Frank Schätzing - Il quinto giorno

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Gennaio, costa del Perù. Il povero pescatore Juan non crede ai suoi occhi: dopo lunghe settimane di magra, si stende davanti a lui un enorme banco di pesci. Ma il terrore cancella ben presto la felicità: i pesci, muovendosi come un unico essere, distruggono la rete, ribaltano la barca e impediscono all'uomo di raggiungere la superficie.
Marzo, Norvegia. A bordo di una nave oceanografica un biologo e una scienziata osservano milioni di "vermi" luminescenti che sembrano aver invaso lo zoccolo occidentale. Da dove vengono? Cosa sono?
Pochi giorni dopo, Canada. Un gruppo di balene attaccano la Barrier Queen e la affondano. Il mondo intero sarà drammaticamente coinvolto in questi avvenimenti in apparenza così lontani tra loro.

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«Nulla, per ora», rispose Johanson, evasivo. Poi sentì un rumore di macchinari e vide che il braccio della gru si metteva in movimento, sollevando Victor.

«Venga», disse Alban. A metà della nave passarono davanti a cinque container alti come un uomo. «La maggior parte delle navi non è attrezzata per l'utilizzo di Victor. L'abbiamo preso a noleggio dalla Polarstern , perché è proprio quello che ci serve.»

«Cosa c'è nei container?» domandò Johanson.

«Le unità idrauliche per l'argano, i gruppi motore, tutte le carabattole possibili. In quello davanti, si trova la sala di controllo del ROV. Stia attento alla testa.»

Entrarono nell'angusto container attraverso una porta bassa. Johanson si guardò intorno. Più della metà dello spazio era occupato dal quadro di comando, con due file di monitor; alcuni erano spenti, altri mostravano i dati del ROV e informazioni sulla navigazione. Davanti a essi c'erano diverse persone, tra cui anche Tina.

«Quello al posto di guida è il pilota», spiegò Alban a voce bassa. «Alla sua destra c'è il copilota, che si occupa anche del braccio prensile. Victor è sensibile e preciso, ma bisogna essere molto abili per farlo funzionare come si deve. La postazione successiva è quella del coordinatore. Tiene i contatti con l'ufficiale di guardia sul ponte in modo che la nave e il robot possano lavorare in sincronia. Dall'altra parte siedono gli scienziati. Questo è il posto di Tina, che si occuperà della telecamera e di salvare le immagini. Siamo pronti?»

«Potete immergerlo», disse Tina.

L'uno dopo l'altro, anche gli ultimi monitor si accesero. Johanson vide parte della poppa, del braccio della gru, il cielo e il mare.

«Ora vede quello che vede Victor», gli spiegò Alban. «Dispone di otto telecamere: una telecamera principale con lo zoom, due obiettivi di pilotaggio per la navigazione e cinque telecamere supplementari. La qualità delle immagini è straordinaria: anche a diverse migliaia di metri di profondità riceviamo immagini nitide e dai colori brillanti.»

L'inquadratura cambiò. Il robot veniva abbassato. Il mare si avvicinava, poi l'acqua sciabordò sull'obiettivo e infine Victor s'inabissò. I monitor mostravano un mondo verde-azzurro che si faceva via via più torbido.

Nel container giunsero gli uomini e le donne che fino a poco prima avevano lavorato alla gru. Lo spazio si fece ancora più ristretto.

«Accendere il faro», disse il coordinatore.

Di colpo, lo spazio intorno a Victor divenne luminoso. Era una luce diffusa. Il verde-azzurro impallidì e al suo posto, nella zona al di fuori del fascio del proiettore, il nero aumentò. Nell'inquadratura entrarono alcuni piccoli pesci, poi tutto sembrò pieno di minuscole bollicine. Johanson sapeva che in realtà si trattava di plancton, composto da miliardi di microscopiche forme di vita. Passarono meduse rosse e ctenofori trasparenti.

Dopo un po', lo sciame di particelle divenne più denso. Il barimetro indicava cinquecento metri.

«Che compito deve svolgere Victor?» chiese Johanson.

«Deve raccogliere campioni d'acqua, dei sedimenti e anche delle forme di vita», rispose Tina senza voltarsi. «E soprattutto deve girare materiale video.»

Nell'inquadratura entrò qualcosa di frastagliato. Victor si stava inabissando lungo una ripida parete. Aragoste rosse e arancione muovevano le loro lunghe antenne. Il mare era già molto buio, ma i riflettori e le telecamere riportavano i colori naturali con tonalità sorprendentemente intense. Victor passò davanti a spugne e cetrioli di mare, poi il terreno cominciò a farsi progressivamente più piano.

