Bob Shaw - Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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— Risparmiami tutto questo, padre — protestò Leddravohr, nascondendo con un sorriso il suo risentimento per essere stato ammonito come un bambino cocciuto. — Intendo trattare i nostri filosofi con tutta la considerazione che meritano. Domani andrò a Greenmount per due o tre giorni, per imparare tutto quello di cui ho bisogno sulle loro navi volanti, e se ti prenderai là briga d’informarti sentirai che non emanerò altro che cortesia e amore.

— Non esagerare. — Prad svuotò la sua coppa decorata, la posò sulla larga balaustra di pietra e si preparò ad andarsene. — Buona notte, figliolo. E ricorda: il futuro ci guarda.

Appena il Re se ne fu andato Leddravohr cambiò il suo vino con un bicchiere di forte brandy Padaliano e tornò sul balcone. Si . sedette su un divano di pelle e fissò cupamente il cielo a sud, dove tre grandi comete piumeggiavano i campi di stelle. “Il futuro ci guarda!”. Suo padre accarezzava ancora l’idea di passare alla storia come un altro Re Bytran, nascondendo anche a se stesso, la probabilità che forse non ci sarebbe più stato nessuno storico a registrare le sue conquiste. Il destino di Kolcorron stava volgendo a una fine bizzarra e ignominiosa proprio quando sarebbe dovuto entrare nell’era più gloriosa di tutte.

“E io sono quello che ci rimette di più”, pensò Leddravohr. “Non diventerò mai un vero Re”.

Mentre continuava a bere brandy, e la notte diventava gradatamente più luminosa, gli venne in mente che c’era un’anomalia in quel contrasto con suo padre. Leddravohr riteneva che l’ottimismo fosse una sua propria caratteristica, eppure era il Re che stava guardando al futuro con fiducia; il pessimismo era un tratto del vecchio, ma questa volta era Leddravohr ad essere sfiduciato e vittima di sinistri presentimenti. Perché?

Forse che suo padre era troppo assorbito dall’entusiasmo per tutte le cose scientifiche per ammettere che la migrazione era impossibile? Leddravohr tirò le fila dei suoi pensieri e fu obbligato a scartare quell’ipotesi. In qualche momento della riunione della mattina lui stesso era stato persuaso dai progetti, i grafici e le catene di cifre, ed era veramente convinto che un’astronave potesse raggiungere il pianeta gemello. Quale, allora, era la causa del senso di malessere che si sentiva addosso? Il futuro non era completamente nero, in fondo, e prima c’era la guerra con Chamteth a rallegrarlo.

Mentre piegava indietro la testa per finire il bicchiere di brandy il suo sguardo scivolò verso lo zenit, e improvvisamente ebbe la risposta. Il grande disco di Sopramondo era adesso quasi completamente illuminato e la sua faccia stava appena iniziando a mostrare le variazioni di luce che annunciavano la sua immersione notturna dentro l’ombra di Mondo. La notte profonda, quel periodo in cui il pianeta sperimentava il buio vero, stava cominciando, e aveva il suo equivalente nella mente di Leddravohr.

Lui era un soldato, professionalmente immune dalla paura, ed era per questo che era stato così restio ad accettare o anche solo a identificare la sensazione che si era nascosta nella sua coscienza per la maggior parte della giornata. Paura.

Aveva paura del volo a Sopramondo.

Quella che sentiva non era semplice apprensione per gli innegabili rischi connessi, era puro, primitivo e disarmato terrore alla sola idea di salire per migliaia di miglia nel blu che non perdona del cielo. Capiva che la forza della sua paura era tale che quando il terribile momento dell’imbarco fosse giunto lui avrebbe potuto non essere in grado di controllarsi. Lui, il principe Leddravohr Neldeever, temeva di poter crollare e correre via come un bambino spaventato, e di dover essere trascinato di peso sull’astronave davanti a migliaia…

Leddravohr schizzò in piedi e gettò via il suo bicchiere, mandandolo a frantumarsi sul pavimento di pietra del balcone. C’era un’odiosa ironia nel fatto che la sua iniziazione alla paura fosse avvenuta non sul campo di battaglia, ma nella calma di una piccola stanza, in mezzo a farfuglianti immaginazioni, con i loro sgorbi e le loro scalfitture e le loro casuali visioni dell’impensabile.

