— Grazie — disse, poi allungò la mano e gli sfiorò leggermente le labbra.
Fuori, esplose una vampata di colori e improvvisamente la nave precipitò nell’oscurità. Nell’altro reparto passeggeri Daseene, o sua figlia, piagnucolò per la paura. Toller si alzò e guardò oltre la fiancata. La frastagliata ombra ricurva di Sopramondo stava correndo in fretta verso l’orizzonte orientale, e quasi direttamente sotto la nave, Ro-Atabri era una macchia di reticoli ardenti arancione immersa in una pozza di fumo sempre più larga.
Quando tornò la luce del giorno, le quattro navi del volo reale erano arrivate a un’altezza di circa venti miglia, e un gruppo di ptertha le seguiva in ordine sparti).
Toller scrutò il cielo tutto intorno e vide un globo distante solo trenta iarde a nord. Andò immediatamente a uno dei due cannoni a rotaia montati da quella parte, prese la mira e tirò l’ago che rompeva il diaframma di vetro che separava i due lobi del contenitore nella canna dell’arma. Ci fu un breve intervallo mentre le cariche di pikonio e alvelio si mescolavano, reagivano ed esplodevano, poi, seguito da un luccichio di frammenti di vetro, il proiettile partì, si aprì a raggiera, descrisse una curva verso il ptertha e lo distrusse, liberando una chiazza di polvere violacea che sparì in fretta.
— Bel tiro — disse Chakkel dietro le sue spalle. — Voi dite che siamo al sicuro dal veleno a questa distanza?
Toller annuì. — La nave viaggia indipendentemente dal vento che c’è qui, quindi la polvere non può raggiungerci. — I ptertha non sono una grande minaccia, in realtà, ma ho distrutto quello perché sul finire della piccola notte può esserci una certa turbolenza. Non voglio rischiare che un globo entri casualmente in un vortice d’aria e si sposti verso di noi.
La faccia bruna di Chakkel assunse un’espressione preoccupata mentre fissava i globi rimasti. — Come mai sonò arrivati così vicini?
— Pura coincidenza, sembra. Se sono sparsi in un’area di cielo in cui si alza una nave, possono raggiungere la sua velocità di salita grazie al risucchio d’aria. La stessa cosa accade… Toller si interruppe sentendo altri due colpi di cannone, un po’ più in là, seguiti da leggere grida che sembravano venire da sotto.
Si sporse dal bordo della navicella e guardò direttamente giù. La convessa immensità di Mondo offriva un intricato sfondo di blu e di verde a una distesa di palloni che sembrava infinita, il più vicino dei quali era solo a poche centinaia di iarde. Altri erano in fila sotto di loro a quote diverse, in raggruppamenti casuali, e rimpicciolivano progressivamente fino a diventare quasi invisibili.
Diversi ptertha si mescolavano con le navi più in alto, e mentre Toller guardava, un altro cannone sparò e ne colpì uno. Il proiettile perse presto lo slancio e sparì tuffandosi vertiginosamente tra i disegni delle nuvole, molto più in basso. Le grida continuarono, regolari come il respiro, prima di svanire a poco a poco.
Toller si allontanò dalla ringhiera, chiedendosi se le grida erano dovute al panico di non avere la terra sotto i piedi, o se qualcuno aveva davvero visto un globo gironzolare vicino alla navicella, cieco, maligno e assolutamente invincibile, pronto a scagliarsi per uccidere. Stava già abbandonandosi a un senso di sollievo sfumato di colpa per essersi salvato da un simile destino, quando lo colpì un nuovo pensiero. I ptertha non avevano nessun bisogno di aspettare la luce del giorno per avvicinarsi.Non c’era nessuna garanzia che uno o più dei globi non fosse andato ad esplodere vicino alla sua nave durante l’intervallo di oscurità, e se era così né lui, né Gesalla, né nessuno dei suoi passeggeri sarebbe vissuto abbastanza per mettere piede su Sopramondo.
Mentre cercava di venire a patti con quell’idea, fece scivolare una mano in tasca, localizzò il curioso portafortuna datogli da suo padre, e lasciò che il suo pollice cominciasse a girare sulla superficie liscia come il ghiaccio.
Nel decimo giorno di viaggio la nave era solo a mille miglia dalla superficie di Sopramondo, ma i vecchi ritmi di notte e giorno si stavano già capovolgendo.
