«Se mangio qualcosa, sì. Logico.»
«E nel metano c'è un carbonio molto leggero. Se il verme vive in simbiosi coi batteri che mangiano questo metano, allora i batteri diventano più leggeri, e, se il verme li mangia, anche lui diventa leggero. E il nostro è molto leggero», proseguì lui.
«Voi biologi siete davvero ridicoli. Come fate a scoprire queste cose?»
«Facciamo cose terribili. Secchiamo il verme e lo trituriamo fino a ottenere polvere di verme e poi lo ficchiamo nella macchina di misurazione. Andiamo avanti: microscopio elettronico a scansione lineare… Hanno colorato il DNA… una procedura molto approfondita…»
«Piantala!» Tina gli si avvicinò e gli strappò i fogli di mano. «Non voglio un trattato accademico, voglio capire se possiamo trivellare o no.»
«Potete…» Johanson riprese i fogli e lesse le ultime righe. «Fantastico!»
«Che cosa?»
Lui sollevò la testa. «Queste bestie sono piene di batteri. Dentro e fuori. Endosimbionti ed esosimbionti. Sembra che i tuoi vermi siano un vero e proprio autobus per i batteri.»
Tina lo guardò, sconcertata. «E questo che vuol dire?»
«È un controsenso. Il tuo verme vive indubbiamente negli idrati di metano. Quasi scoppia di batteri. Non dovrebbe andare a caccia e scavare buchi. Se ne dovrebbe stare sdraiato sul ghiaccio, bello grasso e bello pigro. E invece possiede mandibole giganti per scavare e le orde che arrivano dalla scarpata mi sembrano tutt'altro che pigre e grasse. Anzi mi sembrano particolarmente vivaci.»
Rimasero di nuovo in silenzio per un po'. Infine Tina domandò: «Che cosa fanno laggiù, Sigur? Che razza di animali sono?»
«Non lo so», rispose Johanson. Forse sono davvero arrivati direttamente dal Cambriano. Non ho idea di che cosa ci facciano laggiù.» Esitò. «Non so neppure se la loro presenza abbia importanza. Che possono mai fare? Rotolano, sì, ma è poco probabile che si mettano a rosicchiare gli oleodotti.»
«E allora cosa rosicchiano?»
Johanson fissò il riassunto delle analisi. «Ci sono altri scienziati che potrebbero darci ulteriori informazioni. Se anche loro non ci sanno dire nulla, allora non ci resta che aspettare e scoprirlo di persona», disse.
«Preferirei non dover aspettare.»
«Bene. Mando loro qualche esemplare.» Johanson si stiracchiò, sbadigliando. «Forse avremo fortuna e verranno a dare un'occhiata con la nave oceanografica. In un caso o nell'altro, devi pazientare un po'. Per il momento non possiamo fare nulla. Per questo, se sei d'accordo, ora vorrei fare colazione e dare qualche buon consiglio a Kare Sverdrup.»
Tina sorrise. Ma non sembrava particolarmente soddisfatta.
Vancouver e Vancouver Island, Canada
Gli affari si rimisero in moto.
In altre circostanze, Anawak avrebbe condiviso la gioia di Shoemaker. Le balene ritornavano e il gestore non parlava d'altro. E infatti, l'una dopo l'altra, arrivarono balene grigie, megattere, orche e addirittura alcune balenottere minori. Naturalmente anche Anawak era felice del loro ritorno. Non c'era nulla che avesse desiderato di più. Però avrebbe preferito collegare il loro ritorno ad alcune risposte: in particolare si chiedeva dove si fossero nascoste per tutto quel tempo, visto che non erano riusciti a rintracciarle né i satelliti né le sonde. E poi non riusciva a dimenticare quel memorabile incontro. Si era sentito come una cavia da laboratorio. Le due megattere l'avevano osservato con calma e attenzione, come se fosse sul tavolo anatomico.
Erano esploratrici? E che cosa dovevano esplorare? Assurdo!
Chiuse la cassa e uscì. I turisti si erano raccolti sul molo. Con le loro tute color arancione sembravano un gruppo di soldati dei reparti speciali. Anawak inspirò la fresca aria mattutina e li raggiunse.
Poi sentì arrivare qualcuno di corsa.
«Dottor Anawak!»
