«Non ti devi giustificare», disse Johanson, mentre si versava del vino. «Non puoi farci nulla.»
«Io non mi giustifico», ribatté Tina, in tono seccato. «Inoltre tutti potremmo fare qualcosa. Se l'umanità non consumasse tanto combustibile, il problema non esisterebbe.»
«Be', non subito, ma in futuro sì. Comunque la tua sensibilità ecologica ti fa onore.»
«E allora?» replicò lei, acida. Non le era sfuggito il tono ironico della voce di Sigur. «Forse ti sembrerà impossibile, ma le industrie del petrolio sanno anche imparare.»
«Sì, ma che cosa?»
«Nei prossimi decenni dovremo occuparci dello smantellamento di oltre seicento piattaforme perché non sono più economicamente convenienti e ormai si sono rivelate inadatte alle nuove tecnologie! Lo sai che cosa costa? Miliardi! Nel frattempo lo zoccolo continentale sarà completamente esaurito! Quindi non trattarci come se fossimo gentaglia.»
«Va bene.»
«Naturalmente adesso tutti si scagliano contro le stazioni sottomarine senza personale. Ma, se non le costruiamo, domani l'Europa dipenderà completamente dagli oleodotti del Medio Oriente e del Sudamerica e a noi rimarrà solo un cimitero in mare», continuò Tina.
«Non ho nulla in contrario. Mi chiedo solo se siete perfettamente consapevoli di quello che fate.»
«Che vuoi dire?»
«I problemi tecnici per mettere in funzione stazioni automatizzate sono enormi», disse Johanson.
«Sì, certo.»
«Voi progettate l'estrazione di enormi quantità di petrolio in zone caratterizzate da una pressione estrema, utilizzando miscele altamente corrosive e, oltretutto, con strutture prive di manutenzione.» Johanson esitò. «Fate grandi progetti, ma in realtà non avete la più pallida idea di come sia realmente laggiù.»
«Lo stiamo scoprendo.»
«Come oggi? Ne dubito. È un po' come la nonna che va in vacanza e scatta un po' d'istantanee, convinta che le permettano di conoscere il Paese in cui è stata. Avete la tendenza a individuare una zona e a esaminarla solo finché non vi sembra che possa essere quella giusta. Ma non cercate di comprendere il complesso sistema di relazioni in cui v'inserite.»
«Rieccoci», si lamentò Tina.
«Ho forse torto?»
«Conosco così bene il concetto di 'ecosistema' che potrei scriverci sopra una canzone e cantarla pure al contrario. O nel sonno. Dimmi un po', sei contro le ricerche petrolifere?»
«No, penso solo che si debba conoscere bene il mondo in cui ci s'inserisce.»
«E, secondo te, perché siamo su questa nave?»
«Sono sicuro che ripeterete i vostri errori. Alla fine degli anni '70, vi siete fatti contagiare dalla febbre dell'oro e avete riempito di costruzioni il mare del Nord. E ora tutta quella roba è soltanto un fastidio. Dovreste evitare di agire in maniera affrettata anche negli abissi marini», rispose Johanson.
«Se fossimo frettolosi come dici, perché ti avrei mandato quei maledetti vermi?» gli chiese Tina.
«Hai ragione. Ego te absolvo. » Lei si morse il labbro inferiore e Johanson decise di cambiare argomento. «Per parlare di cose più piacevoli, Kare Sverdrup mi sembra un tipo a posto.»
Tina aggrottò la fronte. Poi si rilassò e sorrise. «Credi?»
«Assolutamente.» Johanson allargò le braccia. «Non è stato molto gentile da parte tua tenermelo nascosto, ma posso capire.»
Tina fece girare il vino nel bicchiere. «È tutto così bello», sussurrò.
Per un po' non dissero nulla.
«È amore?» chiese poi lui, rompendo il silenzio.
«Per chi? Per me o per lui?»
«Per te.»
«Mmm.» Tina sorrise. «Credo di sì.»
«Credi?»
«Sono una ricercatrice. E prima devo fare delle ricerche», fu la risposta di lei.
Se ne andò a mezzanotte passata. Sulla porta si voltò, lanciando uno sguardo ai bicchieri vuoti e alle croste di formaggio. «Qualche settimana fa, con tutto questo mi avresti conquistata», mormorò. Sembrava quasi dispiaciuta.
