Robert Wilson - Memorie di domani

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Per cercare una via di scampo a un tragico passato, Raymond Keller acconsente a diventare un Occhio, ovvero un volontario che accetta di farsi impiantare nel cervello un perfetto impianto di registrazione. In tal caso non potrà più guardare dove vorrà, ma solo dove è necessario per vedere, registrare, documentare. E così dimentica il proprio passato, il presente, il futuro. Finché incontra Teresa, la meravigliosa ragazza che è anche una splendida artista. Una donna preda delle violente allucinazioni indotte dai gioielli sognanti seminati in epoche remote da una razza di extraterrestri, e che hanno proprietà ancora non completamente esplorate dalla razza umana. Occorre qualcuno che abbia rinunciato a sé per poter penetrare un segreto tra i meglio custoditi dell’universo.

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Sarebbe caduta nello specchio, precipitando nella storia e tornando a essere se stessa.

Dentro di lei, la voce della bambina era più forte e più insistente che mai. L’avvertiva che sarebbe morta, che l’uomo con la pistola l’avrebbe uccisa e che doveva fare qualcosa. Subito.

Era la stessa voce che l’aveva sostenuta durante l’incendio, pungolandola quando lei voleva lasciarsi morire, perché lo meritava.

Ma la morte non era così arrendevole. Era venuta finalmente a finire ciò che aveva incominciato. Si era ripresentata all’appuntamento mancato molti anni prima. Lei l’aveva aspettata e forse desiderata fin dal giorno dell’incendio, ormai lo poteva ammettere. Aveva cercato la pace nelle pillole, per mettere fine all’eterna lotta dentro di sé…

No , disse la voce.

Per un attimo, i ricordi presero il sopravvento. Sentì il fumo toglierle il fiato e avvertì il calore dell’incendio alle sue spalle. Carlos era morto. Mama era morta. Sarebbe dovuta morire con loro, perché non era una brava bambina e non lo sarebbe mai stata. Era la colpa su cui aveva fondato tutta la sua vita.

Sii me stessa , insisteva la voce. Fammi tornare.

No, pensò Teresa…

Poi sentì il tavolo della cucina sbattere sul pavimento, spaccandosi. Cruz Wexler si gettò in avanti… ci fu uno sparo, e Wexler rovinò a terra, sanguinante. In quel momento la porta si aprì e Ray entrò nella stanza, condotto fin lì da chissà quale miracolo. Le batté forte il cuore, vedendolo. Ma anche lui era esausto e sanguinante… Oberg gli puntò contro la pistola.

E va bene, pensò Teresa, arrendendosi. Con un movimento immaginario abbracciò la bambina, si consegnò interamente alla pietra e lasciò che il tempo tornasse indietro a quando lei era giovane, intera e desiderosa di vivere. Desiderosa che anche Ray vivesse. Corse verso Oberg, o Carlos, con ai piedi le scarpe da tennis legate con lo spago e la tuta stracciata sulle ginocchia. Si concesse di odiarlo, con tutta se stessa, e di dirgli urlando quella antica e sacrosanta verità. Che lei non era cattiva. Non era cattiva, per niente.

29

Vedendo Teresa uscire correndo dalla stanza sul retro e sapendo che Oberg avrebbe potuto puntare la pistola su di lei, Keller raccolse le sue ultime forze e balzò di lato.

Udì il rumore dello sparo seguirlo. Ricadde contro il muro in posizione raccolta, illeso ma ancora una volta privo di difese. La pallottola successiva l’avrebbe centrato di sicuro. Alzò gli occhi verso Oberg, troppo esausto per provare paura.

Vide Teresa avvicinarsi all’uomo dell’Organizzazione.

Si muoveva in modo strano. Aveva gli occhi spalancati, e il suo viso era quasi trasformato. Sembrava una bambina, pensò Keller.

Aveva la pietra di Pau Seco nella mano sinistra. Con la destra toccò Oberg.

Gli cadde addosso.

Gli occhi dell’uomo erano fissi su Keller, e in quel momento lui vide l’orrore che li sconvolgeva. Un orrore profondo e lacerante…

— La pistola — disse Byron, alzandosi e incespicando nella sedia. — Per amor di Dio, Ray, prendi la pistola!

Oberg fu colto di sorpresa.

Stava puntando l’arma contro Keller, che in qualche modo doveva essere riuscito a liberarsi della presa neurale e ad arrivare fin lì, quando la donna era uscita dalla stanza sul retro correndo verso di lui.

Tese un braccio per scansarla. Di certo non sarebbe stato un problema. Ma la pietra…

Lei aveva la pietra in mano e lo toccò.

Oberg si sentì percorrere da una scarica elettrica.

