Robert Jordan - Il cuore dell’inverno

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«Solo uno?» disse lei. Poggiando gli altri sul pavimento, si piantò i pugni sulle anche e gli lanciò un’occhiataccia. «Alle volte penso che tu sia davvero un pastore. Queste borse peseranno almeno un quintale ciascuna.»

Ma sembrava più divertita che risentita.

«Avresti dovuto prendere libri più piccoli» le disse, infilandosi dei guanti per cavalcare e nascondere i draghi. «O più leggeri.» Si voltò verso la finestra per prendere il fagotto di cuoio e fu colpito da un’ondata di vertigini. Gli venne il latte alle ginocchia e inciampò. Un volto scintillante che non riusciva a distinguere gli balenò in testa. Con uno sforzo, si riebbe e si costrinse a raddrizzare le gambe. La sensazione di vertigini svanì. Lews Therin ansimava roco nell’ombra. Quel volto era forse il suo?

«Se credi di farmeli portare per tutto il tragitto, ripensaci» borbottò Min.

«Ho visto stallieri fingere meglio. Potevi provare a cadere.»

«Non stavolta.» Era pronto per ciò che accadeva quando incanalava; poteva controllarlo fino a un certo punto. Di solito. Spesso. Le vertigini senza saidin erano qualcosa di nuovo. Forse si era voltato troppo di fretta. E forse i maiali volavano. Si aggiustò la cinghia del fagotto di cuoio sopra la spalla libera. Gli uomini nel cortile delle stalle erano ancora occupati. A costruire. «Min...»

Le sue sopracciglia si abbassarono immediatamente. Lei si fermò un istante per infilarsi i suoi guanti rossi e cominciò a tamburellare un piede. Un segnale pericoloso da parte di una donna, specialmente una che portava dei coltelli. «Ne abbiamo già discusso, Rand dannato Drago al’Thor! Non mi lascerai indietro!»

«Non mi è mai passato per la testa» mentì lui. Era troppo debole; non riusciva a dire le parole, a farla rimanere. Troppo debole , pensò con amarezza, e lei potrebbe morire per questo, che la Luce mi folgori per sempre!

Lo farà , promise piano Lews Therin.

«Pensavo solo che sapessi cosa abbiamo fatto e quello che stiamo per fare» proseguì Rand. «Suppongo di non essere stato molto disponibile.»

Concentrandosi, afferrò saidin. La stanza sembrò turbinare e lui cavalcò la valanga di fuoco e ghiaccio e lerciume con la nausea che gli ribolliva nella pancia. Fu in grado di rimanere eretto senza ondeggiare, però. A malapena. E appena in grado di tessere i flussi di un passaggio che si aprì su una radura innevata dove due cavalli sellati erano legati al ramo basso di una quercia.

Fu lieto di vedere gli animali ancora lì. La radura era piuttosto distante dalla strada più vicina, ma c’erano comunque vagabondi che avevano voltato le spalle a famiglia, fattoria, commercio e mestiere, perché il Drago Rinato aveva spezzato ogni legame. Così dicevano le Profezie. D’altro canto, un bel po’ di quegli uomini e donne, coi piedi doloranti e a volte perfino semicongelati, erano stanchi di cercare senza sapere cosa. Anche queste cavalcature qualunque sarebbero certo scomparse non appena qualcuno le avesse trovate incustodite. Aveva abbastanza oro da comprarne altre, ma non pensava che Min avrebbe gradito la passeggiata di un’ora fino al villaggio dove avevano lasciato i cavalli da soma. Affrettandosi attraverso la radura, fingendo che fosse il passaggio dal pavimento al terreno ricoperto di neve che gli arrivava fino al ginocchio a farlo incespicare, aspettò finché lei non ebbe raccolto le sue borse di libri e l’ebbe seguito arrancando prima di rilasciare il Potere. Erano a cinquecento miglia da Cairhien e più vicini a Tar Valon che a qualunque altro posto. Alanna scomparve dalla sua testa quando il passaggio si chiuse.

«Disponibile?» disse Min in tono diffidente. Di tutte le sue ragioni, sperava lui, o di tutto tranne la verità. Le vertigini e la nausea lentamente si attenuarono. «Sei stato aperto come una conchiglia, Rand, ma io non sono cieca. Prima abbiamo Viaggiato fino a Rhuidean, dove hai fatto così tante domande su questo posto chiamato Shara che chiunque pensava avessi intenzione di andare lì.» Corrucciandosi un poco, lei scosse il capo mentre assicurava uno dei fagotti alla sella del castrone bruno. Si lamentò per lo sforzo, ma appoggiò l’altra borsa di libri sulla neve. «Non pensavo che il Deserto Aiel fosse così. Quella città è più grande di Tar Valon, anche se è semidistrutta. E tutte quelle fontane, e il lago. Non riuscivo neanche a vedere la sponda opposta. Non pensavo affatto che ci fosse acqua in quel deserto. Ed era freddo come qui; pensavo che il deserto fosse caldo!»

