Hal Clement - Luce di stelle

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Luce di stelle: краткое содержание, описание и аннотация

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Chi non ricorda il pianeta Mesklin e i suoi straordinari abitanti, costretti a vivere in condizioni di gravità proibitive per gli esseri umani? Gli eroi meskliniti di Hal Clement tornano in questo romanzo, in sé pefettamente autonomo, che è di fatto il secondo capitolo della saga iniziata con
(
), tenuto a battesimo in Italia proprio sulle pagine di URANIA. Ancora una volta la pazienza, il coraggio e le straordinarie caratteristiche fisiche dei meskliniti permetteranno loro di avere ragione di un mondo in cui la forza di gravità è così schiacciante da rappresentare da sola il più terribile e immediato dei pericoli. Senza contare le numerose incognite di questa nuova e inedita missione nello spazio, scritta da un maestro della tecnologica…

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— Umpf! — commentò Easy, il cui vero nome era Elise Hoffman, senza però dare minimamente a vedere se il commento di Boyd l’aveva divertita o fatta infuriare. — Anche Ib dice sempre così, ma io non ascolto i suoi consigli perché penso sia troppo compromesso.

— Posso anche ammettere che lo sia, ma questo non squalifica automaticamente la sua opinione. Qualcosa di buono nelle sue idee c’è senz’altro.

— Grazie Easy — risuonò la risposta di Dondragmer, interrompendo la piccola discussione. Parlava adesso nella sua lingua, che nessuno dei due uomini presenti capiva più di tanto. — Sarei felice di sentire qualcosa di positivo dai vostri scienziati. Non credo comunque sia il caso di avvertire Barlennan, a meno che non vi sia qualche motivo particolare per farlo. Non siamo ancora nei guai, dopotutto, e sono certo che ha già abbastanza a cui pensare senza venir seccato dai rischi potenziali. I risultati delle ricerche possono venir trasmessi sulla ricevente numero due, direttamente al laboratorio. Meglio evitare di ritrasmetterle, per non confondere i dati. Ora interromperò la comunicazione, ma manterrò in funzione tutte e quattro le riceventi. — La trasmissione si interruppe e Aucoin, il terzo ascoltatore, si alzò in piedi osservando Easy per una traduzione. Lei prontamente eseguì.

— Questo significa lavoro — commentò Aucoin. — Avevamo un certo numero di programmi a lungo termine per la Kwembly, ma se Dondragmer si ritrova bloccato per molto in quel punto e meglio darsi da fare per vedere che lavoro affidargli. Se ho capito bene, non crede di riuscire a liberarsi dall’impiccio in cui si trova molto presto. Passerò per prima cosa dalla sezione informazioni e domanderò loro di riprodurre un preciso rapporto basato sulle osservazioni dei satelliti nella zona d’ombra, poi passerò dalla sezione meteorologia per analizzare le formazioni e infine alla sezione di pianificazione.

— Ci vediamo alla sezione meteorologia — replicò Easy. — Ma prima volevo procurarmi le informazioni che ci ha chiesto Dondragmer, sempreché lei voglia rimanere qui di guardia, Boyd.

— Va bene, per un po’. Anch’io ho delle cose piuttosto urgenti da fare, ma farò in modo che il canale con la Kwembly rimanga sempre aperto. Meglio comunque avvisare Dondragmer: non vorrei che inviasse una richiesta di soccorso in stennita, o come diavolo si chiama la lingua dei mescliniti. Trovo sia meglio che sappia con chi dovrà parlare. Sessanta secondi in più o in meno non faranno una gran differenza comunque, considerando il poco che potremo fare per lui.

La donna si strinse nelle spalle, pronunciò nel microfono qualche parola in stennita, fece un cenno a Mersereau e lasciò il salone prima ancora che Dondragmer ebbe ricevuto la sua ultima frase. Alan Aucoin era già andato.

Il laboratorio di meteorologia si trovava all’“ultimo” livello del cilindro, abbastanza vicino al centro di rotazione della stazione spaziale da rendere una persona dieci volte più leggera che nel salone delle comunicazioni. Le strutture per l’esercizio fisico erano limitate, gli ascensori non erano stati previsti nella stazione e l’apparato di comunicazione a circuito chiuso doveva venir utilizzato per motivi strettamente di servizio. Easy Hoffman poteva scegliere tra una scala a chiocciola che avvolgeva a spirale l’asse simmetrico del cilindro o una delle molte e ripide scale a pioli. Dato che non trasportava nulla, non si scomodò fino al punto di salire le scale a chiocciola. Il laboratorio si trovava direttamente al di sopra del salone delle comunicazioni, e lei lo raggiunse in meno di un minuto.