Era come quell’altra volta, quando lo aveva toccato Tavitch. Anzi, peggio. Si sentì sprofondare tra i ricordi, i secondi divennero minuti, tutto rallentò tranne l’esplosione dirompente dei suoi rimorsi. Un villaggio in Brasile, cadaveri tutt’intorno a lui… Ma non erano morti: il loro dolore e la loro rabbia erano sopravvissuti, e adesso giungevano fino a lui attraverso la mano di quella donna.

Sbatté le palpebre e scorse Keller che si alzava. Keller, apparizione sanguinante di un uomo che avrebbe dovuto essere morto. E forse era morto davvero, aveva solo mandato il suo fantasma, un altro spettro ostinato, ad accusarlo.

Ancora sbalordito, Oberg si sentì assalire da un’ondata di odio feroce e antico.

La pistola gli scivolò dalle dita.

Il corpo di Teresa lo premette contro la parete della baracca. Il suo viso era trasfigurato da un’innocenza che lui non riusciva nemmeno a concepire. Non c’era niente di simile nel mondo in cui lui era vissuto. Rappresentava un altro rimprovero, luminoso e terribile. Si scostò da lei in un impeto di autodisgusto.

Senza preavviso, capì che tipo di uomo era.

Un mostro, aveva detto Ng.

La voce riecheggiò dalla collina della forca di Pau Seco. Un mostro. Ed era vero. Lo sentiva guardando Teresa. Lei era limpida, innocente, immune da menzogne. Oberg parve rimpicciolirsi sotto la luce ardente del suo odio.

La spinse via, urlando.

La pistola… ma Keller gliel’aveva tolta di mano prima che potesse accorgersene.

Oberg infilò correndo la porta.

Keller alzò la pistola, ma non ci fu nemmeno il tempo di sparare.

Al buio, sopraffatto dal panico, Oberg raggiunse con due falcate la rete metallica, la scavalcò e si gettò nel vuoto.

Dietro di lui, Keller strizzò gli occhi nell’oscurità. I cani abbaiavano e nelle balsas vicine si era accesa qualche luce.

Si sporse oltre la rete, per guardare giù verso il canale. Non era ancora l’alba, ma la luce era già sufficiente a fargli vedere il corpo di Oberg, steso a braccia aperte, alla base di un’alzata di cemento. Le acque scure del canale si sollevarono per reclamarlo, e la macchia di sangue scomparve a poco a poco, lavata dalle onde tranquille, nella notte fredda.

Il vento spirò dall’oceano sopra la diga. Ray si girò a guardare Teresa e all’improvviso se la trovò tra le braccia, sentì il calore del suo corpo contro di sé e si accorse che piangeva.

30

In seguito, dopo i tranquilli funerali di Wexler nella Città Galleggiante, Byron capì che era giunto il momento di andarsene.

Ne aveva già parlato con Teresa, giorni prima. Si erano scambiati i saluti in privato e lui l’aveva tenuta per un attimo stretta tra le braccia.

— Non è necessario che te ne vada — gli aveva detto lei. Ma Byron aveva deciso. Era ora di tornare nel mondo.

Teresa gli aveva regalato la pietra.

— Non ne ho bisogno — gli aveva assicurato. Sul viso aveva un’espressione nuova, un sorriso da ragazzina. — Sono già stata laggiù.

Byron si allontanò con Ray lungo il canale. Era una giornata chiara e luminosa, il cielo si chinava a incontrare il mare, all’orizzonte. Byron spostò lo zaino da una spalla all’altra. Keller gli porse la mano.

Byron la strinse, pur vedendo l’amico tradire una smorfia. — Stai bene?

— Meglio, grazie. — Keller abbozzò un sorriso. — Hai la pietra?

Lui annuì. Era nello zaino.

Non sapeva bene perché l’avesse presa. Forse era stato l’istinto a suggerirgli che poteva tornare utile.

Strano, pensò. Wexler aveva passato la vita a cercare qualcosa di alieno in quelle pietre. Una saggezza più profonda, un modo per estraniarsi dal mondo. E invece non era così. Byron era stato testimone del cambiamento avvenuto in Teresa, a partire dalla notte in cui Oberg li aveva aggrediti. Sembrava che una vecchia frattura si fosse finalmente saldata. Era un cambiamento sottile, impercettibile come il suo nuovo modo di muovere gli occhi, ma molto profondo. All’improvviso, Byron aveva scoperto che non era più preoccupato per lei. Dunque le pietre non insegnavano il modo di uscire dal mondo, ma di rientrarci.

Tutti i debiti erano pagati. — Teresa si sta riprendendo molto bene — dichiarò. Poi aggiunse, d’impulso: — Abbi cura di lei, Ray. Fallo per me.

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