Robert Silverberg - Gilgamesh

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Disse: «Che cosa ti è successo? Che cosa fai? Io non esco mai dal Tempio, non ho notizie della città, tranne le chiacchiere che mi riportano le cameriere.»

«Mia madre è Sacerdotessa di An. Io compio qualche funzione nel suo Tempio. Studio le cose che studiano i ragazzi. Voglio entrare nel pieno della virilità.»

«E poi?»

«Farò quello che gli Dei esigeranno da me.»

«Qualche Dio ti ha già scelto?»

«No,» dissi. «Non ancora.»

«Lo vorresti?»

Mi strinsi nelle spalle.

«Accadrà quando accadrà.»

«Inanna mi ha scelto quando avevo sette anni.»

«Accadrà quello che accadrà,» dissi.

«Quando lo saprai, verrai da me e mi dirai quale Dio è?»

Mi fissava con intensità. Sembrava vantare un diritto su di me, e non capivo perché. E non mi piaceva. Ma il suo potere era forte. Sentii me stesso rispondere dolcemente: «Si, te lo dirò. Se è quello che vuoi.»

«È quello che voglio,» disse.

Allora il suo atteggiamento si addolcì: perse quella punta maliziosa, e quell’espressione che mi pareva licenziosa. Da un sacchetto appeso al polso prese un amuleto e me lo diede. Era una statuetta di Inanna, con un grande seno e con le cosce gonfie, scolpita in una pietra verde e levigata in un modo che non avevo mai visto. Sembrava risplendere di una fiamma interna.

«Tienilo sempre con te,» disse.

Mi turbò ricevere quell’amuleto da lei. Ebbi l’impressione che il prezzo della statuetta fosse la mia anima.

Dissi: «Non posso accettare un oggetto così prezioso.»

«Non puoi rifiutarlo. Sarebbe un peccato respingere i doni di una Dea.»

«I doni di una Sacerdotessa, sarebbe meglio dire.»

«La Dea parla attraverso la sua Sacerdotessa. Questo è tuo e, finché lo terrai, sarai sotto la protezione del potere della Dea.»

Forse era vero. Ma mi metteva a disagio. Ad Uruk siamo tutti sotto la protezione del potere della Dea, ciononostante Inanna è una Dea pericolosa, che si occupa in modo misterioso dei propri sudditi, ed è imprudente avvicinarsi troppo a lei. Mi padre aveva servito Inanna, come ogni Re di Uruk deve fare ma, ogniqualvolta si era recato privatamente in un Tempio, era sempre stato quello del Padre del Cielo, An. E io stesso mi sentivo più a mio agio con Enlin delle Tempeste che con la Dea. Ma non avevo altra scelta che prendere l’amuleto. Può essere pericoloso adorare Inanna, ma è di gran lunga peggiore provocare la sua ira.

Quando quel giorno me ne andai, mi sentivo strano, come se fossi stato costretto a cedere qualcosa di grande valore. Ma non avevo idea di che cosa si trattasse.

Nei mesi successivi fui invitato molte altre volte nella sala delle udienze che si trovava alla fine di quella galleria di Demoni e di Maghi, nelle viscere del Tempio di Enmerkar.

Ogni volta era lo stesso: una conversazione inconcludente, un corteggiamento minaccioso che non portava a nulla, e l’impressione di essere stato sconfitto in un gioco le cui regole non capivo. Spesso aveva un piccolo dono da darmi ma, quando fui io a portarle un regalo, lei non lo prese. Voleva sapere molte cose: notizie della Corte, dell’assemblea, del Re. Che cosa avevo sentito dire? Che cosa si diceva nel Palazzo? Era insaziabile.

Divenni prudente, le dicevo poco, rispondevo alle sue domande con risposte brevi e vaghe, fin dove mi fosse possibile. Non sapevo che cosa volesse da me. E temevo il potere della sua bellezza, che sapevo era forte abbastanza da portarmi alla rovina. A chiunque altro, per quanto fossi piccolo d’età, avrei detto: «Vieni con me, stiamo un po’ insieme,» ma come avrei potuto dire queste parole a lei? Schermata com’era dall’aura di divinità, sarebbe stata irraggiungibile, finché non avesse dato il suo consenso. Ad una sua sola parola, ad un suo solo cenno, mi sarei inginocchiato ai suoi piedi.

