Non senza sorpresa, Jack Breton scoprì poi che i rapporti con il suo “alter ego” non peggioravano. L’atmosfera della casa era percorsa da tangibili correnti di emozioni, mentre John e Kate manovravano incessantemente, ciascuno in attesa che l’altro rompesse la stasi in cui erano chiusi. Ma, di tanto in tanto, Jack si trovava in mezzo a un periodo di bonaccia, in cui lui e John potevano parlare come due gemelli che non si vedessero da tempo. Aveva anche scoperto, non senza sorpresa, che i ricordi di John riguardo alla loro comune infanzia erano molto più particolareggiati e completi dei suoi. Si ritrovò a discutere parecchie volte con lui sull’autenticità di qualche particolare, finché il relativo scomparto della sua mente non si spalancava dimostrandogli che John aveva ragione.
Jack aveva avanzato l’ipotesi che i ricordi diventavano più vivi a forza di ripeterli nella memoria traendone una sola conclusione plausibile: in un momento di quegli ultimi nove anni, John Breton doveva aver cominciato a rivivere il passato. Di fronte all’insoddisfazione di molteplici aspetti della sua esistenza nel Tempo B, aveva cercato un rifugio nei consolanti momenti di una vita passata.
Anche nel brevissimo periodo trascorso nella casa, Jack aveva avuto modo di osservare l’ossessivo interesse di John per i vecchi film e il modo con cui inevitabilmente confrontava la gente con i vecchi attori e le vecchie attrici del cinema. Nell’officina dello scantinato erano affisse foto di vecchie macchine degli anni Trenta, coi loro stretti parabrezza verticali. ("Mi piacerebbe poter guidare una di quelle vecchie caffettiere” aveva detto John. “Non ti pare di sentire l’odore della polvere su quei sedili di stoffa?") E quando non si era rivolto verso il passato, evitava la realtà umana del presente, immergendosi nei problemi tecnici della sua azienda.
Jack Breton fu grato di sentirgli esporre dettagliatamente le ultime novità del suo lavoro perché, al momento opportuno, tutte quelle informazioni gli sarebbero state necessarie. Inoltre gli offrivano l’occasione di assodare un fatto vitale per la realizzazione del suo progetto…
— I rilevamenti gravimetrici sono diventati impossibili — disse quel giorno John, dopo colazione. — Stamattina l’Ufficio Pesi e Misure ha dichiarato che la forza di gravità sta diminuendo. Visto che è sempre stata fluttuante mi auguro che questa sia una diminuzione più forte del solito, e nulla più; però è strano che non si facciano altre supposizioni, più catastrofiche. Forse c’è stato qualche fenomeno interno di portata imprevista.
— Mi pare impossibile — rispose Jack distrattamente. Pensava a Kate, che era nella stessa casa, e forse nella camera da letto intenta a cambiarsi le piume.
— Meno male che i miei gravimetri non sono guasti. Io e Carl eravamo preoccupati. Nel tuo mondo, c’era Carl Tougher?
— Sì, avevo affidato l’azienda a lui e a Hetty.
Kate stava muovendosi nuda nel crepuscolo complice delle persiane chiuse.
— Per fortuna, anche se fossero stati guasti, non mi sarei dovuto preoccupare granché — continuò John. — C’è stata un’epoca in cui un gravimetro, un teodolite e un paio di livelle Dumpy, residuati militari, costituivano tutto il mio capitale in fatto di equipaggiamento. Ma questo avveniva prima che assumessi i contratti di trivellamento e accettassi dei lavori veramente importanti.
L’interesse di Jack si ridestò di colpo. — E quel nuovo tipo di trivelle che non trivellano? Quei congegni che si usano per disintegrare la materia? Ne avete?
— Sì, tre — rispose John accalorandosi. — Ci servono per i lavori su vasta scala. A Carl non piacciono perché non si estraggono campioni utilizzabili, ma fanno un lavoro veloce e pulito. Si può scavare un foro di sessanta centimetri in strati di qualsiasi materiale, e si tira fuori solo micropolvere.
— Non ne ho mai visto funzionare una — disse Jack. — Ce n’è qualcuna installata nei paraggi?
— La più vicina è a una ventina di miglia da qui, sulla strada per Silverstream. Ma non vedo come potrei portartici. Cosa direbbe la gente, vedendoci insieme?
