Robert Silverberg - Il figlio dell'uomo

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Il figlio dell'uomo: краткое содержание, описание и аннотация

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Un uomo del nostro tempo viaggia a miliardi d’anni nel futuro ed incontra le formi diversi dell’umanità del futuro.

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Lo sferoide si appoggia alle sbarre della sua gabbia, evidentemente esausto. La sua forma diventa asimmetrica e il suo colore diventa giallo pallido.

— Penso di aver seguito il tuo discorso — dice Clay. — Ma come posso fare ad aiutarti? Anch’io sono una vittima del flusso temporale. Sono un uomo dell’alba della storia. Condivido la tua solitudine e infelicità; sono perso esattamente quanto te.

Lo sferoide si agita debolmente diventando arancione pallido.

— Riesci a capire quello che ho detto? — chiede Clay. Non c’è risposta. Clay conclude che questa creatura, che dichiara di essere umana anche se ha una forma completamente aliena, deve provenire da un momento situato ancora più avanti lungo la curva del tempo, oltre le possibilità evolutive della razza di Hanmer. È la logica dell’evoluzione a dirglielo. Hanmer, se non altro, ha braccia e gambe, testa, occhi e genitali. E le stesse caratteristiche sono presenti anche nelle bestie umano-caprigne, appartenenti evidentemente a un periodo intermedio tra quello di Clay e quello di Hanmer. Ma questa creatura, ormai completamente priva di arti, tutta l’umanità rinchiusa in qualche sacca invisibile, interna, è certamente l’ultima versione dello schema. Clay si sente un po’ in colpa, convinto di aver attratto lo sferoide dal suo gruppo-matrice nel corso dei suoi maldestri tentativi di liberarsi, ma sente anche una nota sottile di orgoglio per il fatto di essere riuscito a fare una cosa del genere, se pur non volontariamente. Ed è un piacere incontrare qualcuno ancora più confuso ed emotivo di se stessi. — Possiamo in qualche modo comunicare? — chiede.

— Possiamo raggiungerci attraverso questa barriera? Ascolta! Mi avvicinerò a te. Sto aprendo la mia mente al massimo possibile. Devi perdonare le mie deficienze. Provengo dall’Era dei Vertebrati. Sono molto più vicino al Pitecantropo che a te. scommetto. Parlami. Donde està el telefono? — Lo sferoide ritorna a una tonalità molto simile al rosa originario. Amichevolmente offre a Clay una visione: una città di grandi piazze e torri splendenti, nelle cui gradevoli strade si muovono molti gruppi di sferoidi rosa, ciascuno rinchiuso nella sua gabbia splendente. Fontane inviano cascate di acqua verso il cielo. Luci di molti colori vorticano e ammiccano. Gli sferoidi si incontrano, si salutano reciprocamente, di tanto in tanto allungano tentacoli protoplasmici attraverso le sbarre delle gabbie in una specie di stretta di mano. Arriva la notte. C’è la luna! L’hanno ricostruita, crateri e tutto quanto? Osserva l’amata superficie butterata. Scorrendo come una telecamera, si sposta in un giardino. Ci sono delle rose. Dei tulipani gialli. Qui ci sono dei narcisi e delle gardenie e giacinti color blu notte. C’è un albero con foglie familiari, là un altro, là un altro ancora. Quercia. Faggio. Salice. Sono antiquari, certo: queste masse gigantesche e tremolanti di carne rosata hanno ricostruito la vecchia Terra per il loro piacere. La visione ondeggia e si dissolve mentre scende un sipario impenetrabile di rammarico. Clay si rende conto di aver tratto conclusioni sbagliate. Forse gli sferoidi non sono esseri provenienti da un futuro incalcolabilmente remoto. Sono, allora, i discendenti a breve termine dell’uomo? La visione ritorna. Lo sferoide sembra più vivace, come volesse comunicargli che è sulla strada giusta. Sì. Chi sono, loro? L’umanità di cinque, dieci, ventimila anni dopo i giorni di Clay, un periodo in cui le querce, i tulipani, i giacinti e la luna esistevano ancora? Sì. E dov’è la logica evolutiva del processo? Non esiste. L’uomo vi è rimodellato come più gli aggrada. Questa è la fase dello sferoide ovale. In seguito sceglierà di essere un orrido capro. Più avanti ancora diventerà un Hanmer. Tutti noi, trascinati dal flusso del tempo. — Figlio mio — dice Clay. (Figlio? Nipote? Pronipote?). Cerca impulsivamente di infilare una mano tra le sbarre per abbracciare il solenne sferoide. Una scarica di energia lo manda a ruzzolare a molti metri di distanza, e lui rimane immobile, attonito, mentre una pianta parassita gli avvolge i tentacoli sulle cosce. Lentamente riacquista le forze. — Mi dispiace — sussurra, avvicinandosi alla gabbia. — Non volevo invadere il tuo spazio personale. Stavo offrendo amicizia. — Lo sferoide è adesso ambrato e scuro. Il colore della furia? Della paura? No: scuse. Un’altra visione pervade la mente di Clay. Sferoidi, gabbia contro gabbia, sferoidi che danzano, sferoidi che si congiungono con tentacoli simili a corde estesi dal corpo. Un inno d’amore. Prova di nuovo, prova di nuovo, prova di nuovo. Clay allunga una mano. Attraversa le sbarre. Non è ributtato indietro. La superficie dello sferoide tremola e vibra e una sottile protuberanza tentacolare si estende ad afferrare il polso di Clay. Contatto. Fiducia. Vittime congiunte del flusso del tempo. — Mi chiamo Clay — dice Clay, pensandolo con molto forza. Ma tutto quello che riesce a ottenere dallo sferoide non è che una serie di vivide immagini del suo mondo. La lingua universale deve essere ancora inventata anche al tempo dello sferoide. Può comunicare con lui solo per mezzo di immagini. — Va benissimo — dice Clay. — Accetto le limitazioni. Impareremo a conoscerci insieme.

