Clifford Simak - La casa dalle finestre nere

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La casa dalle finestre nere: краткое содержание, описание и аннотация

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Un veterano della guerra civile americana che non invecchia mai, una casa con finestre indistruttibili, una tomba che porta inciso sulla pietra il segno dell’infinito: ce n’è abbastanza perché la CIA cominci ad avere dei sospetti e perché Clifford Simak cominci a tessere una delle sue trame più belle e suggestive. Dai boschi del Wisconsin alle frontiere della galassia, dai più umili e quotidiani personaggi ai più stupefacenti visitatori spaziali, tutto si carica di quel «senso del meraviglioso» di cui l’autorè di Mondi senza fine è uno dei pochi a conoscere il segreto.

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— La folla? — domandò Ulisse. — Non capisco.

Winslowe lo interruppe, perché non aveva ancora detto tutto. — L’uomo del ginseng ti aspetta a casa con un furgone coperto.

— Ah, Lewis con il corpo dello splendente — disse Enoch.

— Faremmo meglio a muoverci — propose Ulisse. — Anche se non capisco molto, mi pare che la situazione stia diventando critica.

— Ma che succede, ora? — strillò il postino. — Che cos’ha in mano Lucy, e chi è questo tizio?

— Ti spiegherò tutto dopo — disse Enoch. — Adesso non ho tempo.

— Ma, Enoch, stanno arrivando…

— Penserò a loro quando sarà il momento; adesso ho una cosa più importante da fare.

Si avviarono tutti e quattro di corsa verso la stazione, che torreggiava cupa sul ciglio della collina, e a un tratto Winslowe gridò: — Guarda, sono già alla svolta. Si vedono i fari.

Erano ormai sull’aia, e alla debole luce del Talismano apparve la sagoma di un furgone, mentre una figura usciva dall’ombra correndo verso di loro.

— È lei, Wallace?

— Sì — rispose Enoch. — Mi scusi se non sono potuto venire.

— Non sapevo cosa fare — disse Lewis.

— C’è stato un imprevisto e sono stato costretto a uscire.

— È il corpo dell’onorevole defunto? — domandò Ulisse. — È nel furgone?

Lewis annuì.

— Dobbiamo portarlo nel frutteto e non ci si può arrivare col furgone — disse Enoch.

— L’altra volta ci hai pensato tu — gli ricordò Ulisse. — Ma ora, fratello mio, vorrei chiederti l’onore di farlo io.

— Certamente — consentì Enoch. — Sono sicuro che lui ne sarebbe felice. — Avrebbe voluto aggiungere che era felicissimo di non doversi occupare anche di quella faccenda, ma si trattenne, perché Ulisse non avrebbe capito.

— Vengono — gridò Winslowe a un tratto. — Sento il motore della prima macchina.

Aveva ragione. Poco dopo, infatti, si sentì il rumore di passi calmi e decisi, come quelli di un mostro sicuro di poter catturare la preda.

Enoch si voltò, alzando il fucile.

Alle sue spalle, Ulisse sussurrò piano: — Forse sarebbe meglio portarlo alla tomba nella piena gloria e alla luce del Talismano ritrovato.

— Ricorda che Lucy non ti può sentire — gli ricordò Enoch. — Devi farti capire a gesti.

Ma Lucy aveva capito; senza perdere tempo aprì la custodia del Talismano e lo tenne alto perché diffondesse la luce sull’aia, sulla casa e fin nel campo. Si diffuse allora una calma insolita, come se il mondo avesse trattenuto il respiro e stesse attento e reverente in attesa di un avvenimento straordinario.

E una pace immensa scese fin nelle più intime fibre dei presenti. Una pace dolcissima, come si prova al tramonto di una lunga e soffocante giornata o sul fare dell’alba, in primavera. La si sentiva nel cuore e tutto intorno, silenziosa, infinita, così profonda che sarebbe durata per l’eternità.

Enoch si voltò verso il campo, dove stavano gli uomini venuti a dargli la caccia, e vide, al limite estremo dell’aureola di luce del Talismano, un gruppetto grigio, come di lupi intimoriti da un fuoco da campo.

Lentamente gli uomini indietreggiarono fino a perdersi nell’oscurità retrostante. Ma uno di loro si mise a correre disperatamente, scendendo a rompicollo la collina, e urlando di terrore, come un cane spaventato.

— Quello è Hank — disse Winslowe.

— Mi spiace che si sia spaventato — commentò, asciutto, Enoch. — Nessuno dovrebbe aver paura del Talismano.

