Finì di sfogliare la rivista, ne prese un’altra, e la gettò via disgustato.
— Gina! — chiamò. — A che ora mangiamo?
— Verso le cinque… va bene?
— Benissimo. Devo uscire di nuovo.
Un attimo dopo, Convery si ritrovò seduto in mezzo a una nuvola di farina: sua moglie era entrata come una furia e gli agitava il pugno sotto il naso.
— Blaize Convery — sibilò inferocita — per uscire dovrai passare sul mio cadavere!
Convery guardò la faccia rosea e decisa, vagamente stupito. — Non capisco.
— C’è la festa per il compleanno di Tim… Per che cosa credi che stessi preparando quei dolci?
— Ma compie gli anni la settimana ventura — protestò Convery.
— Lo so. Però Kenneth li ha compiuti la settimana scorsa e li festeggiamo sempre insieme nella settimana intermedia — Gina lo guardava con aria accusatrice. — Ormai lo dovresti sapere!
— Lo so, cara, solo che l’avevo dimenticato. Senti, non credo che gliene importerà, anche se non ci sono, per una volta…
— Per una volta! Non c’eri neanche l’anno scorso, e nemmeno due anni fa. E stasera non ti muoverai di qui!
— Ma ho un lavoro da sbrigare.
— Non questa sera.
Convery guardò sua moglie negli occhi, e quel che vi lesse lo indusse a cedere, sorridendo per non perdere completamente la faccia. Quando Gina se ne fu andata, alzò esageratamente le spalle con un gesto teatrale, rivolto a nessun altro che a se stesso, e riprese la rivista. John Breton aveva aspettato nove anni: poteva aspettare ancora un po’.
Quando il telefono squillò, infrangendo il silenzio della casa, Breton corse a rispondere, ma poi rimase incerto con le dita strette sul ricevitore.
Due ore di solitudine, nella quiete ombrosa del pomeriggio, l’avevano riempito di vaghi presagi, alternati a momenti di eccitante trionfo. Era proprio il tipo di giornata in cui poteva aspettarsi da un attimo all’altro lo scintillio furtivo che precedeva un attacco di emicrania in piena regola. Ma nell’anno passato da quando aveva fatto il primo grande balzo, aveva avuto pochissimi viaggi, come se il potenziale nervoso si fosse scaricato, prosciugato. Adesso, non aveva altro nella testa se non un senso di imminenza, una consapevolezza di vita e di morte in equilibrio sul filo di una lama…
Sollevò il ricevitore, attese, senza parlare.
— Pronto. — La voce maschile aveva un leggero accento inglese. — Sei tu, John?
— Sì — rispose cauto Breton.
— Non ero sicuro che fossi già a casa. Ho chiamato in ufficio e mi hanno detto che te n’eri già andato… ma sono passati solo cinque minuti… Devi aver consumato i copertoni per arrivare a casa così in fretta.
— Ho corso un po’. — Breton cercò di parlare con voce normale. — Ma chi parla?
— Gordon, naturalmente. Gordon Palfrey. Senti, Kate è qui con noi. Miriam e io l’abbiamo incontrata al supermarket… Adesso te la passo.
— Bene.
Con uno sforzo, Breton riuscì a ricordare che i Palfrey erano quei tizi che si occupavano di scrittura automatica e che erano riusciti a entusiasmare anche Kate. Miriam era dotata di facoltà telepatiche, o così almeno pareva, e l’idea di doverle parlare lo metteva a disagio.
— Pronto, John? — Kate ansimava un po’, e dalla sua esitazione, capì che sapeva che non era John.
— Cosa c’è, Kate?
— John, Miriam mi ha detto delle cose fantastiche. In questi giorni sta ottenendo dei risultati meravigliosi. Sono eccitatissima.
“Come può?” pensò seccato Jack Breton. “Come può la mia Kate lasciarsi invischiare da gente simile?”
E ad alta voce disse: — Interessante. È per questo che mi hai chiamato?
— Sì. Miriam vuol dare una dimostrazione a qualche amico intimo, stasera, e mi ha invitato. Ti dispiace se vado direttamente a casa loro? Puoi sbrigartela senza di me per una sera?
