Robert Silverberg - Il figlio dell'uomo

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Il figlio dell'uomo: краткое содержание, описание и аннотация

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Un uomo del nostro tempo viaggia a miliardi d’anni nel futuro ed incontra le formi diversi dell’umanità del futuro.

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Ella trema, terribilmente, nell’aria.

Lanciandosi disperatamente, lui interrompe la sua caduta e si ferma, sotto di lei, rabbrividendo per l’impatto. Il suo corpo gelido gli si aggrappa, tremante, e la sua paura è talmente intensa che immagini di panico escono ininterrottamente dal suo cervello e lo raggiungono. Lui vede, attraverso una spessa foschia distorta, un ciclopico edificio di pietra grigia, intagliato, e cinque enormi creature sedute davanti a esso, bestie simili a dinosauri che si rotolano nel fango, sollevando lentamente le enormi teste massicce, grugnendo, scuotendo il terreno con i loro movimenti; e c’è Ninameen davanti a loro, come se stesse pregando, implorando la loro assoluzione, e i colossali rettili ruggiscono e squittiscono, scuotono la testa, sollevano gli immensi colli dalla fanghiglia, e lentamente Ninameen affonda, singhiozzando, nel terreno. L’immagine si confonde. Lui conforta la ragazza terrorizzata con la massima dolcezza possibile. — Ti sei fatta male? — le mormora. — Sei malata? — Lei rabbrividisce ed emette un pietoso suono lamentoso. — Non avevo capito — sussurra infine. — Non riuscivo a capire le tue immagini, e mi hanno terrorizzato. Come sei strano! — Lo accarezza con una moltitudine di dita. Adesso è lui a rabbrividire. Lei si lascia scivolare fino a giacere al suo fianco, e lui le bacia la gola e le sfiora delicatamente i seni, ammirando la struttura tenue e argentea della sua epidermide, ma entrando in lei immagina bruscamente che ella abbia cominciato a trasformarsi nella forma maschile della specie, e perde decisione, come se i suoi sensi fossero stati spenti. Lei gli si stringe contro, ma è inutile: l’erezione non si verifica più. Cercando di aiutarlo lei si trasforma realmente nella sua forma maschile, facendo il cambiamento con una dolcezza e una velocità tale che lui non riesce a seguirla; ma indubbiamente così le cose non vanno meglio, e così ella ritorna alla forma femminile. Con voce tesa e sottile, dice: — Per favore. Faremo tardi per l’Apertura. — Lui sente la tensione di lei propagarsi lungo la traccia di uno spesso nervo intrecciato con la parte carnosa della sua schiena; ella penetra attraverso i veli della sua resistenza, gli solletica il cervello, catalizza la sua virilità. Poi lo avvolge con una gamba e, prima che l’impulso possa sfuggirgli, lui la penetra profondamente. Ella lo stringe e lo attira come se volesse fagocitarlo. In realtà, per quale motivo questi esseri fanno il sesso? Certamente potrebbero trovare sistemi molto più immediati per stabilire un contatto. Né esso può avere alcuna finalità biologica, in questa fase ultima dell’evoluzione umana. Questa semplice forma di piacere animale dovrebbe essere ormai altrettanto obsoleta del mangiare e il dormire. Concepisce una fantasticheria abbastanza ragionevole: che abbiano reinventato la copula a suo beneficio, e si siano equipaggiati di peni e vagine con una sorta di spirito carnevalesco, per comprendere meglio la natura del loro ospite primitivo? L’idea lo delizia. Assaporandola, l’abbellisce cercando di visualizzare il popolo di Hanmer nella sua normale forma asessuata, levigata, senza niente tra le gambe, come le macchine; e nel fare ciò si accorge che Ninameen sta lascivamente inviando un impulso di sensazioni estatiche in lui, servendosi dell’organo che egli tiene ancora inserito in lei come condotto diretto per giungere al suo cervelletto. Lui reagisce con un improvviso spruzzo tiepido e poi si sdraia sulla schiena, intontito e sfinito.

— Vuoi aiutarci a fare l’Apertura della Terra, adesso? — ella mormora, quando lui riapre gli occhi.

— Di cosa si tratta?

— Uno dei Cinque riti.

— Una cerimonia religiosa?

La sua domanda si dissolve come vapore nell’aria. Lei sta già scendendo dai macigni. La segue, sentendosi le gambe stranamente pesanti, finendo con lo scivolare in un crepaccio; voltandosi, ella lo solleva teneramente con un sorriso e uno sguardo e lo riporta fluttuante al suolo. Lui atterra in piedi sul suolo caldo e asciutto. Lei lo spinge in avanti, verso il centro dell’anfiteatro, dove gli altri cinque si sono già riuniti. Tutti quanti sono ora nella loro forma femminile. Lui non riesce a distinguere qual è Hanmer fino a quando gli altri non gli si presentano con una fretta affannata; Bril, Serifice, Angelon, e Ti. I loro magri corpi nudi rilucono e risplendono debolmente alla luce brillante del sole. Si dispongono in un cerchio, prendendosi per mano. Lui pensa di trovarsi tra Serifice e Ninameen, nell’anello. Serifice, se di Serifice si tratta, dice con una bella voce cantilenante: — Pensi che noi siamo i buoni o i cattivi? — Ninameen ridacchia. Dalla parte opposta del cerchio, quella che crede sia Hanmer urla: — Non confondetelo! — Ma lui è confuso. Temporaneamente esaudito nei suoi desideri da Ninameen, è ossessionato dalla stranezza di questa gente ancora una volta, e si chiede come può provare un’attrazione sessuale per loro dal momento che sono così diversi. È qualcosa di presente nell’aria? O qualsiasi fessura disponibile va bene allo scopo, quando si è prigionieri del flusso del tempo?

