Robert Jordan - Il cuore dell’inverno
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Guardando oltre gli uomini, Logain contemplò Toveine e Gabrelle. Toveine cercò di non far sembrare che stava origliando e ricordando con attenzione i nomi. «Andate dentro: qui fa freddo» disse loro. «Prendete del tè per riscaldarvi. Io tornerò il prima possibile. Non toccate le mie carte.»
Radunando gli altri uomini con un gesto, li condusse nella direzione da cui era venuto Kajima.
Toveine digrignò i denti per la frustrazione. Almeno non avrebbe dovuto seguirlo nell’area di allenamento, oltre il cosiddetto Albero dei Traditori, dove penzolavano dai rami nudi teste come frutti infetti, per osservare uomini studiare come distruggere tramite il Potere, ma aveva sperato in un’altra giornata per sé, a gironzolare libera e vedere cosa poteva apprendere. Aveva udito uomini parlare del ‘palazzo’ di Taim, prima, e oggi sperava di trovarlo e forse di dare una sbirciata all’uomo il cui nome era famigerato come quello di Logain. Invece, seguì con aria sottomessa l’altra donna attraverso la porta rossa. Non valeva la pena ribellarsi. All’interno si guardò intorno per l’atrio mentre Gabrelle appendeva il suo mantello a un piolo. Malgrado l’esterno, si era aspettata qualcosa di più sfarzoso da Logain. Un debole fuoco bruciava in un rozzo caminetto di pietra. Un tavolo lungo e stretto e sedie dall’alto schienale si trovavano su uno spoglio assito. Una scrivania, poco più elaborata del resto del mobilio, catturò la sua attenzione. Pile di cassette per le lettere munite di coperchio vi erano disseminate sopra, così come raccoglitori di cuoio colmi di lunghi fogli di carta. Le dita le prudevano, ma sapeva che, se anche si fosse solo seduta alla scrivania, non sarebbe stata in grado di poggiare un dito su niente più che una penna o una boccetta di inchiostro.
Con un sospiro, seguì Gabrelle nella cucina, dove una stufa di ferro emanava troppo calore e i piatti sporchi della colazione erano posati su un basso mobiletto sotto la finestra. Gabrelle riempì un bollitore e lo mise sulla stufa, poi prese una teiera smaltata di verde e un contenitore di legno da un altro armadietto. Toveine dispose il suo mantello sopra una sedia e si sedette al tavolo quadrato. Non voleva del tè se non con la colazione che aveva saltato, ma sapeva che l’avrebbe bevuto.
Quella sciocca Marrone continuava a cianciare mentre portava a termine le sue faccende domestiche come un’allegra campagnola. «Ho già appreso un bel po’. Logain è l’unico vero Asha’man che vive in questo villaggio. Gli altri vivono tutti nel ‘palazzo’ di Taim,. Hanno servitori, ma Logain ha assunto la moglie di una recluta per cucinare e pulire per lui. Sarà qui presto, e quella donna pensa che sia lui a far sorgere il sole, perciò sarà meglio che per allora abbiamo finito di discutere degli argomenti importanti. Logain ha trovato la tua scrivania portatile.»
Toveine si sentì come se una mano gelida le avesse afferrato la gola. Cercò di nasconderlo, ma Gabrelle la stava guardando dritto negli occhi.
«L’ha bruciata, Toveine. Dopo aver letto quello che conteneva. Sembrava pensare di averci fatto un favore.»
La mano allentò la presa e Toveine poté respirare di nuovo. «L’ordine di Elaida era fra le mie carte.» Si schiarì la gola per liberarsi della raucedine. L’ordine di Elaida di domare ogni uomo che avessero trovato qui e impiccarlo seduta stante, senza il processo a Tar Valon richiesto dalla legge della Torre. «Elaida ha imposto severe condizioni, e questi uomini avrebbero reagito in malo modo, se l’avessero saputo.» Malgrado il calore della stufa, fu percorsa da un tremito. Quell’unica carta avrebbe potuto far sì che venissero tutte quietate e impiccate. «E perché ci farebbe dei favori?»
«Non so perché, Toveine. Non è un farabutto, non più della maggior parte degli uomini. Potrebbe trattarsi solo di questo.» Gabrelle appoggiò sul tavolo un piatto di panini croccanti e un altro con del formaggio bianco. «O potrebbe darsi che il legame sia come quello col Custode in altri sensi oltre a quelli che conosciamo. Forse non voleva solo sentire su di sé il dolore delle nostre esecuzioni.» Lo stomaco di Toveine brontolò, ma lei prese un panino come se non volesse far altro che piluccarlo.
