Robert Silverberg - Il figlio dell'uomo

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Il figlio dell'uomo: краткое содержание, описание и аннотация

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Un uomo del nostro tempo viaggia a miliardi d’anni nel futuro ed incontra le formi diversi dell’umanità del futuro.

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— Ci siamo dissolti. Siamo saliti.

— Come?

— Dissolvendoci. Salendo.

— Non è una risposta.

— Non posso dartene una migliore.

— È una cosa che fate spontaneamente, naturalmente? Come respirare? Come camminare?

— Sì.

— Così siete diventati dèi — dice Clay. — Tutte le possibilità per voi sono aperte. Fate un salto su Plutone quando ne avete voglia. Cambiate sesso a volontà. Vivete eternamente, o vicini all’eternità fino a quando volete. Se volete della musica, potete creare Bach, ognuno di voi può farlo. Potete ragionare come Newton, dipingere come El Greco, scrivere come Shakespeare, se non fosse che la cosa non vi interessa. Vivete ogni momento in una sinfonia di colori e forme e strutture. Dèi. Siete riusciti a diventare dèi. — Clay ride. — Noi abbiamo cercato di riuscirci. Voglio dire, sapevamo come volare, siamo riusciti ad arrivare ai pianti, abbiamo domato l’elettricità, abbiamo creato i suoni nell’aria, abbiamo sconfitto le nostre malattie, abbiamo spaccato gli atomi. Per quello che eravamo, non eravamo neanche male. Per il periodo in cui vivevamo. Ventimila anni prima del mio tempo gli uomini indossavano pelli di animali e vivevano nelle caverne; nel mio tempo camminavano sulla Luna. Voi potete vivere ventimila anni se la cosa vi interessa, Vero? Come minimo. Ma c’è stato qualche cambiamento significativo nel mondo in tutto questo tempo? No. Non potete cambiare da quando siete diventati dèi, perché avete realizzato tutto. Sai, Hanmer, che noi ci chiedevamo spesso se fosse giusto spingerci troppo avanti? Voi avete perso i Greci, così forse non conoscete il concetto di hybris. Orgoglio eccessivo. Se un uomo si arrampica troppo in alto, gli dèi lo colpiranno facendolo crollare, perché certe cose sono riservate solo agli dèi. Noi ci preoccupavamo molto, dell’ hybris. Ci chiedevamo: stiamo diventando troppo simili agli dèi? Saremo colpiti? La peste, il fuoco, la tempesta, la carestia?

— Avevate davvero un concetto del genere? — chiede Hanmer, con un tono di genuina curiosità nella voce. — Che è male tentare troppo?

— Proprio così.

— Un mito stagnante, concepito da codardi…

— Un concetto nobile inventato dalle menti più nobili della nostra razza.

— No — dice Hanmer. — Chi difenderebbe un’idea del genere? Chi rifiuterebbe il mandato del destino umano?

— Noi vivevamo — dice Clay — nella tensione tra l’impulso a muoverci e la paura di arrampicarci troppo in alto. Ma continuavamo a salire, anche se scossi dalla paura. E siamo diventati dèi. Siamo diventati voi, Hanmer! Eppure, riesci a vedere la nostra punizione? Per la nostra hybris siamo stati dimenticati.

