Wins annuì senza parlare.
— Grazie — disse Enoch. — Hai fatto bene ad avvertirmi.
— È vero — chiese il postino — che non si può entrare in casa tua?
— Direi di sì — ammise Enoch, — Non si può entrare con la forza né incendiarla. Non si può fare niente.
— E allora, se fossi in te, stanotte me ne starei chiuso in casa, senza mettere il naso fuori.
— Farò come dici. Mi sembra una buona idea.
— Questo è tutto — concluse il postino. — Ho pensato che fosse mio dovere avvertirti. Ora continuerò il solito giro, ma dovrò andare sulla strada, perché qui è impossibile fare manovra.
— Vai fino a casa mia; lì c’è spazio.
— La strada è più vicina — disse Wins. — Perderò solo pochi minuti.
La macchina si avviò in retromarcia, lentamente.
Enoch la seguì con lo sguardo.
Alzò una mano in segno di saluto mentre si allontanava: presto sarebbe scomparsa dietro la curva. Wins rispose al saluto, poi il macinino fu inghiottito dai cespugli che crescevano sui due lati della strada.
Enoch si avviò lentamente alla stazione.
Una spedizione punitiva, pensò. Dio, un linciaggio.
La folla urlante avrebbe circondato la casa, martellando contro porte e finestre e sparando all’impazzata. Non ci sarebbe stata più speranza (ammesso che ancora ne restasse una): la Centrale avrebbe chiuso la stazione. Una manifestazione del genere avrebbe corroborato la tesi di chi proponeva di abbandonare l’esplorazione di quella parte della galassia.
"Ma perché capita tutto nello stesso momento?" si domandò Enoch. Per anni e anni tutto era stato tranquillo, e adesso, in poche ore, erano successe tante cose insieme. Pareva che tutto congiurasse contro di lui.
Se la folla inferocita fosse arrivata davvero, Enoch sarebbe stato costretto ad accettare il posto di guardiano in un’altra stazione. Anche volendolo, non avrebbe potuto più restare sulla Terra. Ma improvvisamente sì rese conto, con un brivido, che forse non gli avrebbero offerto un altro posto, che in virtù del suo sangue lo avrebbero accomunato all’accusa di barbarie rivolta a tutta l’umanità.
Avrebbe fatto meglio a scendere alla sorgente e a raccontare tutto a Lewis; probabilmente disponeva dei mezzi per tener lontana la folla dalla stazione. Ma anche ammesso che li avesse, Enoch avrebbe dovuto raccontare troppe cose. E magari la folla inferocita non sarebbe venuta affatto: nessuno credeva alle storie che raccontava Hank Fisher, tutto si sarebbe risolto in un niente di fatto.
Decise di chiudersi nella stazione, sperando nel meglio. Se all’arrivo degli scalmanati non ci fossero stati viaggiatori in transito, la Centrale non avrebbe mai saputo niente. Con un po’ di fortuna ogni cosa si sarebbe sistemata. Secondo la legge delle probabilità un pizzico di fortuna poteva benissimo capitargli: non ne aveva avuta affatto, negli ultimi giorni.
Arrivò al cancello scardinato che immetteva nell’aia e si fermò a guardare la casa, cercando, senza sapere perché, di ricordarla com’era ai tempi della sua infanzia.
Vista da fuori era sempre uguale, tranne per il fatto che una volta c’erano tende inamidate a tutte le finestre. Il cortile, invece, era lentamente cambiato col passare degli anni, la siepe di lillà si era infittita e gli olmi che aveva piantato suo padre erano diventati alberi robusti. La rosa gialla rampicante che copriva il muro dalla parte della cucina era morta, vittima di un rigido inverno, ed erano scomparse le aiuole e il prato davanti al cancello.
Il muricciolo di pietre che fiancheggiava il cancello s’era ridotto a una montagnola informe: il peso di centinaia di gelate, l’erba e i rampicanti cresciuti negli interstizi durante i lunghi anni di abbandono l’avevano distrutto; fra qualche decina d’anni non ne sarebbe rimasta più traccia. Giù nel campo, lungo il pendìo scavato dall’erosione, c’erano già lunghi tratti dove era scomparso.
Era successo tutto questo ed Enoch non ci aveva fatto caso; adesso se ne rendeva conto e si chiese il perché. Forse perché stava per tornare alla Terra, lui che, pur non avendola mai abbandonata fisicamente ed essendo rimasto a contatto del terreno, dell’aria e del sole, aveva vissuto per anni con il pensiero rivolto ai pianeti e stelle lontane?