«Sospetto che ‘severe’ sia un eufemismo» proseguì Gabrelle, mettendo delle foglie di tè nella teiera con un cucchiaio. «Ti ho vista trasalire. Di certo, si sono presi una bella briga per portarci qui. Cinquantuno Sorelle in mezzo a loro e, anche col legame, devono temere che possiamo trovare qualche modo di aggirare i loro ordini, qualche scappatoia che non hanno considerato. La risposta ovvia è che, se fossimo morte, questo avrebbe destato la furia della Torre. Con noi vive e prigioniere, perfino Elaida si muoverà con cautela.» Rise, sobriamente divertita. «La tua faccia, Toveine. Pensavi che avessi passato tutto il tempo a passare le dita fra i capelli di Logain?»
Toveine chiuse la bocca e rimise a posto il panino intatto. Era freddo, comunque, e pareva duro. Era sempre un errore reputare che le Marroni fossero distaccate, assorbite dai propri libri e studi fino a escludere ogni altra cosa. «Cos’altro hai visto?»
Ancora con in mano il cucchiaio, Gabrelle si sedette dall’altra parte del tavolo e si sporse in avanti con fare deciso. «Il loro muro potrà essere solido una volta finito, ma questo posto è pieno di divisioni. C’è la fazione di Mazrim Taim, e quella di Logain, anche se non sono certa che ciascuna consideri l’altra come tale. Forse anche altre fazioni, e di certo uomini che non sanno che le fazioni esistono. Cinquantuno Sorelle dovrebbero essere in grado di sfruttare la situazione in qualche modo, perfino col vincolo. La seconda domanda è, come la sfruttiamo?»
«La seconda domanda?» chiese Toveine, ma l’altra donna si limitò ad attendere. «Se riusciamo a far esplodere quelle divisioni,» disse infine «sparpagliamo dieci o cinquanta o cento bande per il mondo, ognuna più pericolosa di qualunque esercito si sia mai visto. Per catturarli tutti ci vorrebbe una vita e questo potrebbe fare a pezzi il mondo come una nuova Frattura, e tutto ciò con Tarmon Gai’don che si avvicina. Certo, sempre che questo al’Thor sia davvero il Drago Rinato.» Gabrelle aprì la bocca, ma Toveine scacciò via con un gesto qualunque cosa stesse per dire. Che lo era, molto probabilmente. Non importava poi molto, qui e adesso. «Ma se non ci riusciamo... Anche se soffocassimo la ribellione e riportassimo di nuovo le Sorelle nella Torre, richiamassimo quelle a riposo, non so se tutte noi insieme potremmo distruggere questo posto. Sospetto che metà della Torre morirebbe nel tentativo, in qualunque caso. Qual era la prima domanda?»
Gabrelle si appoggiò all’indietro nella sedia, il suo volto all’improvviso stanco. «Sì, non è una decisione semplice. E portano altri uomini ogni giorno che passa. Già quindici o venti da quando siamo qui, credo.»
«Non scherzare con me, Gabrelle! Qual è la prima domanda?» Lo sguardo della Marrone si intensificò e la fissò per un lungo istante.
«Presto il trauma passerà» disse infine. «Cosa accadrà allora? L’autorità che Elaida ti accordato è finita, la spedizione è finita. La prima domanda è: siamo cinquantuno Sorelle unite, o torniamo a essere Marroni e Rosse, Gialle e Verdi e Grigie? E povera Ayako, che di sicuro sta rimpiangendo che le Bianche abbiano insistito per includere una loro Sorella. Lemai e Desandre sono quelle di rango più alto fra noi.» Gabrelle agitò il cucchiaio come ammonimento. «L’unica possibilità che abbiamo di restare unite è se tu e io ci sottomettiamo pubblicamente all’autorità di Desandre. Dobbiamo! Questo sarà un inizio, per lo meno. Spero. Se possiamo riunire anche solo poche altre, per cominciare, sarà un inizio.»
Toveine trasse un profondo respiro e fece finta di fissare il nulla, in atteggiamento pensieroso. Sottomettersi a una Sorella di rango più alto non era difficile, di per sé. Le Ajah avevano sempre conservato segreti, e talvolta complottavano un poco l’una contro l’altra, ma l’aperto dissenso ora nella Torre la atterriva. Inoltre, aveva imparato come essere umile davanti a comare Doweel. Si domandò come era possibile che a quella donna piacesse la povertà e volesse lavorare in una fattoria per una sorvegliante perfino più severa di lei.
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