Greywolf socchiuse le palpebre nel sole. «Non riesco a sentirti, Leon», disse. «Perché non sento neppure una parola? Sento sempre e solo rumori. Uno scroscio, come quando si rovescia una carriola di ciottoli su un tetto di lamiera.»
«Augh!»
«Al diavolo, non dovremmo litigare. In fondo, che cosa voglio da te? Solo un po' di sostegno.»
«Non ti posso sostenere», replicò Anawak.
«Ma guarda un po', e io che sono stato così gentile da venire a informarti della nostra prossima azione. Non avrei dovuto farlo.»
Anawak drizzò le orecchie. «Che cosa avete intenzione di fare?»
« Tourist watching. » Greywolf rise sonoramente. I suoi denti bianchi brillavano come avorio.
«E che vuol dire?»
«Usciamo in mare e fotografiamo i tuoi turisti. Li talloniamo e cerchiamo di beccarli. Così dovrebbero farsi un'idea di che cosa vuol dire essere inseguiti e avere qualcuno che cerca di metterti le mani addosso.»
«Te lo posso far vietare.»
«E invece non puoi, perché questo è un Paese libero. Non lasciamo che nessuno stabilisca per noi quando possiamo uscire con le nostre barche e dove dobbiamo andare. Capisci? L'azione è preparata e decisa, ma, se tu ci vieni incontro, potrei ripensarci e annullarla», ribatté Greywolf.
Anawak lo fissò. Poi si girò e se ne andò. «Tanto le balene non arrivano», disse.
«Perché le avete costrette ad andarsene», fu la risposta di Greywolf.
«Noi non abbiamo fatto nulla.»
«Ah, già, è vero, l'uomo non è mai colpevole. La colpa è degli stupidi animali. Sono loro a nuotare verso gli arpioni, oppure a mettersi in posa perché vogliono una foto per l'album di famiglia. Ma ho sentito che ritornano. Negli ultimi giorni non sono forse ricomparse alcune megattere?»
«Solo un paio», disse Anawak.
«I vostri affari potrebbero mettersi male. Vuoi rischiare che le nostre azioni li facciano crollare definitivamente?» insinuò Greywolf.
«Vaffanculo, Jack.»
«Ehi, questa è la mia ultima offerta.»
«Era ora.»
«Accidenti! Leon! Almeno metti una buona parola per noi! Abbiamo bisogno di soldi. Ci finanziamo solo con le offerte, Leon! Fermati. È per una buona causa, non capisci? Noi vogliamo la stessa cosa.»
«No, non vogliamo la stessa cosa. Buona giornata, Jack.»
Anawak accelerò il passo. Avrebbe voluto correre, ma non voleva dare a Greywolf l'impressione che stesse fuggendo. L'ambientalista rimase fermo. «Carogna cocciuta!» gli gridò dietro.
Anawak non rispose. Superò deciso il delfinario e si diresse verso l'uscita.
«Leon, sai qual è il tuo problema? Forse io non sarò un vero indiano, ma il tuo problema è che tu sei un vero indiano!»
«Io non sono un indiano», borbottò Anawak.
«Ah, scusa», gridò Greywolf come se l'avesse sentito. «Tu sei un caso particolare. Perché non sei nella tua terra, dove c'è bisogno di te?»
«Bastardo», sibilò Anawak. Tremava di rabbia. Prima quella capra cocciuta, poi Jack Greywolf. Avrebbe potuto essere una giornata magnifica, iniziata con un esperimento coronato da successo. E invece lui si sentiva svuotato e infelice. « Nella tua terra… » Che cosa si credeva quella montagna di muscoli senza cervello? Con che faccia tosta gli rinfacciava le sue origini? « Dove c'è bisogno di tei » «Io sono dove c'è bisogno di me», sbuffò.
Una donna gli passò vicino e lo fissò, sbalordita. Anawak si guardò intorno. Era fuori, in strada. Sempre tremando di rabbia, salì in auto, diretto all'imbarco per Tsawwassen, e lì prese il traghetto per Vancouver Island.
Il giorno seguente si alzò presto. Alle sei era sveglio e, dopo essere rimasto per un po' a fissare il basso tetto della cuccetta, aveva deciso di andare alla Davies Whaling Station.
