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Robert Wilson: Memorie di domani

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Robert Wilson Memorie di domani

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Per cercare una via di scampo a un tragico passato, Raymond Keller acconsente a diventare un Occhio, ovvero un volontario che accetta di farsi impiantare nel cervello un perfetto impianto di registrazione. In tal caso non potrà più guardare dove vorrà, ma solo dove è necessario per vedere, registrare, documentare. E così dimentica il proprio passato, il presente, il futuro. Finché incontra Teresa, la meravigliosa ragazza che è anche una splendida artista. Una donna preda delle violente allucinazioni indotte dai gioielli sognanti seminati in epoche remote da una razza di extraterrestri, e che hanno proprietà ancora non completamente esplorate dalla razza umana. Occorre qualcuno che abbia rinunciato a sé per poter penetrare un segreto tra i meglio custoditi dell’universo.

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Continuarono a parlare, incuranti della notte. Teresa aveva preso una pillola mentre era fuori, ma solo una, e l’effetto si limitava a una lieve euforia che mascherava la stanchezza. In ogni caso, in quel momento non aveva voglia di pensare alle pillole.

Byron si scusò e trasferì il materassino nell’altra stanza. Solo allora Wexler le chiese di raccontargli del Brasile e Teresa si ritrovò a parlare a ruota libera. Gli disse anche di Ray. La pillola l’aveva messa in grado di dire cose che sorprendevano lei per prima. Parlò della nuova pietra, della sua potenza, dei terribili ricordi che aveva evocato in lei e in Keller. Parlò della scintilla di conoscenza che li aveva percorsi. Descrisse il dolore e la sorpresa e rimase sbalordita quando si accorse che una lacrima le rigava la guancia. Strano. Non si sentiva triste. Stava bene.

Wexler annuiva con espressione pensierosa. Aveva la barba lunga ispida e grigia. Il suo respiro era pesante e difficoltoso, come se l’espirazione e l’inspirazione non fossero un atto automatico ma un compito che svolgeva a fatica. I suoi occhi erano colmi di sollecita premura.

Le parlò degli Esotici.

Aveva passato la vita dedicandosi a quella ricerca. Probabilmente faceva parte della sua natura porsi domande che nessun altro si poneva. Tutti si preoccupavano di trarre dagli oneiroliti dei dati tecnici, ma nessuno si preoccupava di interrogativi più profondi. Forse per paura, insinuava Wexler. Ma lui aveva visto i paesaggi delle visioni, aveva potuto gettare uno sguardo sul vortice della storia.

— Se qualcuno me lo chiedesse ora — disse — affermerei che era tutto previsto. Proprio tutto. C’è un tipo di pietra, molto comune, con microvoltaggi binari: in pratica, è fatta per parlare alle macchine. Comunica anche qualche altra cosa, a gente come noi. Produce visioni, un senso di consapevolezza, un senso di pericolo imminente. E poi ce n’è un’altra, più rara. Ha molte più cose da dire, ma a un prezzo.

Lei scosse la testa. — Non capisco.

— Nemmeno io, a dire la verità. Ma posso immaginare. Molto dipende da ciò che gli Esotici pensavano di noi, dal tipo di creature che credevano che fossimo. Secondo me, pensavano che fossimo esemplari rotti. Fratturati. Divisi. — Tacque per riprendere il fiato. — Divisi al nostro interno. Non collettivamente, ma individualmente. La mente contro se stessa. Credo che questa scoperta li abbia sorpresi.

— Loro erano diversi? — chiese Teresa.

— Erano interi là dove noi siamo spezzati. Forse l’avevi già capito.

Sì, l’aveva capito. I ricordi erano dolci, ma qualche volta anche dolorosi, inquietanti. La pillola stava finendo il suo effetto, pensò. Avvertì il flusso graffiante della sobrietà.

— Ci hanno anticipato — continuò Wexler. — Avevano capito che eravamo molto abili in campo tecnologico. Immaginavano a quali livelli saremmo potuti arrivare.

Lei scrollò il capo, ancora confusa.

— Ebbene, che cosa abbiamo fatto? — chiese Wexler. — Siamo riusciti a manipolare la mente, ma non a risanare le sue ferite. Non abbiamo creato degli esseri interi, ma delle creature fratturate, divise. Abbiamo soldati costruiti dalla nascita, e interi battaglioni di nevrotici. Addestriamo le nostre psicosi come se fossero cani, per ricavarne dei benefici. Ci costruiamo per essere adatti alla funzione che dobbiamo svolgere.

— Come Ray — commentò Teresa.

— Come Ray e come tutti gli altri. Ed è pericoloso. Ci rende privi di scrupoli. Addirittura privi di anima.