È compiaciuto della complessità delle sue affermazioni. Aspetta la risposta di Hanmer, ma non giunge nessuna risposta. Lentamente, si rende conto che Hanmer è scomparso. Stufo delle mie chiacchiere? Ritornerà? Tutto ritorna. Clay aspetterà la fine della notte senza muoversi da quel posto. Cerca di dormire, ma si ritrova perfettamente sveglio. Non ha dormito fin dal suo primo risveglio qui. Non riesce a vedere quasi nulla nell’oscurità fittissima. Ma ci sono i suoni. Il rumore di una corda pizzicata pervade l’aria. Poi arriva un suono che ricorda quello di qualche grossa massa che sta vibrando lentamente e poderosamente. Poi sente l’innalzarsi di sei colonne massicce di pietra che si infrangono al suolo. Un rumore acuto e straziante. Un boato intenso e cupo. Un frinire di globi perlacei. Un gorgoglìo viscido. Uno sbattere d’ali. Uno spruzzo. Un cigolìo. Un sibilo. Dov’è l’orchestra? Non si vede nessuno, nei pressi. È sicuro di èssere rinchiuso in un cono scuro di solitudine. La musica si dissolve, lasciando solo alcuni aromi fragranti. Sente salire una foschia che lo avvolge completamente. Si chiede fino a che punto siano contagiosi i miracoli di Hanmer, e gli esperimenti di trasformazione sessuale; giacendo supino su una lastra gelida e scivolosa, cerca di farsi crescere il seno. Irrigidito dalla concentrazione, cercando di far sorgere due montagnole carnee sul petto, fallisce; si chiede se sarebbe più efficace cominciare stimolando le strutture ghiandolari interne delle mammelle, e poi tenta di immaginare quale aspetto dovrebbe assumere la struttura, e fallisce; si chiede se non gli sarebbe impossibile sviluppare ghiandole femminili senza prima sbarazzarsi degli organi maschili, e si concentra brevemente sulla possibilità di estrometterli dall’esistenza, ma esita, e fallisce. Considera quindi questo tentativo di cambiamento di sesso come un insuccesso. Poi, pensando di visitare le coste ghiacciate di Saturno, cerca di dissolversi e salire. Per quanto ansimi, sudi e si sforzi, rimane irrimediabilmente materiale; ma poi si sorprende quando, in un momento di rilassamento tra due sforzi, riesce realmente a emanare la pallida nube grigia della dissoluzione. La cosa lo incoraggia. Si aggrappa a questo risultato. È convinto di essere quasi riuscito a farcela, e ispeziona attentamente la sua periferia, cercando di salire. Qualcosa sta indubbiamente accadendo, ma non sembra essere esattamente la stessa cosa avvenuta in precedenza. Un bagliore opaco e verdastro lo avvolge, e sente tutt’intorno suoni aspri e sgradevoli. Dopo di che ricade al suolo. Lascia quindi via libera alle sue paure e percorre spontaneamente una buona metà dello spettro prima di riuscire a riconquistare una qualche forma di controllo sulla situazione. L’uomo è stato creato per fare cose di questo tipo? Non si sta avventurando forse in un territorio proibito? No! No! No! Si attenua. Si dissolve. Ondeggia come una foglia al vento, quasi contro la sua volontà, un po’ incapace di compiere quell’atto finale di separazione dai legami terreni. È molto vicino, però. Luci vorticano nel cielo: arancioni, gialle, rosse. È decisamente ansioso di riuscire, e per un momento pensa di essere realmente riuscito, poiché prova la sensazione di poter recidere ogni legame e di lanciarsi nel firmamento, e i gong risuonano e le luci lampeggiano, e c’è una sensazione terribile di strappo e qualcosa di straordinario accade…

Ma si rende conto di non essere andato da nessuna parte. Sembra invece aver attratto qualcosa a lui.

È seduto accanto a lui sulla piattaforma levigata. È uno sferoide rosa levigato e ovale, gelatinoso, ma solido, rinchiuso in una gabbia rettangolare fatta di un qualche pesante metallo argenteo. La gabbia e lo sferoide sono interconnessi: le sbarre incrociano il corpo in diversi punti. Una singola ruota lucente e sferica sostiene il pavimento della gabbia. Lo sferoide gli parla con un gorgoglìo confuso. Clay non riesce a capire nulla. — Pensavo che ci fosse una sola lingua — dice. — Che cosa mi stai dicendo? — Lo sferoide parla ancora, evidentemente ripetendo le sue affermazioni, enunciandole con maggior precisione, ma Clay non riesce ancora a comprendere. — Mi chiamo Clay — dice, costringendosi a sorridere. — Non so come ho fatto ad arrivare qui. Non so neanche come abbia fatto tu a finire qui, ma forse ti ho chiamato involontariamente, — Dopo una pausa lo sferoide risponde in maniera inintelligibile. — Mi dispiace — dice Clay. — Sono un primitivo. Sono ignorante. — Improvvisamente lo sferoide diventa verde scuro. La sua superficie si agita e tremola. Una striscia di occhi luminosi compare e svanisce. Clay sente dita gelide che gli palpano delicatamente la fronte, accarezzando i lobi del cervello primitivo. In un flusso veloce e immediato riceve l’anima dello sferoide, e comprende che sta dicendo: Sono un essere umano civilizzato, nativo del pianeta Terra, che è stato strappato dal suo ambiente naturale da forze inesplicabili e trascinato in questo luogo. Sono solo e infelice. Vorrei tornare al mio gruppo-matrice. Ti prego, dammi aiuto, nel nome dell’umanità!

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