«Ci siamo», disse Tina. «680 metri.»

«Okay.» Il pilota si chinò in avanti. «Facciamo una virata.» La scarpata sparì dagli schermi. Per un po' videro solo l'acqua, poi improvvisamente, nell'oscurità nera e blu, si delineò il fondale marino.

«Victor è preciso al millimetro», disse Alban, visibilmente orgoglioso. «Se vuole può anche fargli infilare la cruna di un ago.»

«Grazie, a quello ci pensa il mio sarto. Dove si trova esattamente?» chiese Johanson.

«Proprio sopra un plateau. Nel sottosuolo c'è molto petrolio.»

«Ci sono anche idrati di metano?»

Alban lo fissò, pensieroso. «Sì, certo. Perché me lo chiede?»

«Così. E la Statoil vuole costruire lì una stazione?»

«È il luogo ideale. Ameno che non ci sia qualche controindicazione.»

«Per esempio i vermi.»

Alban scrollò le spalle. Johanson notò che al francese quell'argomento non piaceva. Osservarono il robot che sorvolava un mondo sconosciuto, superando ragni marini che camminavano con le zampe rigide e pesci che razzolavano tra i sedimenti. Le telecamere riprendevano colonie di spugne, meduse luminose e seppie. In quelle zone non c'erano molti esseri; in compenso, sul fondale, si trovava una grande varietà di forme di vita. Dopo un po', il paesaggio assunse un aspetto bitorzoluto e screpolato. Dal fondo si levavano strutture stratificate.

«Sono smottamenti ricoperti di sedimenti», spiegò Tina. «Sulla scarpata norvegese ci sono già stati diversi scivolamenti.»

«Che cosa sono quelle strutture a scogliera?» chiese Johanson. Il fondale era cambiato di nuovo.

«Sono formazioni create dalle tempeste. Ci stiamo dirigendo verso il bordo del plateau», rispose Tina. «I vermi li abbiamo trovati non lontano da lì.»

Fissarono i monitor. Nella luce dei riflettori era comparsa una macchia di grandi dimensioni e di colore più chiaro.

«Un tappeto di batteri», osservò Johanson.

«Sì. Segno della presenza di idrati di metano.»

«Là», disse il pilota.

Sul monitor comparvero gigantesche macchie bianche. Erano i punti in cui il metano congelato s'immagazzinava direttamente sul fondale. Poi, però, Johanson vide un'altra cosa e si accorse subito che l'avevano notata anche gli altri. Nella sala di controllo scese una cappa di silenzio.

Parte degli idrati era sparita sotto un brulichio rosa. In un primo momento fu ancora possibile riconoscere i singoli vermi, poi la massa di corpi aggrovigliati divenne inestricabile. Tubi rosa con ciuffi bianchi si attorcigliavano l'uno sull'altro.

Uno degli uomini al quadro di comando emise un gridolino di disgusto. Come siamo condizionabili , pensò Johanson. Rabbrividiamo davanti a tutto ciò che striscia e brulica, ma è una cosa del tutto normale. Rabbrividiremmo di noi stessi se potessimo vedere le orde di acari che si muovono sui nostri pori e si nutrono di sebo, i milioni di microscopici acari che si mettono comodi nei nostri materassi, per non parlare dei miliardi di batteri presenti nelle nostre viscere. Tuttavia quello che stava vedendo non piaceva neppure a lui. Le fotografie scattate nel golfo del Messico avevano mostrato una popolazione altrettanto grande, ma gli ammali erano più piccoli e vivevano inattivi nelle loro nicchie. Quelli, invece, si spostavano, strisciavano sul ghiaccio: un'imponente massa brulicante che copriva completamente il fondale.

«Procedere a zig-zag», ordinò Tina.

Il ROV cominciò a nuotare in una specie di slalom. L'immagine era sempre la stessa: vermi ovunque.

Improvvisamente il terreno s'inabissò. Il pilota riportò subito il robot sul bordo del plateau. I potenti fasci luminosi permettevano una visibilità di pochi metri, ma si aveva l'impressione che quelle creature coprissero tutta la scarpata. A Johanson sembravano ancora più grandi degli esemplari che Tina gli aveva fatto esaminare.

Un attimo dopo, l'immagine divenne nera. Ma, superato il bordo che cadeva a strapiombo per un centinaio di metri, Victor proseguì a tutta velocità.

«Girare», disse Tina. «Osserviamo la parete del precipizio.»

Il pilota manovrò Victor, facendolo ruotare. Nella luce dei proiettori formicolavano delle particelle.

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