L’aveva già detto altre volte. Teresa lo ricordava nella sua tenuta di Carmel, una fantasiosa casa di campagna in stile spagnolo che aveva comperato con il denaro dei suoi primi successi e poi mantenuto, senza grandi cure, con gli introiti di ritorno dai laboratori come quello di Byron, o con i corsi impartiti a una folla disordinata di artisti provenienti dalla Città Galleggiante. Aveva parlato in modo altrettanto convincente delle tradizioni di Paracelso, della Gnostica e della saggezza criptica. Grandiose futilità che si riducevano a questo: un vecchio malato in una baracca galleggiante in sfacelo. Il pensiero l’avvilì.

Probabilmente Wexler si accorse del suo scetticismo. Dondolò la testa e mise le mani sul tavolo. Mani da vecchio, con la pelle pallida e rugosa, le unghie rosicchiate. — Scusa — disse. — A volte mi lascio trasportare.

— Non sono riuscita à sopportarlo — confessò Teresa. — La pietra di Pau Seco era tutto ciò che volevo. Davvero. Rivolevo i miei ricordi. Me stessa. Ma non sono riuscita a sopportarlo.

— Mi chiedo se è vero.

Lei lo guardò con occhio torvo. — Tu non c’eri.

— Logico. Ma sono convinto che loro vogliano proprio questo — dichiarò Wexler. — Ha senso, non credi?

Teresa si sentì offesa, misteriosamente minacciata.

— È la parte di loro che ritengono più preziosa — continuò lui. — Una parte che non lascerebbero mai passare da una macchina. Un tesoro di conoscenza autentica. Il tempo e la storia. Ma con la possibilità di essere trasmesso solo da una mente all’altra, capisci? Una mente integra.

— Non muoio dalla voglia di provarlo.

— Forse ne hai bisogno — osservò lui, con dolcezza.

Lei si alzò. Cominciava a farle male la testa. Wexler era venuto a confonderla, e questo la irritava. — Provaci tu — replicò con insolenza. — Provalo su di te.

Lui parlò quasi sottovoce. — Mi spaventa — ammise. Era una confessione. — Sarebbe sconvolgente, dopo tutto questo tempo. La gnosi, la conoscenza reale… sono quasi un sogno. Ma l’idea mi spaventa. — Sorrise, con espressione assente. — Ma c’è dell’altro. Credo che l’sperienza richieda una buona dose di innocenza. Che io non possiedo.

— Credi che la possieda io? — Per qualche strana ragione, Teresa stava gridando. Le parole uscivano dalle sue labbra senza più freni. — Non sono innocente! — Cominciava ad avvertire una sensazione di panico. Aveva bisogno di una pillola. Di tranquillità. Di pace. Il suo corpo lo esigeva. — Io non sono brava !

Corse alla porta.

Byron aveva ascoltato tutto dall’altra stanza.

Quando raggiunse Wexler, il vecchio era in piedi. — Mi dispiace — disse subito. — Pensavo…

— È così da allora — gli riferì Byron.

— Volevo aiutarla.

— Lo so.

— Be’… dovrei andare.

— Lo pensavi davvero… tutto ciò che le hai detto? — chiese Byron.

Wexler annuì.

— Non possiamo fare niente per lei.

— Pare di no.

— Ma Ray potrebbe aiutarla?

Il vecchio si strinse nelle spalle. — Forse sì.

Wexler permise che Byron gli sistemasse un materasso in un angolo della baracca. Ormai era troppo tardi per tornare a casa di Cat e il respiro gli causava qualche problema. Così accettò l’offerta. Tre persone in una baracca di due stanze.

Era sveglio quando Teresa rientrò. La vide muoversi nell’oscurità con la grazia sublime che le derivava dall’uso delle encefaline. Stava tornando alla vecchia assuefazione con terrificante rapidità.

Forse era stato uno sprovveduto a permetterle di andare a Pau Seco. Purtroppo, non aveva previsto niente del genere. Certo, aveva sospettato che potesse verificarsi una crisi, ma non aveva certo immaginato un crollo di quelle dimensioni. L’impresa era stata organizzata con puntigliosa meticolosità, con grande profusione di denaro e con la certezza che la vita di Teresa non sarebbe mai stata in pericolo.

Ma non aveva considerato la propria debolezza.

Così, ora le doveva tutto l’aiuto che era in grado di offrire. Per questo era venuto fin lì.

Ma l’aiuto di cui Teresa aveva bisogno non era in suo potere. Anche Byron l’aveva capito.

Wexler si addormentò e sognò un futuro terrificante in cui uomini come Oberg guidavano navi spaziali verso le stelle, con armature metalliche saldate alla carne come le corazze dei coleotteri e circuiti proteici appuntati sul sistema nervoso. Più che un sogno era una profezia, tanto che si svegliò con la precisa sensazione di un pericolo imminente. Gli sembrava quasi che il conflitto in atto tra Oberg e Teresa, fra Teresa e le sue paure, si sarebbe presto espresso su un palcoscenico più ampio. La loro presenza lì era solo il prologo della tragedia.

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