Gli studenti lo sapevano, i giornalisti un po' meno.
«Non fa niente», disse Anawak. «Ve la riassumo io. L'idea della coscienza di sé allo specchio è nata negli anni '70. Per decenni i test si sono limitati quasi esclusivamente ai primati. Non so se il nome Gordon Gallup vi dice qualcosa…» Circa la metà dei presenti annuì, gli altri scossero la testa. «Va bene, Gallup è uno psicologo della State University of New York. Un giorno gli venne un'idea folle: mise a confronto diverse specie di scimmie con la loro immagine allo specchio. La maggior parte la ignorò, altre cercarono di aggredirla perché pensavano si trattasse di un intruso. Alcuni scimpanzé, invece, si riconobbero nell'immagine e la utilizzarono per studiarsi. Era una cosa straordinaria, perché la maggior parte dei membri del regno animale non è in grado di riconoscersi allo specchio. Gli animali esistono, provano sensazioni, agiscono e reagiscono. Ma non hanno consapevolezza di sé. Non riescono a percepirsi come individui a sé, diversi dai loro simili.» Proseguì, spiegando che Gallup aveva segnato col colore la fronte delle scimmie e le aveva messe davanti allo specchio. Gli scimpanzé avevano capito subito chi vedevano nello specchio. Ispezionavano il segno, ne determinavano la posizione con le dita e annusavano. Gallup aveva proseguito l'esperimento con altre scimmie, pappagalli ed elefanti. Ma gli unici animali ad aver avuto quel comportamento erano stati gli scimpanzé e gli orangutan, cosa che portò Gallup a concludere che essi avevano la percezione di sé e quindi una certa coscienza di se stessi. «Ma Gallup andò oltre. Da tempo, sosteneva l'ipotesi che gli animali non potessero condividere la psiche delle altre specie. Ma il test dello specchio gli fece cambiare idea. E, oggi, non si limita a credere che determinati animali abbiano coscienza di sé, ma anche che tale condizione permetta loro d'immedesimarsi negli altri. Gli scimpanzé e gli orangutan attribuiscono opinioni agli altri individui e sviluppano compassione. Sono in grado di scindere le loro condizioni psichiche da quelle degli altri. Questa è la tesi di Gallup, che ha trovato molti sostenitori.»
Fece una pausa. Sapeva che poi avrebbe dovuto mettere un freno ai giornalisti. Non voleva ritrovarsi a leggere che i beluga erano i migliori psichiatri, che le focene avrebbero fondato un'associazione per il salvataggio dei naufraghi e gli scimpanzé un club scacchistico.
«In ogni caso, è significativo che fino agli anni '90, per il test dello specchio, siano stati usati quasi esclusivamente animali terrestri», proseguì. «Inoltre è vero che si speculava già da tempo sull'intelligenza di delfini e balene, benché fornirne la dimostrazione non suscitasse di certo l'interesse delle industrie alimentari. La carne di scimmia e la sua pelliccia interessano solo una minima parte dell'umanità. Al contrario, la caccia alle balene e ai delfini ha ben altre dimensioni e subirebbe un duro colpo se si dimostrasse l'intelligenza e la consapevolezza di sé di tali animali. Molti sono stati tutt'altro che entusiasti quando, alcuni anni fa, abbiamo iniziato i test dello specchio con le focene. Abbiamo rivestito le pareti della piscina in parte con vetri riflettenti, in parte con specchi veri e propri. Poi abbiamo segnato le focene con un pennarello nero. Ed è stato già piuttosto sorprendente notare come i nostri soggetti ispezionassero le pareti finché non trovavano gli specchi. Evidentemente avevano capito che potevano vedere meglio il segno se l'immagine riflessa era più definita. Ma siamo andati oltre: abbiamo marcato alcuni animali con un pennarello che conteneva inchiostro e altri con uno che conteneva solo acqua. Temevamo che le focene reagissero solo allo stimolo tattile; invece si fermavano a lungo a esaminarsi davanti allo specchio solo i soggetti col segno visibile.»
«Le focene ottenevano una ricompensa?» chiese uno degli studenti.
