Frank Schätzing - Il quinto giorno

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Il quinto giorno: краткое содержание, описание и аннотация

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Gennaio, costa del Perù. Il povero pescatore Juan non crede ai suoi occhi: dopo lunghe settimane di magra, si stende davanti a lui un enorme banco di pesci. Ma il terrore cancella ben presto la felicità: i pesci, muovendosi come un unico essere, distruggono la rete, ribaltano la barca e impediscono all'uomo di raggiungere la superficie.
Marzo, Norvegia. A bordo di una nave oceanografica un biologo e una scienziata osservano milioni di "vermi" luminescenti che sembrano aver invaso lo zoccolo occidentale. Da dove vengono? Cosa sono?
Pochi giorni dopo, Canada. Un gruppo di balene attaccano la Barrier Queen e la affondano. Il mondo intero sarà drammaticamente coinvolto in questi avvenimenti in apparenza così lontani tra loro.

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Intanto il telefono continuava a suonare, cocciuto. Con gemiti esagerati, se ne rendeva perfettamente conto — esagerati soprattutto perché non c'era nessuno a udirli -, si tirò in piedi e, nonostante le vertigini, riuscì ad arrivare in salotto. Aveva lezione quel giorno? Il pensiero lo colpì come un pugno. Terribile! Un'immagine mostruosa: stare davanti agli studenti con l'aspetto di un vecchio — be', in fondo lo era -, quasi incapace di tenere la testa eretta. Avrebbe giocherellato col colletto della camicia e con la cravatta, almeno finché non sarebbe riuscito a schiodarsi la lingua. Si sentiva la bocca impastata e gli sembrava di essere totalmente incapace di muoversi e di articolare verbo.

Quando infine sollevò la cornetta, ricordò che era sabato e il suo umore migliorò di colpo. «Johanson», disse con voce sorprendentemente limpida.

«Mio Dio, ce ne hai messo di tempo a rispondere.» Era Tina Lund.

Johanson strabuzzò gli occhi e si lasciò cadere nella poltrona di fronte al televisore. «Che ore sono?» chiese.

«Sono le sei e mezzo, perché?»

«È sabato.»

«Lo so che è sabato. Qualcosa che non va? Hai una voce…»

«Non sono particolarmente in forma. Cosa vuoi da me, a quest'ora sconsiderata?»

Tina ridacchiò. «Volevo convincerti a venire a Tyholt.»

«Al Marintek? E che diavolo dovrei venirci a fare?»

«Pensavo che sarebbe carino fare colazione insieme. Kare è a Trondheim per qualche giorno e gli farebbe certamente piacere vederti.» Tina fece una pausa, quindi riprese: «Inoltre volevo chiederti una cosa».

«Mi pareva. Non è da te chiamarmi solo per un invito a colazione.»

«No, non hai capito. Volevo sentire la tua opinione su una cosa.»

«Che cosa?»

«Non al telefono. Vieni?»

«Dammi un'ora», disse Johanson, sbadigliando con tanto vigore che pensò di essersi slogato la mascella. «No, facciamo due. Prima voglio passare dall'università. Probabilmente sono arrivate altre analisi sui tuoi vermi.»

«Sarebbe perfetto. Non è strano? Prima ero io a fare cose bizzarre, adesso è il contrario. Okay, prenditi il tempo necessario, ma muoviti.»

«Agli ordini», borbottò Johanson.

Sempre in preda alle vertigini, s'infilò sotto la doccia. Dopo una mezz'ora passata a sbuffare sotto il getto d'acqua, cominciò a sentirsi relativamente meglio. Era come se il vino avesse fiaccato le sue capacità sensoriali. Gli sembrava che la sua immagine allo specchio si sdoppiasse. C'era da chiedersi se in quelle condizioni sarebbe riuscito a guidare.

Tra poco l'avrebbe saputo.

Fuori c'era il sole e faceva caldo. La Kirkegata era quasi deserta. Nella luce del primo mattino, i colori delle case e il verde degli alberi splendevano con particolare intensità. Sembrava quasi che Trondheim stesse facendo le prove generali per la primavera. Con quel clima straordinariamente bello, gli ultimi residui di neve si erano già sciolti. Johanson decise che quella giornata era di suo gradimento e che gli piaceva pure l'idea che Tina l'avesse svegliato. Si mise a fischiettare una melodia di Vivaldi per dar sfogo a quella improvvisa esplosione di buon umore e per impedire che lo condizionasse troppo mentre guidava la jeep sul Gloshaugen. Ufficialmente, durante il fine settimana, l'NTNU era chiuso, ma quasi nessuno si atteneva a quella norma. Anzi era il momento migliore per leggere la posta, rispondere alle e-mail e lavorare indisturbati.

