Bob Shaw - Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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Provò a costringere il suo cervello a rimettersi in moto, mentre il pavimento ondeggiava sotto i suoi piedi e la stoffa del pallone crepitava di suoni simili allo schioccare di una frusta. Le due navi incastrate avevano cominciato a perdere quota molto in fretta, come si poteva vedere dalle altri due navi reali che sembravano fuggire all’insù.

Leddravohr si affacciò al parapetto della sua navicella, per la prima volta dopo il decollo, e dietro di lui Zavotle continuava a mandare inutili lampi di luce con il suo eliografo.

Era impossibile per Toller staccarsi dalla nave del Re aumentando la propria velocità in discesa. Il suo pallone aveva già perso gas e stava pericolosamente avvicinandosi al punto critico in cui la resistenza dell’aria di un’eccessiva velocità avrebbe potuto sgonfiarlo, dando inizio a una caduta di mille miglia verso la superficie di Sopramondo.

Al contrario, era urgente far arrivare grandi quantità di gas caldo nel pallone, ma in quel modo, con il carico extra in alto, c’era il rischio che la pressione interna aumentasse così tanto da farlo scoppiare.

Toller incontrò gli occhi di Gesalla e nella sua mente nacque la decisione, forte come un imperativo: voglio vivere.

Andò di corsa al posto di comando e accese il bruciatore con un lungo boato tonante, irrorando di gas caldo il pallone affamato, poi manovrò la leva del reattore di controllo. Il nuovo rumore si perse in quello più frastornante del bruciatore ma l’effetto ci fu.

Le altre due navi del volo reale scivolarono in basso, fuori vista, mentre quella di Toller ruotava su se stessa. Ci furono scosse, vibrazioni e sordi rumori scricchiolanti mentre la nave del Re slittava giù lungo il fianco del pallone di Toller e diventava visibile poco più in alto. Uno dei suoi montanti di accelerazione saltò via dal punto di attacco inferiore e cominciò a vagare roteando nell’aria come la spada di un duellante.

Cosa che del resto faceva anche la nave di Toller, congelata nella sua rotazione, con quel movimento pigro ma inarrestabile conseguente alla brusca accelerazione. L’altra navicella arrivò allo stesso livello e l’estremità libera del montante si infilò ciecamente nella cambusa di Toller, inclinando pericolosamente tutta la struttura. Il contraccolpo si ritrasmise lungo il montante e la sua parte superiore bucò il proprio pallone.

Una cucitura si strappò, e il pallone morì.

Si flette all’interno, sgonfiandosi e contorcendosi in una perfetta immagine di agonia, e ora la nave del Re stava precipitando in una caduta incontrollata. Il montante ancora incastrato nel fianco della cambusa fece leva ribaltando sul fianco la navicella di Toller e Sopramondo balenò davanti a loro avido e impaziente. Gesalla gridò quando cadde contro la parete e lo specchio che teneva in mano schizzò via nel vuoto blu. Toller si gettò nella cambusa, rischiando di volar fuori dal parapetto, afferrò l’estremità del montante e chiamando a raccolta tutta le forze del suo fisico da guerriero, riuscì a liberarlo e a buttarlo fuori.

Mentre la navicella si raddrizzava, Toller si aggrappò alla ringhiera e guardò l’altra nave che iniziava la sua mortale discesa. All’altezza di mille miglia la gravità era più che dimezzata, e i movimenti diventavano lenti, come in un sogno. Vide Re Prad muoversi silenziosamente sul fianco della navicella che cadeva. Il Re, con il suo occhio cieco che brillava come una stella, alzò una mano e gli fece segno, poi fu nascosto dai rottami del suo pallone. Guadagnando velocità man mano che. scendeva, ancora cercando un equilibrio tra l’attrazione del pianeta e la resistenza dell’aria, la nave divenne sempre più piccola fino a diventare un puntino tremolante ai limiti delle possibilità visive, e infine si perse sullo sfondo confuso di Sopramondo.