— Oh, tutto si aggiusterà presto.
— Davvero? — John pareva insospettito, e Jack si domandò se, per caso, non avesse intuito il destino che lui gli riserbava.
— Ma certo — si affrettò a continuare. — Tu e Kate dovrete giungere al più presto a una decisione. Non capisco come l’abbiate tirata tanto per le lunghe, al punto in cui siete. Perché non ammettete che siete arcistufi di vivere insieme e non vi separate?
— Kate ti ha detto qualcosa?
— No — rispose cauto Jack. Non voleva far precipitare la crisi, senza essere sicuro di poterla padroneggiare.
— Be’, in qualunque momento le verrà voglia di parlare, io sarò pronto ad ascoltarla. — Un’espressione di rabbia infantile passò sulla faccia quadrata di John; e Jack capì che il suo istinto non aveva sbagliato. Nessun uomo sarebbe mai stato disposto a cedere una donna come Kate. L’unica soluzione al problema del triangolo l’avrebbero trovata due macchine: la pistola nascosta in camera sua e il congegno che disintegrava la materia installato lungo l’autostrada per Silverstream.
— Sei convinto che tocchi a Kate fare la prima mossa?
— Se non vuoi che ti analizzi, non analizzare me — replicò John, in tono significativo.
Jack gli sorrise, senza prendersela. L’allusione all’analisi gli aveva fatto venire in mente l’idea del corpo di John ridotto in micropolvere. Un pulviscolo completamente anonimo e a prova di qualsiasi indagine.
Quando John tornò in ufficio, Jack attese con impazienza che Kate scendesse da lui, ma la donna arrivò in completo di tweed con un gran collo di pelliccia.
— Esci? — le domandò lui nascondendo la sua delusione.
— Vado a far spese — rispose Kate, con un’indifferenza che gli fece male.
— Non andare.
— Dobbiamo pur mangiare. — Jack sentì nella sua voce una sfumatura di ostilità, e si rese conto solo in quel momento che lei cercava di evitarlo, dopo quel loro unico incontro fisico. L’idea che potesse sentirsi colpevole, e che lui fosse associato al suo senso di colpa, riempì Breton di un panico irragionevole.
— John parlava di andarsene. — Non fu capace di evitare quella bugia da adolescente innamorato, pur sapendo bene che occorreva prepararla all’idea della partenza di John con estrema cautela. Kate esitava, tra lui e la porta. La luce che le batteva sulle guance pareva rugiada, e per un attimo ebbe la terribile impressione di rivederla come quella sera, nel cassetto scorrevole dell’obitorio. Jack cominciò ad avere paura.
— John è libero di andarsene, se vuole — disse lei finalmente, e uscì. Un minuto dopo, Jack senti il motore della MG che rombava in garage. Andò alla finestra per aspettare di vederla passare, ma Kate aveva tirato su la capote, e tutto quello che poté scorgere fu un’immagine indistinta dietro i frammenti di cielo riflessi sui finestrini.
Breton si allontanò dalla finestra. Era offeso. Le sue creature, coloro a cui aveva dato la vita come se fosse sceso sulla Terra tra le folgori bibliche per soffiare il respiro nell’argilla inerte, avevano vissuto per nove anni un’esistenza indipendente da lui. E adesso, nonostante tutto quello che erano venuti a sapere, insistevano a voler vivere come prima, ignorandolo, se necessario, e lasciandolo solo in casa: e lui detestava la solitudine. Breton attraversò le stanze vuote e silenziose, stringendo i pugni. Si era preparato a una settimana di attesa, ma le cose erano cambiate e continuavano a cambiare. Doveva agire con maggiore celerità e decisione.
Da una finestra che guardava sul retro, osservò la cupola argentea, al di là dei faggi, e provò un’improvvisa curiosità per quella costruzione. Fin dal momento in cui aveva messo piede in casa, c’era stato un tacito, istintivo accordo che nessun estraneo dovesse mai sospettare dell’esistenza dei due Breton, e per questo lui non poteva uscire. Ma il giardino sul retro era ben protetto dalla vista dei vicini, e gli sarebbero bastati pochi secondi per andare dalla casa all’osservatorio.
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