Clifford Simak - La casa dalle finestre nere

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La casa dalle finestre nere: краткое содержание, описание и аннотация

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Un veterano della guerra civile americana che non invecchia mai, una casa con finestre indistruttibili, una tomba che porta inciso sulla pietra il segno dell’infinito: ce n’è abbastanza perché la CIA cominci ad avere dei sospetti e perché Clifford Simak cominci a tessere una delle sue trame più belle e suggestive. Dai boschi del Wisconsin alle frontiere della galassia, dai più umili e quotidiani personaggi ai più stupefacenti visitatori spaziali, tutto si carica di quel «senso del meraviglioso» di cui l’autorè di Mondi senza fine è uno dei pochi a conoscere il segreto.

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— Hanno insistito per sapere a chi appartenesse il corpo — riprese Lewis.

— Ho già detto ieri sera che non posso parlare. Se potessi, lo farei. Per anni ho cercato di immaginare come raccontare la mia storia, ma non c’è modo.

— Il cadavere non appartiene a un essere di questo mondo — dichiarò Lewis. — Di questo siamo sicuri.

— La pensate così. — Per Enoch si trattava di una constatazione, non di una domanda.

— Anche nella casa c’è qualcosa di strano.

— La casa — intervenne bruscamente Enoch — è stata costruita da mio padre.

— Ma è cambiata — disse Lewis. — È sicuramente diversa da quando fu costruita.

— Gli anni cambiano tutto.

— Tutto, tranne lei.

Enoch sorrise: — Anche questo vi dà da pensare, eh? E a lei sembra una vergogna.

Lewis scosse la testa. — No, non una vergogna. La tengo d’occhio da un paio di anni e ormai ho imparato ad accettare lei e il suo mondo. Non a capire, questo è certo, ma ad accettare senza condizioni. Qualche volta penso di essere impazzito, ma poi mi passa. Ho cercato di non darle fastidio e sono contento di aver agito così. Ma tutti e due abbiamo commesso un errore: ci comportiamo come se fossimo nemici, il che non deve più essere. Abbiamo molto in comune, noi due. So che qui sta succedendo qualcosa, ma non voglio intromettermi in nessun modo.

— Lo ha già fatto — disse Enoch. — Rubare il cadavere è stata la peggiore idea possibile. Se l’avesse fatto apposta, studiando il modo migliore per danneggiarmi, non avrebbe potuto riuscirci meglio. E non ha danneggiato solo me, ma tutta l’umanità.

— Non capisco — disse Lewis. — Mi spiace, ma non capisco. C’era una scritta, sulla lapide…

— È stata colpa mia — ammise Enoch. — Non avrei dovuto mettere una lapide, ma al momento mi è sembrato giusto. Non pensavo che qualcuno venisse qui a spiare, e…

— Era un suo amico?

— Un mio amico? Ah, vuol dire il morto. Be’, non proprio; non quel particolare individuo.

— Ormai è fatta, ma le assicuro che mi dispiace — insisté Lewis.

— Peccato che non serva a niente.

— Non si può rimediare, fare qualcosa? Oltre a riportare il corpo, voglio dire.

— Sì — rispose Enoch. — Qualcosa si può fare. E potrei aver bisogno di aiuto.

— Dica pure — si affrettò Lewis. — Se posso…

— Può darsi che mi serva un camion per portar via della roba. Registri, roba del genere. Può darsi che mi serva presto.

— Le procurerò il camion e gli uomini per caricare il materiale. Lo faremo aspettare.

— Forse dovrò parlare con le autorità. Con il presidente o con il segretario di Stato, magari con l’ONU. Non so, dovrò riflettere, perché non voglio solo parlarci ma avere qualche garanzia che mi daranno ascolto.

— Farò portare un trasmettitore a onde corte — disse Lewis. — Lo terrò pronto.

— E qualcuno mi ascolterà?

— Certo — promise Lewis. — Chi vorrà.

— Un’altra cosa.

— Qualsiasi cosa — disse Lewis.

— Dovrà dimenticare quello che le ho detto. Può darsi che non mi serva niente, né il camion né il resto. Può darsi che le cose continuino come sono sempre state fino a oggi. In tal caso, lei e gli altri coinvolti in questa storia riuscirete a dimenticare tutto?

— Penso di sì — disse Lewis. — Ma continueremo la sorveglianza.

— Faccia pure, in seguito potrei aver bisogno di aiuto. Però, niente più interferenze.

— È sicuro — chiese l’agente — che non ci sia altro?

Enoch scosse la testa. — Nient’altro. Al resto penserò da solo.