«No, e non le abbiamo neppure allenate per il test. Durante l'esperimento abbiamo addirittura segnato diverse parti del loro corpo, per evitare gli effetti dell'apprendimento e dell'abitudine. Da alcune settimane stiamo facendo lo stesso esperimento coi beluga. Abbiamo segnato sei volte i cetacei, due volte col pennarello 'finto'. Li abbiamo osservati. Ogni volta nuotavano verso lo specchio e cercavano il segno. Per due volte non l'hanno trovato e hanno interrotto subito la ricerca. A mio avviso, abbiamo ottenuto la dimostrazione che i beluga hanno lo stesso livello di autoconsapevolezza degli scimpanzé. Per alcuni aspetti, i cetacei e gli uomini possono essere considerati molto più simili di quanto pensavamo.»
Una studentessa alzò la mano. «Vuole dire…» Esitò. «I risultati vogliono dire che delfini e beluga hanno intelletto e coscienza, giusto?»
«È così.»
«Come può dimostrarlo?»
Anawak era allibito. «Non ha sentito? Non ha visto cos'è successo?»
«Certo. Ho visto che un animale ha registrato la propria immagine allo specchio, quindi è come se dicesse: 'Quello sono io'. Ciò dimostra necessariamente la coscienza di sé?»
«Si è data la risposta da sola, affermando: Quindi è come se dicesse: 'Quello sono io'. Ha coscienza di sé.»
«Non credo.» La studentessa fece un passo avanti e Anawak la osservò, aggrottando le sopracciglia. Aveva capelli rossi, un piccolo naso a punta e incisivi un po' troppo grandi. «Il vostro tentativo evidenzia attenzione consapevole e coscienza dell'identità fisica. E, a quanto pare, lo fa con successo. Ma non basta per dimostrare che questi animali possiedono una coscienza permanente dell'identità. Da esso non si possono fare speculazioni sul loro atteggiamento nei confronti degli altri esseri viventi.»
«Non ho detto questo», si difese Anawak.
«Certo. Ha difeso la tesi di Gallup secondo cui determinati animali sono in grado d'individuare se stessi rispetto agli altri…»
«Ho parlato di scimmie.»
«… Cosa che, sia detto tra parentesi, è controversa. In ogni caso, lei non ha posto nessun limite quando si è messo a parlare di focene e beluga. Oppure mi è sfuggito qualcosa?»
«In questo caso non c'è nessun limite da porre», ribatté Anawak, contrariato. «Che gli animali si riconoscano è dimostrato.»
«Alcuni esperimenti lo lasciano pensare, certo.»
«Dove vuole arrivare?»
La ragazza lo fissò, spalancando gli occhi. «Non è evidente? Lei può vedere come si comporta un beluga. Ma come fa a sapere che cosa pensa? Conosco il lavoro di Gallup. Crede di aver dimostrato che un animale può immedesimarsi in un altro. Ciò presuppone che gli animali pensino e provino sensazioni come noi. Quello che oggi ci ha mostrato è un tentativo di umanizzazione.»
Anawak era senza parole. Quella studentessa gli stava ritorcendo contro gli stessi argomenti. «Ha davvero questa impressione?» chiese.
«Lei ha detto che i cetacei potrebbero essere più simili a noi di quanto abbiamo creduto finora.»
«Lei non ha ascoltato bene, Miss…»
«Delaware. Alicia Delaware.»
«Miss Delaware.» Anawak si concentrò. «Ho detto che i cetacei e gli uomini potrebbero essere più simili di quanto pensavamo.»
«E dov'è la differenza?»
«Nel punto di vista. Non vogliamo dimostrare che la scoperta di tratti comuni rende i cetacei più simili agli uomini. La questione non è mettere l'uomo come figura ideale, ma vedere parentele sostanziali…»
«Comunque non credo che la consapevolezza di sé di un animale sia paragonabile a quella dell'uomo. Le premesse di fondo sono troppo distanti. A cominciare dal fatto che gli uomini hanno una consapevolezza permanente di sé, attraverso cui…»
«Sbagliato», la interruppe Anawak. «Anche gli uomini sviluppano una consapevolezza permanente solo a determinate condizioni. È dimostrato. Dai diciotto ai ventiquattro mesi, i bambini cominciano a riconoscere la propria immagine allo specchio. Fino a quel momento non sono in grado di riflettere sul loro 'essere se stessi'. Rispetto al cetaceo che abbiamo visto poco fa, sono ancora meno consapevoli della loro condizione intellettuale. E la smetta di fare continuamente riferimento solo a Gallup. Noi ci stiamo sforzando di comprendere gli animali. Perché non ci piova anche lei?»
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