Sentendosi addosso quasi una pressione fisica, Toller alzò la testa verso le due navi che lo accompagnavano. Leddravohr lo stava fissando dalla più vicina, e quando i loro occhi si incontrarono tese verso di lui entrambe le braccia, come a chiamarlo in un abbraccio da amante. Rimase così, implorando in silenzio, e anche quando Toller fu tornato al bruciatore continuò a sentire lo sguardo del principe che gli accoltellava l’anima come una lama invisibile. Chakkel, grigio in volto, lo stava guardando dalla soglia dello scompartimento passeggeri, in cui Daseene e Corba stavano singhiozzando piano.

— Questo è un brutto giorno — disse Chakkel con voce incrinata. — Il Re è morto.

“Non ancora”, pensò Toller. “Ha ancora molte ore da passare”. A voce alta disse: — Voi avete visto cos’è successo. Siamo fortunati a essere qui almeno noi. Non avevo scelta.

— Leddravohr non la vedrà così.

— No — convenne Toller pensoso.— Leddravohr non la vedrà così.

Quella notte, mentre Toller cercava inutilmente di dormire, Gesalla gli si mise a fianco, e nella solitudine di quel momento gli sembrò perfettamente naturale metterle un braccio attorno. Lei gli posò la testa sulla spalla e avvicinò la bocca al suo orecchio.

— Toller — sussurrò — a cosa stai pensando?

Pensò di mentirle, poi decise che si era già imposto troppe barriere. — Sto pensando a Leddravohr. Mi chiederà soddisfazione di quello che è successo.

— Forse avrà meditato sull’accaduto ora che avremo raggiunto Sopramondo e se ne sarà fatto una ragione. Voglio dire, anche se noi ci fossimo sacrificati, non avremmo salvato il Re. Leddravohr sarà costretto ad ammettere che non avevi scelta.

— Io posso sapere che non avevo scelta, ma Leddravohr dirà che ho avuto troppa fretta di rotolare via da sotto la nave di suo padre. Forse io direi la stessa cosa, se fossi al suo posto. Se avessi aspettato un po’ di più, magari Kedalse, o qualcun altro, avrebbe potuto far funzionare il loro bruciatore.

— Non devi pensare in questo modo — disse Gesalla dolcemente. — Hai fatto quello che dovevi fare.

— E anche Leddravohr farà quello che deve fare.

— Puoi sempre batterlo, no?

— Forse, ma temo che avrà già dato ordine di giustiziarmi — rispose Toller. — Non posso combattere contro un reggimento.

— Capisco. — Gesalla si sollevò su un gomito e lo guardò, e nel buio il suo viso era bello in modo impossibile. — Mi ami, Toller?

Lui sentì di essere arrivato alla fine di un viaggio lungo quanto una vita. — Sì.

— Ne sono felice. — Si mise più dritta e cominciò a togliersi i vestiti. — Perché voglio un bambino da te.

Lui la strinse, sorridendo intontito nella sua incredulità. — Cosa pensi che possiamo fare? Chakkel è al bruciatore proprio dall’altra parte di questa tramezza.

— Non può vederci.

— Ma non è questo il modo di…

Non me ne importa niente — disse Gesalla, premendo il suo seno contro il braccio che le cingeva la vita. — Voglio che tu sia il padre di mio figlio, e potremmo avere molto poco tempo per noi.

— Non funzionerà, lo sai. — Toller si abbandonò indietro sulle trapunte. — È fisicamente impossibile per me fare l’amore in queste condizioni.

— Questo è quello che pensi tu — disse Gesalla mettendosi a cavalcioni sopra di lui, le labbra sulle labbra, accarezzandogli il viso con entrambe le mani in attesa della sua risposta.

20

Il continente equatoriale di Sopramondo, visto da un’altezza di due miglia, aveva un’aspetto assolutamente preistorico.

Toller aveva scrutato il panorama per un po’ prima di capire perché continuava a venirgli in mente quel particolare aggettivo. Non era per la totale assenza di città e di strade, prima indicazione che il continente era disabitato, ma per il colore uniforme della vegetazione.

In tutta la sua vita ogni veduta aerea che gli era capitata sotto gli occhi era caratterizzata in qualche modo dal sistema dei sei raccolti, universale su Mondo. Gli ortaggi commestibili e tutti gli altri vegetali erano coltivati in strisce parallele nelle quali i colori, attraverso mille sfumature, andavano dal marrone, al giallo maturo, ma qui le pianure erano semplicemente… verdi. Le distese assolate di quell’unico verde luccicavano davanti a lui.

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