— Sei mai stato qui? — chiese Gundersen a Srin’gahar, mentre la notte cominciava a cancellare la parete di roccia.
— Mai. La mia gente raramente entra in questa terra.
— Qualche volta, volando basso sull’altopiano, ho visto degli accampamenti nildor. Non spesso, ma qualche volta. Vuoi dire che la tua gente non ci va più?
— No — disse Srin’gahar. — Alcuni di noi hanno la necessità di andare sull’altopiano, ma la maggior parte no. Qualche volta l’anima diventa stantia, e uno deve cambiare ambiente. Se uno non è pronto per la rinascita, va sull’altopiano. È più facile affrontare la propria anima laggiù, ed esaminarla per trovare i difetti. Capisci quello che dico?
— Credo di sì — disse Gundersen. — È come un luogo di pellegrinaggio… un luogo di purificazione.
— In un certo senso.
— Ma perché i nildor non si sono mai stanziati permanentemente lassù? C’è un sacco di cibo… il clima è caldo…
— Non è un luogo dove regni il g’rakh - rispose il nildor.
— È pericoloso per i nildor? Animali selvaggi, piante velenose, cose del genere?
— No, non direi questo. Non abbiamo paura dell’altopiano, e non c’è alcun luogo su questo mondo che sia pericoloso per noi. Ma l’altopiano non ci interessa, a parte quelli che hanno quel bisogno speciale che ti ho detto. Come ho detto, il g’rakh vi è estraneo. Perché dovremmo andare là? C’è posto abbastanza per noi nelle terre basse.
L’altopiano è troppo alieno perfino per loro, pensò Gundersen. Preferiscono una piccola giungla tranquilla. Curioso!
Quella notte si accamparono accanto a un torrente di acque calde. Evidentemente l’acqua usciva da uno dei calderoni sotterranei che erano comuni in quella zona del continente. Srin’gahar disse che la sorgente si trovava non molto a nord. Nuvole di vapore si innalzavano dalla rapida corrente; l’acqua, rosa a causa dei microorganismi d’alta temperatura, ribolliva. Gundersen si chiese se Srin’gahar aveva scelto quel posto appositamente per lui, dal momento che i nildor non usavano acqua calda, mentre i terrestri notoriamente sì.
Si lavò la faccia, con straordinario piacere, e fece seguire una cena a base di capsule di cibo, frutta fresca e stufato di radici di moraverde… deliziose bollite, velenose altrimenti. Come rifugio per la notte, Gundersen usò una coperta da giungla monomolecolare, che si era portato con sé nello zaino, l’unico bagaglio che avesse in quel viaggio. Sistemò la coperta su tre rami incrociati, per tenere lontane le mosche notturne e altri insetti fastidiosi, e strisciò sotto di essa. Il terreno, coperto da uno spesso tappeto di erba, era un materasso eccellente per lui.
I nildor non sembravano in vena di conversazione. Lo lasciarono solo. Tutti tranne Srin’gahar si spostarono di parecchi metri a monte, per trascorrere la notte. Srin’gahar si sistemò a poca distanza da Gundersen, come per proteggerlo, e gli augurò buona notte.
Gundersen disse: — Ti va di parlare un po’? Vorrei conoscere qualcosa circa il processo della rinascita. Come fate a sapere, per esempio, che il vostro momento è arrivato? È qualcosa che sentite dentro di voi, o è solo questione di raggiungere una certa età? Siete… — Si rese conto che Srin’gahar non gli stava prestando attenzione. Il nildor era caduto in una specie di profonda trance, e giaceva perfettamente immobile.
Con un’alzata di spalle, Gundersen si voltò e attese il sonno, ma il sonno ci mise parecchio ad arrivare.
Pensò a lungo ai termini del patto sotto cui gli era stato permesso di compiere il suo viaggio. Forse un altro molte-volte-nato gli avrebbe permesso di recarsi nella zona delle nebbie senza dover riportare indietro Cedric Cullen; o forse non gli sarebbe stato concesso alcun salvacondotto. Gundersen aveva il sospetto che il risultato sarebbe stato il medesimo, in qualsiasi accampamento nildor fosse capitato a chiedere il permesso. Anche se i nildor non possedevano alcun sistema di comunicazione a distanza, nessuna struttura governativa in senso terrestre, nessuna unità razziale superiore a quella di una popolazione di animali della giungla, tuttavia erano straordinariamente capaci di mantenersi in contatto fra di loro e di agire di comune accordo.