«In estate, durante il giorno cuoci, ma di notte geli comunque.» Si sentiva abbastanza ristabilito da cominciare a fissare i propri fagotti alla sella del suo grigio. Quasi. Lo fece comunque. «Se sai già tutto, cos’altro stavo facendo oltre a porre domande?»

«Lo stesso che hai fatto a Tear la scorsa notte. Assicurarti che ogni gatto e merlo sapesse che eri lì. A Tear, hai chiesto di Chachin. È ovvio. Stai cercando di confondere chiunque cerchi di scoprire dove ti trovi e dove andrai in seguito.» Con la seconda borsa di libri che faceva da contrappeso alla prima dietro la sella, lei slegò le redini e salì in groppa. «Allora, sono cieca?»

«Hai gli occhi di un’aquila.» Sperava che i suoi inseguitori vedessero la situazione con uguale chiarezza. O che lo facesse chiunque li comandava. Non gli sarebbe servito a nulla che fuggissero la Luce dove sapeva. «Mi occorre lasciare altre false piste, ritengo.»

«Perché perdere tempo? So che hai un piano, so che riguarda qualcosa in quel fagotto di cuoio — un sa’angreal -e so che è importante. Non avere l’aria così sorpresa. Non perdi di vista quella borsa neanche per un attimo. Perché non procedere col tuo piano, qualunque esso sia, e poi lasciare le tue false piste? E quella vera, naturalmente. Li attaccherai dove meno se l’aspettano, hai detto. Non puoi farlo, a meno che non ti seguano dove vuoi.»

«Vorrei che tu non avessi mai cominciato a leggere i libri di Herid Fel» borbottò stizzito, issandosi in sella al grigio. La testa gli girava un po’. «Risolvi anche troppi enigmi. Riuscirò a tenerti mai qualcosa segreto, ora?»

«Non ci sei mai riuscito, zuccone» rise lei, e poi, contraddicendosi: «Cosa stai architettando? A parte uccidere Dashiva e gli altri, intendo. Ho diritto di saperlo, se viaggio con te.» Come se non fosse stata lei a insistere per viaggiare insieme a lui.

«Ho intenzione di purificare la metà maschile della fonte» disse in tono piatto. Un annuncio importante. Un piano pretenzioso, più che pretenzioso. Grandioso, avrebbero detto in molti. Dalla reazione di Min, era come se avesse detto che intendeva fare una passeggiata pomeridiana. Lei lo guardò con semplicità, le mani incrociate sul pomello della sella, finché lui non proseguì.

«Non so quanto ci vorrà e, una volta iniziato, credo che chiunque sia in grado di incanalare entro mille miglia da me saprà che sta accadendo qualcosa. Dubito che sarò in grado di fermarmi e basta se Dashiva e gli altri, o i Reietti, appaiono all’improvviso per vedere di cosa si tratta. Per i Reietti non posso fare nulla, ma, con un po’ di fortuna, posso sbarazzarmi degli altri.» Forse essere ta’veren gli avrebbe dato il vantaggio che gli occorreva tanto disperatamente.

«A seconda della fortuna, o Corlan Dashiva o uno qualunque dei Reietti ti avrà per colazione» disse lei dirigendo il suo cavallo fuori dalla radura.

«Forse posso pensare a un modo migliore. Andiamo. C’è un bel fuoco caldo alla locanda. Spero che ci lascerai il tempo per un pasto caldo prima di partire.»

Rand la fissò con aria incredula. Chi avrebbe mai pensato che cinque Asha’man rinnegati, per non parlare dei Reietti, fossero una minore seccatura di uno stomaco vuoto? Spronando il grigio in avanti in mezzo alla neve, la raggiunse e cavalcarono in silenzio. Le teneva nascosti ancora alcuni segreti, come la malattia che aveva cominciato a colpirlo quando incanalava. Era quello il vero motivo per cui prima di tutto doveva occuparsi di Dashiva e degli altri. Gli avrebbe dato il tempo di superare la malattia. Se era mai possibile. Altrimenti, non era sicuro che i due ter’angreal che aveva dietro la sua sella sarebbero stati di alcuna utilità.

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