— Cosa ne è stato dei nildor che ci hanno portato dallo spazioporto all’albergo? Gredevo fossero disposti a lavorare per voi.
— Qualche volta sì, qualche volta no — disse Van Beneker. — Sono imprevedibili. Non possiamo obbligarli a lavorare, e non possiamo assumerli. Possiamo solo chiedere gentilmente, e se dicono di non essere disponibili, è finita lì. Un paio di giorni fa hanno deciso che per un po’ non erano disponibili, così abbiamo dovuto tirare fuori il rimorchio. — Abbassò la voce. — Secondo me, è a causa di quegli otto babbuini. Credono che i nildor non capiscano l’inglese, e non fanno altro che dirsi l’un l’altro che peccato aver dovuto consegnare un pianeta così ricco a un branco di elefanti.
— Durante il viaggio spaziale — disse Gundersen — alcuni di loro manifestavano opinioni molto liberali. Almeno due di loro erano fortemente in favore dell’abbandono.
— Sicuro. Sulla Terra hanno abbracciato la decolonizzazione come teoria politica. “Restituiamo i mondi sfruttati agli indigeni oppressi” eccetera, adesso che sono qui, hanno deciso che i nildor non sono indigeni, ma solo animali, elefanti dall’aspetto buffo, e forse, dopo tutto, avremmo dovuto tenercelo il pianeta. — Van Beneker sputò. — E i nildor li ascoltano. Fanno finta di non capire, ma capiscono, eccome. Credi che abbiano voglia di portarsi gente simile sulla groppa?
— Capisco — disse Gundersen. Gettò un’occhiata ai turisti, i quali stavano guardando Credevo che era andato a strapparsi un po’ di ramoscelli teneri per pranzo. Watson diede una gomitata a Miraflores, che arricciò le labbra e scosse la testa, come in segno di disapprovazione. Gundersen non poteva sentire quello che dicevano, ma immaginava che stessero esprimendo disprezzo per l’entusiasmo che Credevo dimostrava nell’operazione. Evidentemente gli esseri civili non strappavano il loro cibo dagli alberi con la proboscide.
Van Beneker disse: — Si ferma a mangiare con noi, signor G?
— Molto gentile da parte tua — disse Gundersen.
Si accovacciò all’ombra mentre Van Beneker raccoglieva i suoi turisti e li conduceva fino alla riva del lago fumante. Quando furono arrivati, Gundersen si alzò e silenziosamente si unì al gruppo. Ascoltò il discorsetto della guida, ma riuscì a dedicare soltanto metà della sua attenzione a quanto veniva detto. — Zona di vita ad alta temperatura… più di 70 gradi… al di sopra del punto di ebollizione in certi posti, eppure degli organismi ci vivono… adattamento genetico… termofili li chiamiamo, che vuol dire amanti del calore… il DNA non viene cotto, ma il tasso di mutazione spontanea è maledettamente alto, e le specie cambiano così in fretta che non lo credereste… gli enzimi resistono al calore… mettete gli organismi del lago in acqua fredda e gelano nel giro di un minuto… processi vitali straordinariamente rapidi… le proteine denaturate possono funzionare quando le circostanze sono tali che… abbiamo tutta la gamma, fino al livello medio del ceppo… un ambiente ristretto, senza interazioni con il resto del pianeta… gradienti termici… studi quantitativi… il famoso biologo cinetico, il dottor Brock… distruzione termale continua delle molecole sensibili… re-sintesi incessante…
Credevo si stava ancora rimpinzando di rami. Sembrava a Gundersen che mangiasse molto di più di quanto facesse normalmente a quell’ora. I rumori della vegetazione strappata e masticata si scontravano con il salmodiare scientifico di Van Beneker.
Sganciandosi dalla cintura una rete bio-sensibile, Van Beneker cominciò a prelevare dal lago campioni della fauna, per l’edificazione del gruppo. Teneva in mano l’impugnatura della rete, e regolava i quadranti sulla massa e la lunghezza della preda desiderata; la rete, montata all’estremità di una bobina di sottile filo metallico quasi infinitamente espansibile, si muoveva sotto la superficie del lago cercando organismi delle dimensioni programmate. Quando i suoi sensori avvertivano la presenza di materia vivente, la sua bocca si spalancava e si richiudeva veloce. Van Beneker la ritirò, portando a terra qualche infelice prigioniero intrappolato insieme a una certa quantità del suo caldissimo ambiente.