Stanno danzando. Lui danza con loro, anche se non riesce a imitare i liberi movimenti dei loro corpi slegati. Le mani strette alle sue diventano fredde. Lui cerca di sciogliere un grumo gelido di incertezza nella pancia, rendendosi conto che sta realmente iniziando il rito dell’Apertura della Terra. Un fiero impeto di attività fluttua nel suo cranio. La sua visione si annebbia. Gli altri sei si dirigono verso di lui e premono i loro corpi gelidi contro il suo. Sente le loro articolazioni rigide come noduli di fuoco sulla sua epidermide. Lo stanno spingendo al suolo. Si tratta di un sacrificio; e lui è la vittima? — Io sono Angelon — sottolinea Angelon. — Io sono amore. Ti canta: — Io sono Ti. Io amo l’amore.

— Io sono amore — canta Hanmer. — Io sono Hanmer.

— Io sono Serifice. Io sono amore.

— Io sono Bril.

— Io sono Angelon.

— Amore.

— Ninameen.

— Io sono amore.

— Serifice. — Il suo corpo si sta espandendo. Sta diventando una struttura di fili sottili di rame che circondano l’intero pianeta. Ha lunghezza e larghezza, ma non altezza. — Io sono Ninameen — canta Ninameen. Il pianeta è aperto di fronte a lui. Lo penetra.

Vede tutto.

Vede gli insetti nei loro rifugi e le creature notturne nelle loro gallerie, e vede le radici degli alberi e i semi e i fiori che si riproducono, si spostano e si estendono, e vede le rocce sotterranee e i livelli di stratificazione. Minerali preziosi rilucono nella crosta nascosta del pianeta. Trova i letti di fiumi sul fondo di laghi. Tocca tutto quanto ed è toccato da tutto quanto. È il dio dormiente. È la primavera che ritorna. È il cuore del mondo.

Discende negli strati inferiori, dove polle di olio si annidano tristemente in mezzo a strati di depositi silenziosi, e trova nuclei dorati che sbocciano e fioriscono, e si tuffa in un rivoletto chiaro di zaffiro. Poi si avventura in quella parte del pianeta che è stata patria per l’uomo in una delle generazioni che sono seguite alla sua, e vaga intimorito e rispettoso lungo strade deserte in gallerie pulite e spaziose, mentre macchine servizievoli avanzano e gli offrono volenterosamente di assolvere a ogni sua esigenza. — Siamo gli amici dell’uomo — gli dicono — e accettiamo i nostri antichi obblighi. — Il pianeta rabbrividisce e il flusso del tempo scorre, e per un solo inquietante momento vede questa città ancora abitata; alti mortali dall’aspetto frettoloso affollano i suoi corridoi; volti pallidi, slavati, non molto diversi dagli uomini e dalle donne dei suoi tempi, tranne per il fatto che i loro corpi tendono a essere attenuati ed evanescenti. Non gli dispiace scendere oltre il loro livello nelle rocce autentiche. Ecco il magma ribollente: ecco i fuochi più interni. Non ancora freddo, vecchio pianeta? No, non completamente. Senza luna sono rimasto e i miei mari si sono spostati; eppure nel mio nucleo io risplendo. I suoi amici sono molto vicini a lui. — Io sono Bril — sussurra Serifice. — Io sono Angelon — dice Ti. Sono tutti maschi e hanno estratto i loro membri dalle tasche. Sono venuti a fecondare il nucleo della terra? Nuvole di vapori bollenti azzurri eruttano e gli nascondono i suoi compagni, e lui vaga verso l’alto, nuotando attraverso il porfido e l’alabastro e il sardonice e il diabase e la malachite e l’ossidiana, penetrando attraverso i tessuti del mondo come un ago senziente, fino a quando la superficie è ormai vicina. Emerge. È scesa la notte, e i suoi amici giacciono esausti nell’anfiteatro, e rivoli di sudore denso e dorato incorniciano i corpi stremati, tre maschi e tre femmine. Nella sua esaltazione Clay scopre di essere capace di camminare nell’aria. Si alza fino a circa dieci metri, e, sorridendo, si sposta e volteggia felice. Com’è facile! Deve limitarsi solo a mantenere la distanza tra se stesso e il terreno. Sì! Sì! Sì! Percorre tutta la lunghezza dell’anfiteatro. Si lascia scendere fluttuando fino a quando i suoi piedi toccano quasi il suolo, dopo di che rimbalza ancora verso l’alto. Un passo dopo l’altro, e così via. Vale indubbiamente la pena di essere catapultati di chissà quanti milioni di anni nel tempo, per riuscire a camminare in questo modo nell’aria, non in una qualche forma intangibile e incorporea come prima, ma nel proprio corpo al massimo delle sue potenzialità.

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