Clifford Simak - La casa dalle finestre nere

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La casa dalle finestre nere: краткое содержание, описание и аннотация

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Un veterano della guerra civile americana che non invecchia mai, una casa con finestre indistruttibili, una tomba che porta inciso sulla pietra il segno dell’infinito: ce n’è abbastanza perché la CIA cominci ad avere dei sospetti e perché Clifford Simak cominci a tessere una delle sue trame più belle e suggestive. Dai boschi del Wisconsin alle frontiere della galassia, dai più umili e quotidiani personaggi ai più stupefacenti visitatori spaziali, tutto si carica di quel «senso del meraviglioso» di cui l’autorè di Mondi senza fine è uno dei pochi a conoscere il segreto.

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Enoch appoggiò il calcio del fucile alla spalla, sistemandolo come se fosse una parte di lui. Premette il grilletto, ma mancò il bersaglio. Allora caricò nuovamente l’arma e sparò una seconda volta. Quando guardò, i due animali giacevano sull’erba.

Ora anche i mostruosi "rospi" stavano avvicinandosi. Strisciavano silenziosi, e, sentendosi osservati, si appiattirono al suolo. Enoch trasse di tasca due cartucce, le infilò nel caricatore, e attese. Non si udiva più il muggito di là del fiume, ma un rumore nuovo, come un calpestio di zoccoli, di cui non riusciva a individuare la provenienza. Pareva che venisse dalla foresta, ma non si scorgeva nulla.

Intanto il ronzio si era fatto più forte. Enoch guardò in alto, e vide che i puntini avevano formato un circolo, e scendevano a spirale. Tuttavia erano ancora troppo lontani per capire che cosa fossero.

Quando riabbassò lo sguardo si accorse che i "rospi" avevano ripreso l’avanzata. Puntò il fucile, e, senza portarlo alla spalla, premette il grilletto. L’occhio di uno dei mostri più vicini esplose mandando alti spruzzi come una pozza d’acqua colpita da un sasso. L’animale si appiattì ancor più sul terreno, come se qualcuno l’avesse schiacciato col piede, e giacque immobile con un foro al posto dell’occhio, mentre dalla cavità usciva una densa materia gialla, forse sangue.

Gli altri presero a indietreggiare lentamente, guardinghi, nascondendosi fra l’erba.

Ora il rumore di zoccoli era vicinissimo: veniva dalle colline. Enoch si volse e vide un enorme animale che valicava la sommità del colle, facendosi pesantemente strada fra gli alberi fitti, e calpestando con tonfi sordi il terreno. Pareva una gigantesca palla nera che si gonfiava e afflosciava con ritmo alterno, a ogni passo, oscillando e sussultando. Quel corpo mostruoso aveva quattro zampe lunghissime che si ripiegavano come quelle dei ragni. Camminava a fatica, e teneva sollevata a lungo una zampa, prima di decidersi a posarla, schiantando alberi e rami.

A quella vista, Enoch rimase come paralizzato dalla paura. Tuttavia, trovò ancora la forza di frugarsi in tasca, per prendere un’altra cartuccia.

Il ronzio intanto era diventato assordante. Con una rapida occhiata al cielo. Enoch vide che il cerchio si era rotto, e che le sconosciute creature stavano scendendo in picchiata su di lui, una dietro l’altra. Erano senz’altro uccelli rapaci, ma infinitamente più grossi e più pericolosi di quelli terrestri: piombavano giù dal cielo, come un nugolo di frecce.

Istintivamente Enoch portò il fucile alla spalla, e lo puntò contro il mostro volante più vicino, che con un sussulto si accartocciò e precipitò morto. Sparò una seconda volta, e un altro uccellaccio seguì la sorte del primo. Ancora uno sparo, e un terzo volatile si staccò dalla fila, andando a cadere in riva al fiume.

Gli altri ruppero la formazione e si allontanarono, battendo le grandi ali che parevano pale da mulino.

Ma un’ombra si allungò improvvisamente dalla sommità della collina e una lunga zampa sì piantò saldamente nel pantano, facendo schizzare il fango tutt’attorno. Il tonfo fu tanto forte da annullare tutti gli altri rumori, e subito la grossa palla nera comparve, orribile e grottesca. Enoch vide un lungo becco e, sotto di esso, una bocca rientrante, circondata da una dozzina di protuberanze, che sembravano occhi: esse erano situate sul ventre del mostro, cosicché, camminando, poteva vedere tutto quanto passava sotto di lui.

Una volta ancora Enoch prese la mira e sparò l’ultima cartuccia. Brandelli di carne esplosero dal pallone nero, colpito dalla scarica, mentre dalle ferite sgorgava un liquido nero e fumante.