Si fermò e, voltandosi, scorse Alicia Delaware. Si era raccolta i capelli rossi in una coda di cavallo e portava occhiali da sole alla moda, di colore blu. «Posso venire anch'io?» chiese.
Anawak la squadrò. Poi guardò lo scafo blu del Blue Shark. «Siamo al completo», rispose.
«Sono arrivata di corsa.»
«Mi dispiace. Tra mezz'ora parte la Lady Wexham. È molto più confortevole. Grande, cabine interne riscaldate, snack bar…»
«Non voglio. Sono sicura che c'è ancora un po' di spazio per me. Magari dietro!»
«Nella cabina siamo già in due, Susan e io.»
«Non ho bisogno di un posto a sedere.» Alicia sorrise. Con quei grandi denti sembrava un coniglio lentigginoso. «La prego! Non ce l'ha con me, vero? Vorrei tanto uscire in mare con lei. A dire il vero vorrei uscire solo con lei.»
Anawak aggrottò la fronte.
«Non mi guardi così!» Alicia Delaware strabuzzò gli occhi. «Ho letto tutti i suoi libri e ammiro il suo lavoro.»
«Non ho avuto questa impressione.»
«Per quello che è successo all'acquario?» Fece un gesto come per scacciare il ricordo. «Mettiamoci una pietra sopra. La prego, dottor Anawak, sono qui ancora per un giorno soltanto. Mi farebbe un piacere enorme.»
«Abbiamo le nostre regole», replicò Anawak, ma in un tono che suonò fiacco e meschino persino a lui.
«Mi stia a sentire, testone», esclamò Alicia. «Sono fatta d'acqua. L'avverto: se non mi prende con sé, mi scioglierò in lacrime durante il volo di ritorno a Chicago. Vuole assumersi questa responsabilità?» concluse, fissandolo divertita.
Anawak non poté fare altro che mettersi a ridere. «Va bene. Per quello che mi riguarda, può venire.»
«Davvero?»
«Sì. Ma non mi rompa le scatole con le sue teorie astruse.»
«Non sono le mie teorie, sono le teorie di…»
«Sarebbe ancora meglio se tenesse la bocca chiusa.»
Alicia si preparò a replicare, ma poi ci ripensò e annuì.
«Aspetti qui», disse Anawak. «Le prendo una tuta.»
Alicia mantenne la promessa per ben dieci minuti. Le case di Tofino erano appena scomparse dietro il pendio ricoperto di boschi, quando si avvicinò ad Anawak e gli tese la mano. «Mi chiami pure Licia», disse.
«Licia?»
«Sta per Alicia. Alicia è un nome stupido. Almeno così mi pare. Naturalmente i miei genitori non la pensavano così, ma non ci chiedono il nostro parere quando ci danno il nome: è sempre stata una situazione penosa. Lei si chiama Leon, vero?»
Lui strinse la mano che la ragazza gli aveva teso. «È un piacere, Licia.»
«Bene. E ora dovremmo chiarire una cosa», disse lei.
Anawak lanciò un'occhiata a Susan, che stava guidando lo zodiac, chiedendole silenziosamente aiuto. Lei rispose al suo sguardo, ma poi scrollò le spalle e si dedicò esclusivamente alla rotta da seguire. «Che cosa?» chiese allora, con cautela.
«Quello che è successo all'acquario… Be', sono stata stupida e saccente. Mi dispiace.»
«Già dimenticato.»
«Ma devi scusarti anche tu. »
«Come? E di che?»
Lei abbassò lo sguardo. «Nulla da dire sul fatto che tu abbia ridicolizzato le mie opinioni davanti ad altre persone, ma non avresti dovuto esprimerti in quel modo sul mio aspetto.»
«Io non ho…» Al diavolo.
«Hai detto che un beluga che mi vedesse mentre mi trucco dubiterebbe della mia intelligenza.»
«Non era mia intenzione offenderti. Era solo un paragone… astratto», spiegò lui.
«Era un pessimo paragone.»
Anawak si grattò la testa. Si era arrabbiato con Alicia perché era arrivata all'acquario col suo armamentario d'idee preconcette, dimostrandosi così un'ignorante. Ma probabilmente lui non era stato da meno. E, senza dubbio, con la sua esplosione di rabbia l'aveva offesa. «Va bene. Ti porgo le mie scuse.»
«Accettate.»
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