Il periodo a cui Toller tendeva ancora a pensare come alla piccola notte, quando Sopramondo nascondeva il sole, si era allungato fino a sette ore, mentre sul loro pianeta durava meno della metà. Toller sedeva da solo al posto di pilotaggio, aspettando lo spuntare del giorno e cercando di immaginare il futuro del suo popolo sul nuovo mondo. Pensò anche che i nativi di Kolcorron, da sempre abituati a vivere all’ombra della piccola sfera di Sopramondo, avrebbero potuto sentirsi oppressi dall’incombere di un pianeta più grande sospeso direttamente sopra di loro e che li privava di una parte proporzionalmente più grande del loro giorno abituale. Presumendo che Sopramondo fosse disabitato, gli emigranti avrebbero allora potuto costruire la loro nuova nazione dalla parte opposta, a latitudini Corrispondenti a quelle di Chamteth su Mondo. Forse sarebbe venuto un tempo in cui tutti i ricordi delle loro origini sarebbero stati dimenticati, e…
I pensieri di Toller vennero interrotti dall’apparizione di Setwan, il figlio di sette anni di Chakkel, sulla porta del loro scompartimento. Il bambino si avvicinò e appoggiò la testa sulla spalla di Toller.
— Non riesco dormire, zio Toller — sussurrò. — Posso stare qui con te?
Toller se lo tirò sulle sue ginocchia, sorridendo tra sé mentre immaginava la reazione di Daseene se avesse sentito uno dei suoi figli rivolgersi a lui chiamandolo zio.
Delle sette persone confinate nel microcosmo coatto della navicella, Daseene era l’unica che non avesse fatto alcuna concessione alla loro situazione. Non aveva parlato né con Toller né con Gesalla, portava ancora il diadema di perle e si avventurava fuori dalla zona passeggeri solo quando era strettamente necessario. Era andata avanti senza mangiare né bere per tre giorni interi piuttosto che sottomettersi all’indecenza di usare la primitiva toeletta, quando erano vicini al punto medio. Il suo volto si era fatto pallido e tirato, e sebbene la nave fosse già scesa ai livelli relativamente caldi dell’atmosfera di Sopramondo, lei rimaneva raggomitolata negli abiti imbottiti fatti a mano preparati frettolosamente per il volo di migrazione. Se qualcuno dei suoi familiari le parlava rispondeva a monosillabi.
Toller si sentiva abbastanza comprensivo nei suoi confronti, sapendo che i traumi degli ultimi giorni erano stati maggiori per lei che per chiunque altro a bordo. I bambini, Corba, Oldo e Setwan non avevano passato nella privilegiata terra di sogno dei Cinque Palazzi anni sufficienti a condizionarli irrevocabilmente, e avevano dalla loro il naturale istinto di curiosità e di avventura. Le responsabilità e l’ambizione avevano sempre tenuto Chakkel in stretto contatto con la realtà di tutti i giorni, e lui aveva forza e risorse sufficienti a far prevedere che avrebbe avuto un ruolo chiave nella fondazione di una nuova nazione su Sopramondo. E Toller era rimasto piuttosto impressionato dal modo in cui il principe, dopo un periodo iniziale di adattamento, aveva deciso di impegnarsi nella conduzione della nave senza sottrarsi a nessun compito.
Chakkel era stato particolarmente scrupoloso nell’assumersi lunghi turni di lavoro ai microreattori che davano alla nave un minimo di controllo direzionale. Ci si aspettava, e tutti l’avevano capito, che dopo un viaggio di cinquemila miglia le navi sarebbero state disperse dalle correnti d’aria su un’area piuttosto vasta di Sopramondo, ma Leddravohr voleva che il volo reale atterrasse in un gruppo unito.
Dopo avere accantonato come irrealizzabili vari metodi per tenerli radunati, i quattro palloni erano stati infine dotati di reattori orizzontali molto piccoli, che fornivano solo una minima frazione della spinta prodotta dai reattori di controllo di posizione. Tenuti accesi continuamente o comunque abbastanza a lungo, i microreattori aggiungevano una leggera componente laterale al movimento verticale della nave senza con questo farla ruotare intorno al suo asse, e in effetti il volo reale rimane in formazione chiusa per tutta la durata del viaggio.
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