Il fatto che Kate non stesse in casa nelle prossime ore si accordava perfettamente coi suoi progetti; tuttavia, la devozione di sua moglie per i Palfrey lo irritò. Solo il timore di comportarsi come l’altro Breton gli impedì di protestare.
— Kate — disse calmo — mi stai evitando?
— Ma no! Solo mi spiacerebbe perdere questa occasione.
— Mi ami?
Seguì un breve silenzio. — Non credevo che avessi bisogno di chiedermelo.
— Va bene. — Breton decise di passare all’azione. — Ma, Kate, ti pare una buona idea non tornare a casa, stasera? Non scherzavo parlando delle intenzioni di John, sai. È in uno stato d’animo per cui non mi stupirei se stasera stessa decidesse di andarsene e di scomparire.
— Sta a lui decidere. Tu avresti qualcosa in contrario?
— No, ma voglio che siate tutti e due sicuri di quel che fate.
— È una cosa a cui non posso pensare — disse Kate, con voce sommessa. — Questa situazione è più forte di me.
— Non. preoccuparti, cara — disse dolcemente Breton. — Va’, e divertiti. Risolveremo la situazione, in un modo o nell’altro.
Depose il ricevitore e pensò alla prossima mossa. Gordon Palfrey aveva detto che John era già uscito dall’ufficio; dunque, sarebbe arrivato a casa da un momento all’altro. Breton salì di corsa in camera a prendere la pistola. Per rendere plausibile l’ipotesi che John Breton avesse piantato in asso moglie e lavoro, bisognava liberarsi anche degli indumenti e di quelle cose che presumibilmente avrebbe dovuto portare con sé. Denaro! Jack Breton guardò l’ora. Ormai le banche erano chiuse. Esitò, domandandosi se Kate non si sarebbe insospettita scoprendo che John se n’era andato senza quattrini. Era probabile che non se ne accorgesse, per qualche giorno e magari per qualche settimana; ma alla fine l’avrebbe scoperto, e avrebbe trovato strana la cosa.
D’altra parte, Kate non aveva mai badato molto al denaro ed era probabile che non avrebbe avuto la voglia né la capacità di indagare a fondo sulle transazioni finanziarie che John avrebbe dovuto fare. Jack decise che l’indomani, per prima cosa, sarebbe andato in banca, fingendosi John, per far trasferire una grossa cifra su una banca di Seattle. In seguito, se necessario, avrebbe ritirato delle somme da quel nuovo conto, per rendere più reale la sua finzione.
Andò a prendere nel ripostiglio due valigie a soffietto, le riempì di abiti, e le portò in anticamera. La pistola gli batteva contro l’anca a ogni passo. Una parte della sua mente continuava a dubitare che sarebbe stato capace di adoperarla contro John Breton, ma l’altra era selvaggiamente esaltata dall’idea che quel gesto avrebbe segnato il culmine di nove anni di appassionata dedizione; e ormai non poteva più tornare indietro. Non era lui che aveva creato John Breton, che gli aveva prestato nove anni di vita non previsti nello schema cosmico? E adesso era venuto il momento di farsi restituire il prestito. “Io do” gli venne spontaneamente fatto di pensare “e io tolgo…”
D’improvviso sentì un freddo mortale. Tremando tutto, rimase a guardarsi nello specchio dell’anticamera, finché il rombo sommesso della Turbo-Lincoln di John Breton non venne a rompere il silenzio della casa. Dopo un minuto, John entrò dalla porta posteriore e si accigliò notando le due valigie.
— Dov’è Kate? — Per tacito accordo, i due Breton avevano deciso di tralasciare le formalità dei saluti.
— È a cena dai Palfrey — rispose a fatica Jack. Avrebbe ucciso John fra pochi istanti, ma il pensiero di vedere quel corpo familiare squarciato dai proiettili lo sconcertava.
— Vedo. — John lo guardava attentamente. — Cosa fai, con le mie valigie?
Jack strinse le dita sul calcio della pistola e scosse la testa, senza riuscire a parlare.
— Hai un’aria strana — osservò John. — Ti senti poco bene?
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