Arkadij Strugackij - Lo scarabeo nel formicaio

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Lo scarabeo nel formicaio: краткое содержание, описание и аннотация

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— Che hai? — chiese.

Vadim parlava con difficoltà:

— Sai Toška, mi hanno ferito. Ora non sono più in grado di far niente.

Anton lo fissò per qualche secondo.

— Su, dài, spogliati, — ordinò.

— Bah! — brontolò con rabbia Saul.

Vadim si sbottonò il giubbotto. Aveva le vertigini e di quando in quando la vista gli si oscurava. Vide la faccia concentrata di Anton e la faccia addolorata di Saul. Poi sentì delle dita fredde che gli palpavano il fianco.

— L’ha accoltellato, — disse Saul. La sua voce pareva giungere da un’altra stanza. — Lei non ci ha proprio saputo fare. Io l’avrei preso con una mano sola.

— Non è stato lui, — balbettò Vadim. — È stato un altro… Un uomo nudo…

— Un uomo nudo? — disse Saul. — Questo non lo capisco nemmeno io.

Anton rispose qualcosa ma davanti agli occhi di Vadim guizzavano barbagli e cerchi luminosi ed egli perse i sensi.

VI

— Guardi, Anton, — disse Saul. — Anton! È svenuto, vede?

— Dorme, — rispose Anton, osservando attentamente la ferita. La ferita era sfilacciata e piuttosto profonda. La spada aveva colpito sotto le costole, e si era insinuata fra i fasci muscolari. Anton sospirò di sollievo. Saul, che gli stava alle spalle, sussurrò ansando:

— È grave?

— No, è una sciocchezza, — disse Anton. — Fra un’ora starà bene. — Scostò Saul. — Si sieda, per favore.

Saul rioccupò la sua poltrona e si mise a fissare con rabbia il prigioniero immobile. Anton aprì senza fretta uno zaino, tirò fuori un barattolo di colloide e ne spalmò sulla ferita una porzione abbondante. La pomata arancione divenne subito rosa, e si coprì di grinze rosee come la panna sul latte. Ecco il sangue, pensò Anton.

Dimka ha una salute di ferro! Guardò il volto di Vadim. Era un po’ più pallido del solito, ma calmo e disteso, come soleva esserlo nel sonno. E respirava, come sempre, col naso, profondamente e silenziosamente. Anton posò le dita ai lati della ferita e chiuse gli occhi.

Ogni pilota spaziale era tenuto ad apprendere i primi elementi di psicochirurgia. Praticamente ogni pilota sapeva incidere e ricucire il tessuto vivo, utilizzando la risonanza psicodinamica. Ciò richiedeva molta tensione e concentrazione. Negli ospedali si adoperavano i generatori neuronici, ma durante le spedizioni il pilota doveva valersi dei suoi soli mezzi mentali, come un antico stregone. Ogni volta Anton provava compassione per gli stregoni.

Sentì come in sogno che alle sue spalle Saul si agitava sospirando ed il prigioniero borbottava qualcosa fra i singhiozzi. Dal prigioniero veniva uno sgradevole odore acre che riempiva la cabina.

Anton aprì gli occhi. La ferita si era chiusa, spremendo fuori il colloide, ora c’era soltanto una cicatrice rosea. Basta così, pensò Anton. Altrimenti non riuscirò a guidare il bioplano. Era tutto bagnato.

— Ho finito, — disse, tirando il fiato.

Saul si alzò e guardò la ferita.

— Chi ci capisce è bravo, — brontolò. — Ma come ha fatto?

Anton si guardò intorno e sussultò. Dall’esterno, attraverso l’oblò, lo fissavano delle facce orribili, magre, dalle guance incavate e dalle labbra arricciate sui denti. Ispiravano una paura atavica, come morti che si fossero levati a dare un’occhiata dentro le case dei vivi. Anton si sentì percorrere da un brivido. Saul inarcò le sopracciglia folte e minacciò col dito. Mani ossute cominciarono a battere senza rumore sulla cappotta.

— Andate a casa! A casa! — disse forte Saul.

Anton cominciò a rivestire Vadim.

— Ora decolliamo, — disse.

— Li ammazzerete tutti.

Anton scosse la testa e occupò il sedile di primo pilota. Il bioplano vibrò e cominciò a sollevarsi lentamente. Le facce all’esterno scomparvero. Una lunga mano scheletrica dalle unghie rotte scivolò sul finestrino e scomparve a sua volta.