Quello che maggiormente spiccava nel laboratorio erano due mappe emisferiche di Dhrawn, il cui diametro raggiungeva i sei metri. Si trattava di due schermi continuamente aggiornati con dati quali la temperatura, la pressione, il vento e altri ancora, ottenuti grazie ai satelliti orbitanti a bassa quota e ai rapporti degli esploratori mescliniti. Una macchia di luce verde poco a nord dell’equatore indicava la colonia, e nove deboli puntini gialli in ordine sparso entro un certo raggio dalla colonia i ricognitori di terra. Sullo sfondo del gigantesco pianeta, l’area coperta dai ricognitori risultava incredibilmente piccola, estendendosi per non più di tredicimila chilometri da est a ovest e trentamila da nord a sud. Tutti comunque rimanevano a ovest della zona battezzata “Alfa inferiore” dai planetologi.

I puntini gialli, a eccezione di due un po’ spostati verso le fredde regioni occidentali, formavano una specie di arco intorno all’Alfa inferiore. In futuro, quella zona sarebbe stata delimitata da una serie di rivelatori atmosferici, ma fino a quel momento questo riguardava solo diecimila chilometri di perimetro.

I costi erano stati elevatissimi non solo in termini economici, che Easy cercava sempre di considerare come la misura degli sforzi effettuati, ma anche in termini di feriti, morti e dispersi. I suoi occhi cercarono la luce gialla bordata di rosso appena all’interno di Alfa inferiore. La Esket. Sette mesi, o tre giorni e mezzo di Dhrawn, erano passati dall’ultimo messaggio scambiato con il suo equipaggio. La telecamera continuava a inviare immagini del suo interno. Talvolta Easy ricordava con tristezza i suoi amici Kabremm e Destigmet e qualche volta colpiva la coscienza di Dondragmer, anche se lei ne era del tutto ignara, parlando con il capitano mesclinita della triste fine dei suoi amici.

Un “salve Easy”, seguito da un “ciao mamma”, la distolse dai suoi cupi pensieri.

— Salve, signori del tempo — rispose lei. — Un certo mio amico gradirebbe sapere che tempo farà nei prossimi giorni. Potete aiutarmi?

— Ma certo, naturalmente se è un amico che vive qui alla stazione spaziale — rispose Benj.

— Non fare il cinico, figliolo mio. Ormai sei cresciuto abbastanza da intuire la differenza tra non capire nulla e non sapere niente. Il mio amico è Dondragmer, della Kwembly — specificò Easy, indicando una delle luci gialle sul gigantesco schermo e spiegando in breve la situazione. — Alan arriverà tra poco con la loro esatta posizione in caso possa servire.

— Probabilmente non servirà — chiarì subito Seumas McDevitt. — Ma se non le piace il cinismo dovrò misurare attentamente le parole. Tra la posizione a terra dei ricognitori e quella riportata dallo schermo possono esistere differenze anche di un centinaio di chilometri, e io dubito seriamente che le nostre previsioni possano arrivare a un tale grado di precisione da far sì che una simile differenza conti veramente.

— Veramente, non ero neppure certa che i dati vi permettessero di fare una previsione — ribatté Easy. — Ho sentito dire che anche su questo pianeta i cambiamenti del tempo procedono da ovest, e nell’area a ovest della Kwembly la notte è già calata da due giorni e mezzo. Abbiamo abbastanza dati sulle turbolenze a ovest da poter fare una previsione?

— Ma certo — rispose subito Benj, mentre il sarcasmo lo abbandonava e l’entusiasmo per la fisica atmosferica cresceva. — In ogni caso la luce riflessa del sole non conta molto nelle nostre tecniche di rilevamento: quasi tutta l’energia viene irradiata direttamente dalla superficie del pianeta, che ne emette molto più di quanta non ne riceva dal suo sole. Immagino che tu sappia — continuò, rivolto alla madre — della vecchia questione su Dhrawn, cioè se sia un pianeta o una stella. Ormai sappiamo abbastanza da prevedere la temperatura al suolo, fenomeni locali, spostamenti delle masse nuvolose e loro formazione, ma i venti… i venti sono difficili — disse, esitando e sentendo su di lui l’occhio di McDevitt, che lo osservava con espressione da giocatore di poker. Il meteorologo comprese l’imbarazzo del giovane e annuì prima che quest’ultimo perdesse l’impeto mostrato fino allora. McDevitt non aveva mai fatto l’insegnante, ma ne aveva la stoffa.

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