Respirando profondamente e regolarmente per aiutarsi a riguadagnare la padronanza delle sue emozioni, il principe guardò il nero della notte profonda avvolgere il pianeta, e quando infine si ritirò per andare a letto il suo viso aveva riacquistato la sua statuaria compostezza.

9

— Si sta facendo tardi — disse Toller. — Forse Leddravohr non verrà.

— Dobbiamo solo aspettare e vedere. — Lain sorrise brevemente e rivolse di nuovo la sua attenzione ai fogli e agli strumenti matematici sulla scrivania.

— Sì. — Toller studiò il soffitto per un momento. — Questa non è una conversazione vivace, vero?

— Non è affatto una conversazione — disse Lain. — È che io sto cercando di lavorare e tu continui a interrompermi.

Mi dispiace. — Toller sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo solo ma era restio a farlo. Era passato molto tempo da quando era stato l’ultima volta nella casa di famiglia, e tra i suoi più vividi ricordi di ragazzo c’era il suo ingresso in quella stanza familiare e il vedere Lain alla stessa scrivania, intento alla sua incomprensibile attività di matematico.L’istinto gli diceva che lui e suo fratello stavano raggiungendo una linea di divisione nelle loro vite, e lui aveva un intenso desiderio di passare con lui un’ora amichevole mentre era ancora possibile. Era vagamente imbarazzato da quelle sue sensazioni e non aveva neanche tentato di tradurle in parole, con il risultato che Lain non si sentiva a suo agio ed era infastidito dalla sua continua presenza.

Decidendosi a mettersi buono, Toller si avvicinò a una delle cataste di antichi manoscritti che erano stati prelevati dagli archivi di Greenmount. Prese un volume rilegato in pelle e diede un’occhiata al titolo. Come al solito le parole gli apparivano come linee di segni dal contenuto elusivo finché non usò un trucco che Lain aveva una volta escogitato per lui. Coprì il titolo con il palmo della mano e lentamente la fece scivolare verso destra, così che le lettere gli si rivelavano in sequenza. Questa volta i simboli stampati avevano un significato: “Voli aerostatici verso, l’estremo Nord”, di Muel Webrey, 2136.

Questo era il massimo a cui in genere arrivava l’interesse di Toller, ma dopo l’importantissima riunione del giorno prima, le ascensioni in pallone erano rimaste da qualche parte nella sua mente, e la sua curiosità era ulteriormente eccitata dal fatto che il libro aveva cinquecento anni. Come era stato volare per il pianeta, a quel tempo, prima che Kolcorron sorgesse a unificare una dozzina di nazioni in guerra? Si mise a sedere e aprì il libro quasi a metà, sperando che Lain ne rimanesse colpito, e cominciò a leggere. Alcuni modi di scrivere e qualche costruzione grammaticale poco familiare rendevano il testo più difficile di quanto desiderasse, ma continuò, facendo scivolare la mano tra i paragrafi. Il libro aveva più a che fare con le antiche politiche che con l’aviazione, e lui ne fu deluso. Stava cominciando a perdere la concentrazione quando la sua attenzione fu attratta da un riferimento ai ptertha: “…e lontano alla nostra sinistra i globi rosa dei ptertha si stavano alzando”.

Toller aggrottò la fronte e fece scorrere il dito sull’aggettivo varie volte prima di alzare la testa. — Lain, qui dice che i ptertha sono rosa.

Lain non alzò nemmeno lo sguardo. — Devi aver letto male. La parola è “violaceo”.

Toller studiò l’aggettivo di nuovo. — No, dice rosa.

— Devi concedere una certa libertà d’espressione alle descrizioni soggettive. Inoltre, i significati delle parole possono cambiare in un lungo periodo di tempo.

— Sì, ma… — Toller si sentiva insoddisfatto. — Quindi tu non pensi che una volta i ptertha fossero div…

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