Ma lei non diceva quella parola. Non faceva quel cenno. Pregavo gli Dei di stringerla tra le braccia. Ma, sebbene il calore del suo sorriso dicesse una cosa, la scintilla glaciale dei suoi occhi ne diceva un’altra, e mi teneva lontano da lei come se fossi un eunuco. Sembrava aldilà della mia portata. Eppure non avevo dimenticato le parole che mi aveva detto quand’ero bambino, il giorno dell’incoronazione di Dumuzi: Quando sarai Re, io giacerò tra le tue braccia.

6

Poi arrivò il mese di Tashritu, la stagione dell’Anno Nuovo, quando il Re si unisce nel Matrimonio Sacro con Inanna e tutto rinasce. È il tempo in cui il Dio attraversa a grandi passi la soglia del Tempio simile ad una tempesta tonante e versa il suo seme nella Dea, e le piogge tornano dopo la lunga morte aspra e secca dell’estate.

È la festa più grande e più sacra di Uruk, dalla quale dipende tutto il resto. I preparativi occupano tutti gli abitanti della città per settimane, mentre l’estate declina. Quello che è stato contaminato durante l’anno, deve essere purificato con sacrifici e fumigazioni. Coloro che sono immondi per nascita, i membri delle caste impure, devono uscire fuori le mura e costruirvi un villaggio temporaneo. Gli animali deboli e deformi si devono uccidere. Tutte le case e gli edifici pubblici che hanno bisogno di riparazioni, vengono restaurati, e vengono esposte le decorazioni della festa. Poi cominciano le sfilate, guidate dagli arpisti e dai timpanisti. Le prostitute indossano fasce di colori vivaci e il mantello della Dea. Gli uomini adornano il lato sinistro con abiti femminili. I Sacerdoti e le Sacerdotesse passano per le strade con le spade insanguinate, le asce a doppia lama, con cui si sono compiuti i sacrifici. Danzatori saltano attraverso i cerchi e sulle corde.

Nel suo Tempio Inanna si lava, si unge e indossa gli ornamenti sacri, il grande anello di cornalina, i lacci di lapislazzuli, la splendente piastra d’oro sul ventre, le gemme per l’ombelico, per i fianchi, per il naso e per gli occhi, gli orecchini di oro e di bronzo, e i pettorali d’avorio. E il Dio Dumuzi, il Portatore della Fertilità, entra nel Re, che in barca arriva al quartiere del Tempio e attraversa il cancello del Santuario di Eanna, portando con sé una pecora e un capretto. Si fermano insieme sul porticato del tempio, la Sacerdotessa e il Re, la Dea e il Dio, mentre tutta la città li acclama. Poi entrano nel Tempio, vanno nella camera da letto che è stata approntata per loro. Il Dio carezza la Dea, entra in lei e versa la sua fertilità nel suo grembo. Così era fin dalle origini, quando esistevano solo gli Dei e il regno non era ancora sceso dal cielo.

Il giorno del primo quarto di luna, che segnava l’inizio dell’Anno Nuovo, mi recai con tutti gli altri alla Piattaforma Bianca, ad aspettare all’esterno del Tempio di Enmerkar la presentazione di Inanna a Dumuzi. Un vento lieve, umido e odoroso, soffiava da sud. Era il vento che chiamiamo Inganno, perché promette la primavera, ma in realtà annuncia l’inverno.

Il Re apparve, con la sua pecora e il suo capretto, all’estremità occidentale della piattaforma. La folla si aprì per lasciarlo passare. Egli salì lentamente i gradini e giunse al Tempio. Aveva un aspetto splendido. La luce divina era su di lui, e il suo corpo ne brillava.

C’è qualcosa nel compimento del Matrimonio Sacro che esalta ogni uomo. Questa era la sesta volta che Dumuzi compiva il rito da quando era diventato Re, e ogni anno, nel vederlo attraversare la piattaforma, ero rimasto stupito dal timore e dal rispetto che mi ispirava, quell’uomo che in tutte le altre occasioni mi sembrava così normale, così fiacco nello spirito.

Ma, quando il Dio entra nel Re, il Re è un Dio. Non dimenticherò mai l’aspetto di mio padre durante questo rito. Era potente, grande e immenso, non guardava né da un lato né dall’altro mentre oltrepassava il punto in cui eravamo io e mia madre. Entrava nel Tempio, ritornava con Inanna al suo fianco, tendeva le mani verso il popolo, e rientrava nel Tempio per condurre la Dea alla sua camera da letto. Ma Lugalbanda aveva sempre un aspetto maestoso. Non mi sarei mai aspettato che Dumuzi riuscisse ad eguagliare la sua magnificenza, eppure quella notte ci riuscì.

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