Girato il bioplano in direzione dell’astronave, Anton accelerò. Aveva fretta. Era già mezzanotte.

— Cosa ci avranno trovato in lui? — borbottava Saul. — È un nazista, un animale, l’ho visto io stesso come punzecchiava quegli uomini con la picca per farli andare più in fretta.

Anton taceva.

— Oh Signore! — esclamò Saul. — È pieno di bestiacce.

— Di che cosa?

— Di pidocchi, direi. Per prima cosa bisognerà lavarlo e disinfettare tutto…

Eccone ancora una, pensò Anton. Saul, come se indovinasse i suoi pensieri, aggiunse:

— Non si preoccupi, lo farò io. Speriamo che non crepi di paura quando farà il suo primo bagno.

Anton guidava il bioplano alla velocità massima, tenendosi a cento metri di quota. La piccola luna bianca si trovava quasi allo zenit, la falce rossa della seconda luna era già tramontata, ed un terzo satellite, roseo e piatto, si stava levando sull’orizzonte bianco. Vadim si scosse, sbadigliò rumorosamente e borbottò: — Mi hai curato? — e di nuovo si addormentò.

— Che cosa sta facendo? — chiese Anton. Era tanto stanco che non aveva voglia di voltarsi.

— Chi?

— Il prigioniero.

— Sta sdraiato. Puzza. Da parecchio non sentivo un puzzo simile…

Da un pezzo, pensò Anton. A me non è mai capitato di sentirlo. E ne avrei volentieri fatto a meno… Saul ha ragione: avevano fatto male ad invischiarsi in quella storia. Saul è in gamba. Si trattava veramente di un sistema. Era il sistema dello schiavismo. Schiavi e padroni. Però io avevo sempre pensato che gli schiavi devoti si incontrassero solo nei libri dozzinali… Lo schiavo devoto. Che schifo! Va bene, però ormai è fatta, per tirarsi indietro è tardi e faremmo anche la figura degli sciocchi. Se non altro scopriremo come stanno le cose. Sì, ma non era quello l’essenziale… Anche se avessi capito subito che cosa sta succedendo qui, non avrei certo potuto voltare le spalle… alla conca, dove le macchine schiacciavano gli uomini… a quel villaggio sudicio… Interessante, avrebbe tollerato il Consiglio Mondiale l’esistenza di un pianeta basato sullo schiavismo? Sentì improvvisamente tutta l’enormità del problema. Finora questa alternativa non si era mai presentata: si poteva o no intervenire nelle sorti di un altro pianeta? Gli abitanti di Leonida e di Tagora erano troppo diversi dagli uomini. La psicologia dei Leonidiani era ancora un mistero, e nessuno poteva dire quale fosse il regime sociale sul loro pianeta… Quanto agli umanoidi di Tagora, avevano da chiedere tanto poco alla natura, che non si capiva come avessero fatto a sviluppare la loro tecnica… Ma qui, su Saul, il problema era completamente diverso. Non c’era nessun altro posto in cui i rapporti sociali assumessero una forma tanto mostruosa e tuttavia, a quanto pareva, tanto universalmente accettata. I Sauliani parevano fratelli degli uomini, fratelli ancora molto giovani, immaturi e crudeli… E come se non bastasse ci si mettevano pure quelle stupide macchine degli alieni…

In lontananza, sulla piana azzurra comparve un puntolino nero. Ecco l’astronave, pensò Anton. E lì accanto, sotto la neve, c’erano i morti. Che strano, è passato appena un giorno e già mi sono abituato. Come se tutta la vita non avessi fatto altro che girare fra cadaveri nudi nella neve. L’uomo si adatta con facilità. Adattamento psicologico. Strano. Forse dipende dal fatto che in fin dei conti non sono uomini. Sulla Terra, sarei già diventato pazzo. No, sarei rimasto intontito…

Diminuendo la velocità, descrisse un cerchio intorno alla navicella.

Vedere il cono nero, che conosceva così bene, lo confortò. L’astronave sulle colline azzurre gettava due ombre dai contorni netti: una breve e nera, l’altra lunga e rossa. Il bioplano atterrò davanti all’entrata. La neve, gelando, aveva formato intorno alla nave un campo di ghiaccio. Anton si voltò verso Vadim e gli diede una manata sul ginocchio.

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