlyn. Anche la scuola a Tear, finché la situazione lì non cambia.»
«Come vuoi tu» ripeté Dobraine, infilandosi i pacchetti nella giacca. Il suo volto non tradiva alcuna emozione, ora. Dobraine era un giocatore esperto nel Gioco delle Casate. Da parte sua, la direttrice riusciva ad apparire soddisfatta e contrariata allo stesso tempo, e si tenne occupata a lisciarsi il vestito anche se non era necessario, come fanno le donne in imbarazzo per non dire ciò che pensano. Per quanto si lamentasse di sognatori e filosofi, era gelosa del benessere dell’Accademia. Non avrebbe versato lacrime se quelle altre scuole fossero scomparse e i loro studiosi fossero stati costretti a venire all’Accademia. Perfino i filosofi. Cosa avrebbe pensato di un ordine in particolare nel pacchetto di Dobraine?
«Ho trovato tutto quello che mi serve» disse Min, uscendo dagli scaffali barcollando un po’ per il peso dei tre fagotti di tela rigonfi che stava portando. La sua semplice giubba e le sue brache marroni erano molto simili a ciò che indossava la prima volta che l’aveva vista a Baerlon. Per qualche ragione, si era lamentata di quegli indumenti finché qualcuno che la conosceva non pensò che lui le avesse chiesto di mettersi un abito lungo. Ora però sorrideva, di contentezza e con una punta di malizia. «Spero che quei cavalli da soma siano dove li abbiamo lasciati, o il mio lord Drago dovrà adattarsi a portare un basto.»
Idrien rimase a bocca aperta, scandalizzata di sentirla rivolgersi a lui a quel modo, ma Dobraine si limitò a sorridere un poco. Prima aveva visto Min con Rand.
Rand si liberò di loro il più in fretta possibile allora, dato che avevano visto e sentito quanto lui voleva, e li mandò via con un’ultima raccomandazione che lui non era mai stato lì. Dobraine annuì come se non si aspettasse nulla di meno. Idrien parve pensierosa mentre se ne andava. Se si fosse lasciata sfuggire qualcosa dove un servitore o uno studioso poteva sentirla, si sarebbe sparso per la Città nel giro di due giorni. In ogni caso non c’era molto tempo. Forse nessuno che avesse potuto capirlo gli era stato abbastanza vicino da percepire che aveva aperto un passaggio qui, ma chiunque avesse cercato dei segni, a quest’ora sarebbe stato certo che c’era un ta’veren in città. Non era nei suoi piani essere trovato... non ancora. Quando la porta si chiuse dietro di loro, esaminò Min per un momento, poi prese uno dei fagotti e se lo gettò su una spalla.
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