Dal lago emerse una creatura dopo l’altra, dalla pelle rossa, l’aspetto bollito, ma viva, che si dimenava rabbiosamente. C’era un pesce corazzato, nascosto da luccicanti placche, abbellito da ornamenti ed escrescenze fantastiche. Poi una cosa simile a un’aragosta, che agitava una lunga coda munita di aculei e dondolava feroci occhi in cima a peduncoli. Dal lago emerse anche una specie di unica, gigantesca chela, con un minuscolo corpo. Non c’erano due delle grottesche prede di Van Beneker che fossero uguali. Il calore del lago, ripeté, induce frequenti mutazioni. Sciorinò una seconda volta l’intera spiegazione genetica, mentre ributtava nel loro brodo caldo un piccolo mostro dopo l’altro e gettava di nuovo la rete.
La genetica delle creature termofile parve attirare l’attenzione di uno solo dei turisti, Stein, che in qualità di proprietario di un salone specializzato nel trattamento cosmetico dei geni umani, non era inesperto in fatto di mutazioni. Rivolse un paio di domande dall’aria intelligente a Van Beneker, che naturalmente non fu in grado di rispondere; gli altri si limitarono a guardare, aspettando pazientemente che la loro guida finisse di mostrare loro buffi animali, e li portasse da qualche altra parte. Gundersen, che non aveva mai avuto occasione in precedenza di osservare gli abitanti di un lago ad alta temperatura, apprezzò l’esibizione, anche se la vista delle prede che si contorcevano ben presto lo annoiò. Aveva fretta di riprendere il cammino.
Si guardò intorno, e scoprì che Credevo era sparito.
— Quello che abbiamo preso questa volta — stava dicendo Van Beneker — è l’animale più pericoloso del lago, quello che chiamiamo squalo-rasoio. Solo che non ne ho mai visto uno simile prima. Vedete queste piccole corna? Assolutamente nuove. E quella specie di lanterna in cima alla testa, che lampeggia? — Nella rete si agitava una sottile creatura cremisi lunga circa un metro. L’intera pancia, dal muso alla coda, era apribile, formando in effetti una gigantesca bocca con centinaia di denti sottili come aghi. Mentre la bocca si apriva e si chiudeva, sembrava che l’intero animale si spaccasse in due, poi si rimarginasse. — Questa bestia si nutre di prede fino a tre volte le sue dimensioni — disse Van Beneker. — Come potete vedere, è feroce e selvaggia, e…
A disagio, Gundersen si allontanò dal lago, alla ricerca di Credevo. Trovò il posto dove il nildor aveva mangiato, e i rami inferiori di parecchi alberi erano stati denudati. Vide quella che sembrava la traccia del nildor, che si addentrava nella giungla. Un doloroso lampo di desolazione gli attraversò il cranio, mentre si rendeva conto che Credevo doveva averlo abbandonato.
In questo caso il suo viaggio avrebbe dovuto essere interrotto. Non osava addentrarsi da solo, a piedi, in quelle regioni selvagge, prive di sentieri. Avrebbe dovuto chiedere a Van Beneker di riaccompagnarlo in qualche accampamento nildor, dove forse avrebbe trovato un altro mezzo per raggiungere il paese delle nebbie.
Il gruppo di turisti stava risalendo dalla riva del lago. La rete penzolava dalle spalle di Van Beneker; Gundersen vide alcune creature del lago che si muovevano lentamente dentro di essa.
— La cena — disse. — Ho preso qualche granchio gelatinoso. Avete fame?
Gundersen fece un sorriso forzato. Osservò, per nulla affamato, Van Beneker aprire la rete. Un’ondata di acqua calda ne uscì, portando con sé otto o dieci creature ovali, color porpora, ciascuna diversa dall’altra per numero di zampe, segni sui gusci e dimensioni delle chele. Strisciarono in lenti cerchi, evidentemente mal sopportando la relativa freddura dell’aria. Nuvole di vapore si alzavano dalle loro schiene. Con fare esperto, Van Beneker li infilzò con stecchi appuntiti e li cucinò con la torcia a fusione, poi aprì i gusci rivelando i pallidi regolatori metabolici all’interno, che tremolavano come gelatina. Tre delle donne voltarono la testa, con una smorfia, ma la signora Miraflores prese il suo granchio e lo mangiò con gusto. Gli uomini parvero apprezzare. Gundersen, mangiucchiando senza entusiasmo la gelatina, scrutava la foresta e si preoccupava per Credevo.
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