Cosa aveva fatto Cullen, si chiese Gundersen, perché lo volessero tanto?
Ai vecchi tempi, Cullen gli era sembrato del tutto normale: un uomo allegro e rubicondo che collezionava insetti, non diceva mai parole aspre e reggeva bene l’alcool. Quando Gundersen era agente capo alla Punta di Fuoco, nel Mare di Polvere, Cullen era stato suo assistente. Per mesi di fila, c’erano solo loro due alla stazione, e Gundersen era arrivato a conoscerlo piuttosto bene, immaginava. Cullen non aveva alcun piano per fare carriera nella Compagnia; diceva di aver firmato un contratto di sei anni, e di non avere alcuna intenzione di rinnovarlo; avrebbe preso un incarico universitario, una volta finito il lavoro sul Mondo di Holman. Era lì solo per stagionare, e per il prestigio che viene da un servizio su un mondo extraterrestre. Poi la situazione politica sulla Terra si era complicata, e la Compagnia era stata costretta ad abbandonare moltissimi pianeti che aveva colonizzato. Gundersen, come la maggior parte dei quindicimila dipendenti della Compagnia, aveva accettato il trasferimento a un altro incarico. Cullen, con grande stupore di Gundersen, era stato fra i pochi che avevano scelto di rimanere, anche se questo aveva significato tagliare i legami con il loro mondo natale. Gundersen non gli aveva chiesto il perché; non si discuteva di certe cose. Ma gli era sembrato singolare.
Vedeva chiaramente Cullen nella sua mente: a caccia di insetti nel Mare di Polvere, la bottiglia che gli penzolava dalla cintura mentre correva da un affioramento roccioso all’altro… un ragazzo troppo cresciuto, in realtà. La bellezza del Mare di Polvere gli era del tutto estranea. Nessun settore del pianeta era più alieno di quello, né più spettacolare: un letto oceanico prosciugato, più grande dell’Atlantico, ricoperto da uno spesso strato di finissimi cristalli minerali, brillanti come specchi quando il sole li colpiva. Dalla stazione di Punta di Fuoco si poteva vedere la luce del mattino avanzare come un fiume di fuoco che straripasse, finché l’intero deserto era in fiamme. I cristalli assorbivano energia tutto il giorno e la rilasciavano la notte, cosicché già al tramonto una bizzarra luminescenza si alzava dal letto oceanico, e dopo il tramonto del sole un bagliore rossastro, pulsante, perdurava per ore. In questo deserto quasi senza vita, ma di meravigliosa bellezza, la Compagnia aveva trovato una dozzina di metalli rari e una trentina di pietre preziose e semipreziose. Le macchine estrattive partivano dalla stazione e giravano in lungo e in largo, macinando bellezza e tornando con tesori; non c’era molto da fare lì per un agente, tranne che tenere l’inventario della crescente ricchezza e fare da anfitrione ai turisti che venivano a vedere la bellezza del luogo. Gundersen si era annoiato terribilmente, e anche lo splendore del paesaggio alla fine lo aveva stancato, ma Cullen, per cui il deserto incandescente era soltanto un appariscente fastidio, si divertiva con il suo hobby, e riempiva bottiglia dopo bottiglia di insetti. Chissà se le macchine estrattive erano ancora nel Mare di Polvere, si chiese Gundersen, in attesa di un comando per riprendere le operazioni? Se la Compagnia non le aveva portate via dopo l’indipendenza, sarebbero senza dubbio rimaste lì per tutta l’eternità, senza arrugginire, inutili, fra i tremendi solchi che avevano scavato. Le macchine avevano spazzato via il manto cristallino fino a scoprire il basalto sottostante, poi avevano sputato fuori grandi cumuli di residui e detriti, mentre trituravano sabbia alla ricerca di ricchezza. Probabilmente la Compagnia le aveva lasciate, come monumento al commercio. Le macchine costavano poco, i trasporti interstellari molto; perché portarsele via? “Fra mille anni,” aveva detto una volta Gundersen “il Mare di Polvere sarà interamente distrutto, e non ci saranno altro che detriti al suo posto, se le macchine continuano a macinare roccia a questa velocità.” Cullen aveva alzato le spalle, sorridendo. “Be’, così non ci sarà più bisogno di questi occhiali scuri, senza quella luce infernale” aveva detto. “Eh?” E adesso la rapina del deserto era finita e le macchine erano ferme; e adesso Cullen era un fuggiasco nel paese delle nebbie, ricercato per un crimine così terribile che i nildor non volevano neppure dargli un nome.
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