"Ma forse ho già parlato troppo" pensò. Poteva fidarsi di quell’uomo? Poteva fidarsi di chiunque?

In ogni caso, se avesse deciso di lasciare la galassia e optare per la Terra, avrebbe avuto bisogno d’aiuto. Forse i suoi amici dello spazio non gli avrebbero permesso di sottrarre alla stazione i diari e i doni; quindi avrebbe dovuto affrettarsi.

Ma era proprio deciso a lasciare la Centrale Galattica? Poteva rifiutare un’eventuale offerta di diventare guardiano di un’altra stazione? Quando fosse arrivato il momento, sarebbe riuscito a troncare i rapporti con le miriadi di popoli che vivevano nell’universo e con i misteri delle altre stelle?

Aveva già cominciato a farlo. Senza pensarci troppo, come se avesse già deciso, negli ultimi minuti aveva gettato le basi del suo ritorno alla Terra.

Perplesso e turbato, pensava ancora a quello che aveva fatto, quando Lewis disse: — Se non ci sarò io, qui alla sorgente, ci sarà comunque qualcuno che potrà mettersi in contatto con me.

Enoch assentì distrattamente.

— Durante la passeggiata qualcuno la vedrà tutte le mattine — continuò l’altro. — Del resto, potrà raggiungerci alla sorgente quando vorrà.

Come cospiratori, pensò Enoch. Come bambini che giocano a guardie e ladri.

— Devo andare — disse. — È quasi l’ora della posta e Wins si chiederà cosa mi sia successo.

Cominciò a risalire il pendio.

— Arrivederci — salutò Lewis.

— Sì — concluse Enoch — ci rivedremo.

Si stupì nel sentirsi invadere da un’ondata di calore, come se avesse riparato qualche torto o avesse trovato qualcosa che era andato perduto.

26

Enoch incontrò il postino sulla strada che portava alla stazione. La vecchia caffettiera andava forte, sobbalzando sulle radici coperte d’erba e sfiorando i rami dei cespugli che fiancheggiavano la strada.

Quando vide Enoch, Winslowe frenò e rimase ad aspettarlo.

— Hai preso una scorciatoia o hai cambiato strada? — chiese Enoch.

— Non ti ho trovato al solito posto — fece Wins — e sono venuto a cercarti, perché volevo parlarti.

— Posta importante?

— Non si tratta della posta. È il vecchio Hank Fisher. È andato giù a Millstone, all’osteria di Eddie, e continua a pagare da bere e a imprecare contro di te.

— Hank non è tipo da pagare da bere.

— Racconta in giro che hai cercato di rapire Lucy.

— Non l’ho rapita — rispose Enoch. — Hank l’aveva presa a frustate con un nerbo di bue e io l’ho tenuta nascosta finché si è calmato.

— Non avresti dovuto, Enoch.

— Può darsi. Ma Hank voleva suonargliele e gliel’aveva già fatto assaggiare.

— Hank ti darà dei fastidi.

— Infatti, mi ha minacciato.

— Dice che l’hai rapita, poi ti sei spaventato e l’hai riportata a casa. Dice che l’avevi nascosta in casa e quando ha cercato di andare a riprenderla, non è riuscito a entrare. Dice che ha rotto la lama dell’accetta contro il vetro di una finestra.

— Non c’è da meravigliarsi — ribatté Enoch. — Hank è pieno di fantasia.

— Finora è tutto sotto controllo — continuò il postino. — E alla luce del sole nessuno gli dà retta. Ma entro stasera saranno tutti bevuti e allora il buon senso andrà a farsi benedire. Qualcuno potrebbe venire a cercarti.

— E Hank va dicendo che ho il diavolo in corpo.

— Questo e altro — confermò Wins. — Sono stato a sentirlo per un pezzo, prima di venire via.

S’interruppe, prese un fascio di giornali dalla borsa e li consegnò all’amico.

— Devi sapere una cosa, Enoch. Forse non te ne rendi conto, ma non sarebbe difficile aizzare la gente contro di te: sei un tipo strano, che fa una vita diversa dagli altri… No, non voglio dire che in te c’è qualcosa che non va, ti conosco e so che non è così; ma chi non ti conosce potrebbe mettersi in testa delle idee sbagliate. Finora ti hanno lasciato in pace perché non avevano il minimo appiglio. Ma se Hank riesce a eccitarli con i suoi racconti…

Non finì la frase, che rimase a mezz’aria.

— Vuoi dire che potrebbero organizzare una spedizione punitiva? — chiese Enoch.

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