Johanson la spinse dolcemente nel corridoio. «Alla mia età, riesco a farmene una ragione… Ma adesso va'! Va' a fare ricerche!»
Lei si chinò in avanti e gli diede un bacio sulla guancia. «Grazie per il vino.» Poi uscì.
La vita consiste nel cercare compromessi tra un'occasione perduta e l'altra , pensò Johanson, mentre chiudeva la porta. Poi sorrise e scacciò quel pensiero. Non poteva proprio lamentarsi: di occasioni ne aveva sfruttate sin troppe.
Vancouver e Vancouver Island, Canada
Leon Anawak trattenne il respiro.
Vieni, dai. Facci questo favore.
Era la sesta volta che il beluga nuotava davanti allo specchio. Il piccolo gruppo di giornalisti e studenti che si era radunato nella sala di osservazione sotterranea dell'acquario di Vancouver si bloccò in un silenzio reverente. Attraverso la gigantesca vetrata potevano vedere per intero l'interno della vasca. Raggi solari obliqui danzavano sulle pareti e sul fondo e, dato che la sala di osservazione era nell'oscurità, il gioco di luci e ombre si riverberava sui volti dei presenti.
Anawak aveva marcato il beluga sulla mandibola con un cerchio tracciato grazie a una vernice atossica. Il punto era stato scelto in modo che il cetaceo potesse vederlo solo se osservava la propria immagine riflessa. Sulle pareti di vetro riflettenti della piscina erano stati sistemati due specchi, e adesso il beluga stava nuotando lentamente davanti a uno di essi. Lo faceva con una consapevolezza tale da non lasciare ad Anawak il minimo dubbio sull'esito dell'esperimento. Il corpo bianco si girava leggermente nel passare davanti alla vetrata, come se il cetaceo volesse mostrare agli astanti la sua mandibola segnata. Poi l'animale scese più in profondità, finché non arrivò alla stessa altezza dello specchio. Si fermò, si sollevò e mosse la testa prima in una direzione, poi in quella opposta. Evidentemente cercava di scoprire da quale angolazione si vedeva meglio il cerchio. Continuò a muoversi così per un bel pezzo davanti allo specchio, agitando le pinne e voltando la piccola testa con la caratteristica bombatura della fronte.
Era davvero inquietante: un essere così diverso dall'uomo, eppure con un comportamento incredibilmente simile a quello umano… A differenza dei delfini, che avevano un repertorio limitato, i beluga erano capaci di dare molte espressioni al volto. Per un istante, sembrò persino che facesse un sorriso. Gli uomini teadono ad attribuire stati d'animo a beluga e delfini proprio a causa di quei presunti sorrisi. In realtà, gli angoli della bocca sollevati sono frutto di una serie di peculiarità fisiognomiche utilizzate per la comunicazione. I beluga potevano anche abbassare gli angoli della bocca, senza per questo esprimere tristezza. Sapevano addirittura sporgere le labbra come se fossero di buon umore e stessero fischiettando.
Poco dopo, tuttavia, il beluga sembrò perdere ogni interesse. Forse aveva esaminato a sufficienza la propria immagine riflessa… A ogni buon conto, nuotò verso l'alto con una curva elegante e si allontanò dalla vetrata.
«È tutto», disse Anawak a bassa voce.
«E questo che vuol dire?» chiese una giornalista.
«Già. Lui sa chi è. Torniamo su.»
Dal sottosuolo risalirono alla luce del sole. Alla loro sinistra c'era la piscina e tutti la fissarono. Appena sotto l'increspatura delle onde videro scivolare i corpi dei due beluga. Anawak aveva volutamente evitato di spiegare agli osservatori l'esatto corso dell'esperimento. Voleva raccogliere le impressioni dei partecipanti con la certezza che non avessero letto nel comportamento dei cetacei quello che lui desiderava leggerci.
Le sue osservazioni furono confermate in pieno.
«Mi congratulo», disse infine. «Avete appena partecipato a un esperimento che è entrato nella storia delle ricerche sul comportamento: la coscienza di sé allo specchio. Sapete di che cosa sto parlando?»
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