Una volta arrivato, entrò nell'ufficio postale,, rovistò nella sua casella e ne estrasse una busta rigonfia, proveniente dal Forschungsinstitut und Naturmuseum Senckenberg di Francoforte. Quasi certamente conteneva le analisi di laboratorio che Tina stava aspettando con tanta ansia. Johanson infilò in tasca la busta senza aprirla, lasciò l'università e si diresse verso Tyholt.

Il Marintek, l'Istituto di tecnologie marine, era strettamente collegato all'NTNU, al Sintef e al centro di ricerca della Statoli. Oltre a diverse cisterne per le simulazioni e gallerie delle onde, vi era anche la più grande piscina d'acqua marina al mondo, utilizzata per la ricerca. Serviva per simulare i venti e il moto ondoso con modelli in scala. Praticamente ogni costruzione destinata a galleggiare sullo zoccolo norvegese era stata testata in quella vasca lunga ottanta metri e profonda dieci. Sistemi generatori di onde producevano correnti e tempeste in miniatura, con cavalloni alti fino a un metro. Con una piattaforma in scala ridotta era una dimensione devastante. Johanson pensò che proprio lì Tina stesse testando la stazione sottomarina destinata a essere installata sulla scarpata continentale.

Infatti la trovò nel padiglione del bacino, intenta a discutere con un gruppo di scienziati. La scena faceva uno strano effetto. Nell'acqua c'erano alcuni sommozzatori che nuotavano intorno a una piattaforma di estrazione formato giocattolo. Petroliere in miniatura navigavano in mezzo alle barche a remi dei tecnici. A una prima occhiata, sembrava un incrocio tra un laboratorio, un negozio di giocattoli e un laghetto per le gite in barca durante le domeniche estive; ma la prima impressione ingannava. Senza il Marintek, il settore offshore praticamente non sarebbe esistito.

Tina lo vide e interruppe la conversazione. Gli andò incontro, ma, per farlo, fu costretta a girare intorno alla vasca. Come sempre, si muoveva a passi rapidi.

«Perché non hai usato la barca?» chiese Johanson.

«Non siamo al laghetto del parco», ribatté Tina. «Tutto deve essere perfettamente coordinato. Se passo in mezzo alla simulazione provocando delle onde, centinaia di lavoratori petroliferi perderebbero la vita e la responsabilità sarebbe mia.» Gli diede un bacio sulla guancia. «Oh, Sigur… Pungi.»

«Tutti gli uomini con la barba pungono», borbottò luì. «Puoi essere contenta che Kare si rada, altrimenti non avresti nessun motivo per preferirlo a me. A che cosa state lavorando? Alla soluzione dei vostri problemi sottomarini?»

«Nei limiti del possibile. La piscina ci consente simulazioni realistiche fino a mille metri; a profondità superiori, i dati sono troppo imprecisi.»

«Comunque è sufficiente per il vostro progetto.»

«Certo, ma usiamo anche i computer per elaborare scenari alternativi. A volte si discostano dai risultati del bacino, allora cambiamo i parametri finché non raggiungiamo un allineamento soddisfacente.»

«La Shell mira a una stazione posta a duemila metri di profondità. L'ho letto ieri sul giornale. Avete concorrenza.»

«Lo so. La Shell ha incaricato il Marintek. È una bella gatta da pelare. Vieni, andiamo a fare colazione.»

Una volta in corridoio, Johanson disse: «Continuo a non capire perché non volete utilizzare le SWOP. Non è più facile lavorare da una costruzione galleggiante, se riuscite ad andare in profondità con le tubature flessibili?»

Lei scosse la testa. «Troppo rischioso. Le costruzioni galleggianti devono essere ancorate…»

«Lo so, tutte…» la interruppe lui.

«… e possono staccarsi», finì Tina.

«Però tutte le piattaforme sono ancorate allo zoccolo continentale.»

«Si, ma a profondità minori. Più in basso ci sono correnti di altro tipo e un diverso moto ondoso. Ma non è solo il problema dell'ancoraggio. Se le condutture di estrazione vengono spinte a profondità elevate, diventano instabili e noi non vogliamo un disastro ecologico. Inoltre non si troverebbe nessuno disposto a lavorare tanto al largo su un ponte galleggiante. Persino i più incalliti vomiterebbero anche l'anima. Andiamo di qua.»

Salirono una scala.

«Credevo che andassimo a colazione», disse Johanson sorpreso.

«Certo, ma prima voglio mostrarti una cosa.»

Tina spalancò una porta. Si trovavano in un ufficio proprio sopra il padiglione del bacino. Dall'ampia finestra si vedevano file di case coi tetti spioventi illuminati dal sole e parchi che si estendevano verso il fiordo.

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