Nuvole rosa sfilavano lungo l'orizzonte e il cielo cominciava lentamente a schiarirsi. Nell'acqua, liscia come uno specchio, si riflettevano le montagne vicine con tonalità scure, le case, le barche. Di lì a poche ore sarebbero apparsi i primi turisti. Anawak andò sino alla fine del pontile dov'era ormeggiato lo zodiac, si appoggiò al parapetto di legno e guardò per un po' il mare aperto. Amava quella piacevole sensazione della natura che si sveglia prima degli uomini. Lì non c'era nessuno che lo infastidisse. Quelli come l'insopportabile fidanzato di Susan Stringer erano a letto e tenevano la bocca chiusa. Verosimilmente anche Alicia Delaware dormiva… il sonno dell'ignoranza.
E poi c'era Jack Greywolf.
Le sue parole riecheggiavano nella mente di Anawak. Forse Greywolf era un perfetto idiota, ma purtroppo era riuscito ancora una volta a mettere il dito nella piaga.
Osservando due piccoli pescherecci, Anawak rifletté se era il caso di chiamare Susan e convincerla a uscire in mare con lui. Greywolf non aveva mentito: erano state avvistate le prime megattere. Evidentemente arrivavano alla spicciolata, con grande ritardo. La cosa in sé era positiva, però non spiegava dove si fossero cacciate per tutto quel tempo. Forse sarebbero riusciti a identificarne qualcuna. Susan aveva fiuto, senza contare che la sua compagnia gli piaceva. Era una delle poche persone che non tirava mai in ballo la storia delle sue origini, indagando se era indiano oppure asiatico. O chissà cosa.
Samantha Crowe l'aveva fatto. Strano, a lei avrebbe potuto raccontare tutto. Ma la ricercatrice del SETI stava per partire.
Tu pensi troppo, Leon.
Anawak decise di non svegliare Susan e di andare da solo. Entrò nella stazione e mise in una borsa impermeabile il laptop, la telecamera, il binocolo, il registratore, l'idrofono, le cuffie e un cronometro. Poi prese una barretta di müesli, due lattine di tè freddo e portò tutto sul Blue Shark. Guidò lentamente il gommone scoppiettante attraverso la laguna e accelerò solo quando si fu allontanato a sufficienza dalle case. Lo zodiac sfrecciava, con la prua sollevata, e il vento colpiva il viso di Anawak, spazzando i pensieri cupi.
Senza passeggeri e fermate intermedie, procedeva molto velocemente. Dopo meno di venti minuti, scorse un gruppo di minuscole isole che spuntavano dal mare argentato, mosso da onde lunghe e distanziate, e proseguì a velocità ridotta. Anawak stava all'erta, cercando di non farsi scoraggiare. Le megattere erano state avvistate, senza dubbio. E non erano quelle stanziali, bensì le transienti, provenienti dalla Bassa California e dalle Hawaii.
Giunto al largo, Anawak spense il motore e fu immediatamente avvolto da un silenzio assoluto. Aprì una lattina di tè freddo, bevve e poi si mise a prua col binocolo.
Passò quasi un'eternità prima che qualcosa facesse capolino, ma il dorso scuro sparì subito.
«Fatti vedere. Lo so che sei lì», sussurrò Anawak.
Perlustrava attentamente l'oceano. Per alcuni minuti non accadde nulla. Poi, poco più in là, dall'acqua emersero due figure lisce, a breve distanza l'una dall'altra. Sui loro dorsi si levavano bianche nuvole di vapore, simili a fumo denso. La loro comparsa fu accompagnata da un rombo, simile a una serie di colpi di fucile. Anawak fissava quello spettacolo con gli occhi spalancati.
Megattere.
Scoppiò a ridere, felice. Come tutti gli esperti, era in grado di riconoscere la specie soltanto dal getto.
Nei grandi cetacei, il ricambio dell'ossigeno coinvolgeva ogni volta alcuni metri cubi di aria. Quella che avevano nei polmoni veniva compressa ed espulsa regolarmente dallo sfiatatoio. Una volta uscita, si allargava, si raffreddava e si condensava in una sorta di vaporizzazione. Forma e altezza del getto variavano anche all'interno della stessa specie, a seconda del tempo d'immersione e delle dimensioni. Pure il vento giocava un certo ruolo. Ma quelle erano senza ombra di dubbio le caratteristiche nuvole di condensa del getto delle megattere.
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