Le munizioni erano finite, ma ormai non servivano più.

Le lunghissime gambe si stavano ripiegando, e il corpo dell’animale, scosso da un tremito convulso, si afflosciava a terra. Il sangue nero continuava a scorrere a rivoli fumanti, mandando un fetore nauseabondo.

Poi, d’un tratto, tutto svanì, ed Enoch si ritrovò nella stanza ovale, debolmente illuminata. Si sentiva un forte odore di polvere, e sul pavimento, ai suoi piedi, erano sparsi i bossoli delle cartucce.

Era tornato nella sua cantina. La caccia era finita.

29

Enoch guardò il fucile e sospirò. Tutte le volte gli capitava la stessa cosa: doveva riabituarsi a poco a poco, per gradi, alla realtà. Benché sapesse che si trattava di un’illusione, quando girava l’interruttore incassato nella parete, ogni cosa gli appariva solida e reale come fosse vera.

Quando gli abitanti della galassia erano venuti a impiantare la stazione, gli avevano chiesto se per caso avesse qualche "hobby". Lui aveva risposto che gli piaceva la caccia.

Sulle prime non avevano capito bene di che si trattasse. Allora lui aveva mostrato il fucile, spiegando a che cosa serviva. Quindi aveva descritto le sue passeggiate nei dintorni, e cacce di lepri o di scoiattoli e gli appostamenti, in attesa che un cervo scendesse a bere al ruscello. Ma non aveva detto che il fucile gli era servito anche in guerra…

Aveva poi parlato del suo sogno giovanile di cacciare le belve in Africa… E, da quel giorno, gli era stato possibile uccidere animali molto più pericolosi e strani delle belve africane.

Non aveva la minima idea da dove provenissero quelle fiere. Forse si trattava di creazioni fantastiche, di scene registrate su nastri… Ma la scena e gli animali erano sempre diversi.

Spesso si era domandato che cosa pensassero gli abitanti della galassia della sua passione per la caccia, dell’impulso primitivo che spingeva l’uomo a uccidere per il gusto di sventare un pericolo, di misurarsi contro una forza superiore alla sua per valutare la propria astuzia sul metro di quella di altre creature. Avrebbero potuto, i suoi amici della galassia, capire la differenza fra la caccia e la guerra?

Ancora un po’ trasognato, Enoch si mise il fucile sotto il braccio e si avvicinò al pannello, da cui sporgeva una strisciolina di plastica. Staccò la striscia e ne osservò i geroglifici. Il risultato non era certo soddisfacente quella volta: aveva mancato il primo colpo, sparato contro quei "lupi" dal viso umano; gli pareva quasi di vederli sghignazzare con una smorfia satanica, sul cadavere ridotto a brandelli dal cacciatore Enoch Wallace.

30

Ripercorse il lungo corridoio fiancheggiato dagli scaffali carichi di doni, oscuro e polveroso come un vecchio solaio.

Lo irritava il pensiero di quel colpo sbagliato, mentre tutti gli altri erano andati a segno. Gli capitava ben di rado di mancare il bersaglio. Tuttavia, si consolò, pensando che negli ultimi tempi non si era esercitato regolarmente.

All’estremità del corridoio intravide la sagoma scura di un baule che sporgeva di sotto allo scaffale più basso. L’oltrepassò, senza badarci, quando gli venne in mente che quello era il baule dello splendente morto nella stazione.

Enoch tornò sui suoi passi, appoggiò il fucile alla parete e si chinò per trascinare il baule verso il centro del corridoio.

Prima di portarlo laggiù ne aveva esaminato il contenuto e gli era parso che non vi fosse niente d’interessante: ma ora provava un intenso desiderio di guardare tutto più attentamente.

Sollevò il coperchio e rimase inginocchiato, osservando lo strato superiore senza toccare niente. C’era una mantella di stoffa lucida e accuratamente piegata sulla quale era posta una bottiglietta che sembrava ricavata da un grossissimo diamante, tanto la superficie sfaccettata brillava di luci. Accanto alla mantella stavano alcune palline opache, di color viola, che parevano palle da ping-pong cementate insieme. Enoch ricordò che si potevano muovere indipendentemente una dall’altra, anche se adesso non riusciva a staccarle. Forse si trattava di un calcolatore, per quanto la cosa sembrasse poco plausibile (almeno ai suoi occhi, le palline erano tutte uguali). Ma forse gli occhi degli splendenti le vedevano diverse. Forse l’oggetto non era un calcolatore, ma solo un gioco. Un rompicapo.

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