Il tentacolo lo lascia. Lui si allontana dalla gabbia.

Si concentra sulla formazione di immagini. È difficile padroneggiare le astrazioni. Amore? Si mostra accanto a una donna della sua razza. Mentre l’abbraccia. Mentre le tocca il seno. Adesso sono tutti e due a letto, e stanno chiavando. Illustra esplicitamente l’unione degli organi. Sottolinea caratteristiche quali i capelli, i peli del corpo, gli odori, le sensazioni fisiche. Facendo continuare l’immagine dell’accoppiamento crea un’immagine supplementare di se stesso insieme all’Hanmer femmina, intento a eseguire lo stesso rito. Poi si mostra mentre si avvicina alla gabbia e permette al tentacolo di avvolgersi intorno al suo polso. Capisce? E adesso bisogna mostrare fiducia. Gatti e gattini? Bambini e neonati? Sferoidi senza gabbia che abbracciano sferoidi? Un’improvvisa reazione di angoscia. Cambiamento di colore: ebano. Clay cancella l’immagine, rimettendo gli sferoidi nelle gabbie. Sensazione immediata di sollievo. Bene. Adesso, come comunicare la solitudine? Se stesso nudo in un campo esteso di fiori alieni. Sogni baluginanti di casa. Scene in una città del ventesimo secolo; inquinata, convulsa, eppure amata.

— Adesso stiamo comunicando — dice Clay. — Ci stiamo riuscendo.

La lunga notte finisce. Alle prime luci dell’alba Clay vede tutta una vegetazione che al tramonto non c’era assolutamente: alberi alti con frutti rossi; spire pulsanti e cadenti di viticci colmi di grappoli, grossi frutti che crescono direttamente dal terreno, in mezzo ai quali annuiscono e vibrano minuscole antenne, liberando un polline dalla luminosità del diamante. Hanmer è tornato. Siede a gambe incrociate all’estremità opposta della lastra sulla quale si trova Clay.

— Abbiamo un compagno — dice Clay. — Non so se sia stato il flusso del tempo a prenderlo o se sono stato io, involontariamente. Stavo facendo degli esperimenti dentro la mia testa. Ma in ogni modo, è…

Morto?

Lo sferoide è una massa avvizzita raccolta su un lato della gabbia. Un rivoletto di fluido iridescente è fuoriuscito dalle sbarre. Clay non riesce più a entrare in contatto con la mente dello sferoide, che ormai gli è divenuta familiare. Si avvicina alla gabbia, ci infila incerto due dita, e non sente nessuna scossa.

— Che cosa è successo? — chiede.

— La vita va — dice Hanmer. — La vita torna. Lo porteremo con noi. Vieni.

Camminano in direzione opposta al sole nascente. Senza toccarla, Hanmer spinge la gabbia davanti a loro. Stanno passando in mezzo a un boschetto di piante alte e giallastre le cui foglie rosse, tintinnando al vento come campanellini, allietano l’aria con una dolce musica.

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