— Ha paura di se stesso — corresse il postino. — Vive con il terrore in corpo.

Enoch pensò che era vero: così era fatto l’uomo. Portava il terrore con sé, e aveva sempre avuto paura soprattutto di se stesso.

34

La tomba venne riempita e livellata, e i cinque sostarono accanto a essa, ascoltando il vento che spirava tra i rami dei meli illuminati dalla luna, mentre da lontano i caprimulgi si chiamavano l’un l’altro nell’argentea notte.

Enoch rilesse al lume della luna la scritta incisa sulla rozza pietra: la luce era insufficiente, ma lui la sapeva a memoria: "Qui giace un essere venuto da una lontana stella. Ma questa terra non gli è straniera, perché nella morte egli è partecipe dell’universo."

La sera prima, il diplomatico vegano aveva detto che in quelle parole sentiva lo spirito della sua gente. Lui non lo aveva contraddetto, ma lo splendente sbagliava; il sentimento che aveva spinto lui, Enoch, a scriverle, non era solo vegano, ma anche umano.

La pietra non era dura come il marmo o il granito di cui sono fatte solitamente le lapidi, e in pochi anni il sole, la pioggia e il gelo avrebbero fatto scomparire la scritta: sarebbero rimasti solo dei segni indistinti, dove un tempo erano le parole. Ma non importava: quelle parole non erano state scolpite soltanto sulla pietra.

Enoch guardò Lucy, che aveva riposto il Talismano nella custodia, di dove il suo bagliore giungeva attenuato. La ragazza se lo teneva sempre stretto al cuore e il suo viso aveva un’espressione esaltata e assente, come se si fosse già staccata dalla realtà, per entrare in un altro mondo, in un’altra esistenza, che lei sola aveva il diritto di vivere, dimentica del passato.

— Credi che accetterà di venire con noi? — domandò Ulisse. — Credi che la Terra le permetterà…?

— La Terra non c’entra — l’interruppe Enoch. — Noi terrestri siamo liberi, sta a lei decidere.

— Ma credi che vorrà venire?

— Credo di sì. Penso che abbia atteso per tutta la vita questo momento. Forse lo aveva presagito, anche senza il Talismano.

Lucy, infatti, era sempre stata in contatto con qualcosa che trascendeva l’umano. Aveva in sé qualcosa di sovrumano: qualcosa di indefinibile, a cui era impossibile dare un nome. E lei se n’era servita come aveva potuto, in modo inesperto, facendo scomparire le verruche e risanando le ali delle farfalle…

— E suo padre? — insisté Ulisse. — Quel tipo che scappava urlando?

— Ci penserò io — intervenne Lewis. — Gli parlerò. Lo conosco bene.

— Vuoi portarla con te? — domandò Enoch.

— Se acconsentirà — rispose Ulisse. — Ma prima di tutto, bisogna avvertire la Centrale.

— E poi Lucy visiterà tutti gli angoli della galassia?

— Sì. Abbiamo un estremo bisogno di lei.

— Non potreste prestarmela per un paio di giorni?

— Prestarla?

— Sì — confermò Enoch. — Anche noi abbiamo bisogno di lei. Assai più di voi, per dire il vero.

— Certo — acconsentì Ulisse. — Però, non…

— Lewis — chiese Enoch — crede che il nostro governo, o il Segretario di stato, permetterà a Lucy Fisher di far parte della delegazione americana alla conferenza della pace?

Lewis, sbalordito, balbettò qualche parola incomprensibile, poi riuscì a dire: — Spero di sì.

— Immagina che influenza avranno Lucy e il Talismano, sulla conferenza? — incalzò Enoch.

— Sì, certo… — rispose Lewis. — Ma il Segretario di stato vorrà parlare con lei prima di prendere una decisione.

Enoch si voltò verso Ulisse, ma non ebbe bisogno di formulare la domanda che stava per fargli.

— A proposito — disse Ulisse a Lewis. — Mi faccia sapere se posso partecipare anch’io all’incontro. E dica al vostro Segretario che non sarebbe una cattiva idea sollecitare la formazione di un comitato mondiale.

— Come?

— Per studiare il modo di far entrare la Terra nella nostra confraternita. Capirà anche lei che non possiamo accettare una custode del Talismano che appartenga a un pianeta straniero.

35

Al chiaro di luna, l’ammasso di rocce scintillava candido come lo scheletro di un animale preistorico. Gli alberi erano radi e la punta rocciosa spiccava nitida contro il cielo.

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