Rimase sotto il sole della tarda estate, chiedendosi, per la prima volta in vita sua, che razza d’uomo fosse. Un uomo stregato che non era del tutto uomo, che non poteva esser fedele a un solo mondo, che viveva in compagnia dei fantasmi di una volta? Un aborto che non capiva né la Terra né le stelle, e, pur dovendo molto ad ambedue, non era in grado di pagare i suoi debiti? Un essere senza patria, un vagabondo che non sapeva distinguere il bene dal male per aver visto troppe (e tutte logiche) interpretazioni del bene e del male?
Mentre risaliva il versante della collina sopra la sorgente, s’era sentito riscaldare dal calore dell’umanità per la quale aveva optato, gli era parso di tornare a far parte della razza umana. Ma se poteva qualificarsi uomo, se come tale agiva, che significato avevano i cento e più anni d’alleanza con la Centrale Galattica? E poi, voleva proprio essere soltanto uomo?
Attraversò lentamente il cancello, assillato da interrogativi che si inseguivano nella mente e ai quali era incapace di rispondere. Ma forse non era vero: in realtà le risposte erano troppe.
Pensò che forse quella sera sarebbero venuti a trovarlo Mary e David e avrebbe potuto parlarne con loro, poi all’improvviso ricordò.
Non sarebbero più tornati: né Mary, né David o gli altri. L’incantesimo era rotto e lui era rimasto solo.
Si disse, con amarezza, che in fondo era sempre stato solo e il resto era un’illusione, qualcosa d’irreale. Per anni si era ingannato volontariamente e con passione: ed era così che aveva popolato l’angolo del camino con i personaggi della sua immaginazione. Aiutato da una tecnologia sconosciuta e desideroso, nel suo isolamento, di vedere altri esseri umani, aveva dato vita a creature capaci di ingannare tutti i sensi, fuorché il tatto.
E aveva sfidato ogni preoccupazione morale.
"Mezze creature" pensò. "Povere creazioni incomplete, né dell’ombra né di questo mondo."
Troppo umane per appartenere al regno dell’illusione, troppo illusone per appartenere alla Terra.
"Mary, se solo avessi saputo… se avessi saputo, non avrei mai tentato. Sarei rimasto con la mia solitudine."
Ma oramai non poteva più riparare, non poteva far nulla.
"Cosa mi succede?" pensò.
"Cosa mi è capitato?"
"Cosa sta capitando al mondo?"
Non riusciva più a connettere, a seguire il filo del ragionamento. Aveva deciso di rinchiudersi nella stazione per sfuggire alla folla scatenata, ma al tramonto Lewis avrebbe riportato il corpo dello splendente. Se la folla fosse comparsa nello stesso momento, sarebbe stato l’inferno.
Colpito da quel pensiero, rimase a riflettere.
Avvertire Lewis del pericolo sarebbe stato imprudente: poteva darsi che non riportasse il corpo. E invece doveva a tutti i costi renderlo. Prima di notte, lo splendente doveva trovarsi al sicuro nella sua tomba.
Non gli restava che correre il rischio.
La folla inferocita poteva presentarsi davvero. Ma doveva esserci un modo per affrontare la situazione.
Bisognava escogitare qualcosa, pensò.
Avrebbe escogitato qualcosa.
La stazione era deserta e silenziosa come quando era uscito. Non c’erano messaggi e la macchina se ne stava silenziosa nel suo angolo, senza neppure ticchettare.
Enoch posò il fucile sulla scrivania e a fianco mise le riviste, poi si tolse la giacca e l’appese alla spalliera della sedia.
Doveva ancora leggere il giornale del giorno prima e aggiornare il diario, cosa che avrebbe richiesto parecchie ore. Anche se avesse scritto in grafia piccola gli ci sarebbero volute diverse pagine che avrebbe riempito con logica e in ordine meticoloso; doveva essere chiaro che tutto era stato scritto il giorno stesso e non con ventiquattr’ore di ritardo. Avrebbe trascritto ogni avvenimento, le sfaccettature, il suo modo di reagire e le riflessioni che gli avevano ispirato. Aveva sempre fatto così, non poteva cambiare di punto in bianco. E aveva fatto così perché si era creato, al di fuori della Terra e della galassia, un mondo tutto suo nel quale lavorava come un monaco medievale in una cella. Era stato un osservatore attento e interessato, né si era limitato a osservare, ma pur restando estraneo a tutto quello che accadeva nel mondo esterno, aveva cercato di andare in fondo alle cose. Durante gli ultimi due giorni, tuttavia, la situazione era cambiata. Sia la Terra che la galassia l’avevano invitato a recitare una parte attiva negli avvenimenti, e non poteva più svolgere il compito dell’osservatore che si accosta ai fatti con imparzialità e freddezza. Non si trattava più soltanto di scrivere.
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