Clifford Simak - La casa dalle finestre nere

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La casa dalle finestre nere: краткое содержание, описание и аннотация

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Un veterano della guerra civile americana che non invecchia mai, una casa con finestre indistruttibili, una tomba che porta inciso sulla pietra il segno dell’infinito: ce n’è abbastanza perché la CIA cominci ad avere dei sospetti e perché Clifford Simak cominci a tessere una delle sue trame più belle e suggestive. Dai boschi del Wisconsin alle frontiere della galassia, dai più umili e quotidiani personaggi ai più stupefacenti visitatori spaziali, tutto si carica di quel «senso del meraviglioso» di cui l’autorè di Mondi senza fine è uno dei pochi a conoscere il segreto.

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Un attimo dopo, lo sconosciuto era scomparso.

32

Enoch attraversò barcollante la stanza, e si appoggiò alla scrivania perché le gambe non lo reggevano. Il fetore diminuiva, e la sua mente cominciava a schiarirsi. Gli sembrava di aver fatto un brutto sogno: quanto era successo aveva dell’incredibile. L’essere immondo era giunto attraverso il materializzatore ufficiale, di cui si servivano solo i membri della Centrale Galattica: e nessun membro della Centrale si sarebbe mai comportato in quel modo. Inoltre, l’uomo-topo conosceva la parola d’ordine che serviva a far aprire la porta e, seconda coincidenza strana, oltre a lui, Enoch, solo i membri della Centrale conoscevano quella parola.

Enoch si era ripreso abbastanza da poter ragionare normalmente. Prese il fucile, lieto di constatare che la stazione non aveva subito danni, ma preoccupato al pensiero che l’uomo-topo fosse fuggito, e ora vagasse libero sulla Terra, cosa questa inammissibile e contraria alle disposizioni della Centrale. Gli abitanti dei pianeti appartenenti alla confraternita galattica non potevano per alcun motivo uscire dalle stazioni, nei pianeti non ancora affiliati.

Col fucile stretto in pugno, Enoch studiava il sistema di attirare l’uomo-topo nella stazione.

Pronunciò la parola d’ordine, entrò nel ripostiglio, e di lì uscì sull’aia.

Lo sconosciuto correva attraverso il campo, e aveva già quasi raggiunto il limitare del bosco.

Enoch lo inseguì quanto più velocemente poteva, ma non era ancora arrivato a metà del campo, che lo sconosciuto scomparve, con un balzo, nel fitto degli alberi.

Cominciava a farsi buio; sebbene il sole illuminasse ancora la sommità delle piante, il sottobosco era già in ombra. Mentre correva, Enoch scorse l’uomo-topo che, con la sua andatura a balzi, risaliva il versante di un piccolo burrone. Se fosse proseguito in quella direzione, la caccia sarebbe certamente durata tutta la notte: oltre il burrone c’era una specie di piattaforma rocciosa, che si protendeva nel vuoto, sulla quale lo sconosciuto sarebbe rimasto, è vero, in trappola, ma in posizione di vantaggio, pericolosa per chi cercasse di avvicinarsi. E non c’era tempo da perdere, perché il sole stava già tramontando e presto sarebbe scesa l’oscurità.

Enoch piegò verso ovest, per girare attorno alla piattaforma, sempre tenendo d’occhio l’uomo-topo che continuava ad arrampicarsi. Stava cacciandosi in trappola, come lui aveva previsto. Non poteva tornare indietro, e non aveva la possibilità di andare oltre. Una volta raggiunta la piattaforma, non gli restava che cercare di nascondersi fra le rocce.

Sempre di corsa, Enoch attraversò uno spiazzo coperto di felci e raggiunse un punto che si trovava circa cento metri sotto la piattaforma, dove fitti cespugli e qualche alberello gli avrebbero offerto un provvisorio riparo. Il terreno era cosparso di massi più o meno grossi, staccatisi dal pendio della collina durante inverni particolarmente rigidi: coperti com’erano di fitto muschio, rendevano pericoloso il cammino.

Senza fermarsi, Enoch scorse un’ombra sulla piattaforma. Si acquattò prontamente dietro un nocciolo e, tra l’intricato fogliame, vide la sagoma dell’uomo-topo stagliarsi netta contro il cielo, con l’arma in pugno. La testa si volgeva ora da una parte, ora dall’altra, come se lo sconosciuto stesse attentamente esaminando i dintorni.

Enoch rimase immobile, col fucile stretto in pugno, mentre le nocche delle dita, che s’era sbucciate contro un sasso, gli bruciavano dolorosamente.

L’uomo-topo scomparve dietro un macigno, ed Enoch trasse piano a sé il fucile, per esser pronto ad usarlo. Ma avrebbe osato sparare? Avrebbe osato uccidere quella creatura di un altro mondo?

L’altro avrebbe potuto ucciderlo nella stazione, quando lui era venuto meno per il fetore. Ma, invece di approfittare della sua momentanea debolezza per assassinarlo, si era dato alla fuga. Forse la paura era stata più forte d’ogni altro impulso; ma poteva anche darsi che non si fosse sentito di uccidere.

Enoch scrutò attentamente le rocce della piattaforma, ma non vide più alcun segno di vita. Doveva arrampicarsi subito sul pendio che portava alla piattaforma. In meno di mezz’ora sarebbe stato buio, e la faccenda doveva essere sistemata prima. Se lo sconosciuto fosse riuscito a scappare col favore delle tenebre, avrebbe avuto ben poca speranza di acciuffarlo.

Ma una voce, dentro di lui, gli sussurrava: "Perché te la prendi tanto per gli affari di quella gente? Perché non informi la Terra dell’esistenza di razze non-umane nella galassia? Forse perché non ne sei autorizzato? E perché hai impedito a quell’uomo-topo di sabotare gli impianti della stazione? Se l’avessi lasciato fare, tu ora saresti libero di agire, senza timore di interferenze. Se l’avessi lasciato fare, per te sarebbe stato assai meglio".

"Ma non potevo farlo!" gridò un’altra voce nel suo cuore "Assolutamente non potevo!"

Un fruscio in un cespuglio, alla sua sinistra, lo riportò alla realtà. Si volse di scatto, pronto a far fuoco, e vide Lucy Fisher a non più di venti metri di distanza.

— Vattene! — le gridò, dimenticando che non poteva sentirlo.

Ma sembrava che lei non lo avesse nemmeno visto. Con la mano sinistra alzata, gesticolava in direzione delle rocce sovrastanti.

"Vattene" ripeté fra sé Enoch. "Vattene di qui!"

Lei si volse, lo vide e, intuendo il suo desiderio, fece un cenno di diniego; poi prese a risalire rapidamente il pendio.

Enoch balzò in piedi, con l’intenzione di seguirla e, improvvisamente, sentì come uno sfrigolio e percepì un intenso odore di ozono.

Tornò a gettarsi a terra e vide che, a pochi passi innanzi a sé, un tratto di terreno ribolliva fumando, mentre intorno i sassi e i frammenti di roccia si fondevano per il calore.

Capì allora che lo sconosciuto era armato di una pistola a raggi, di terribile potenza.

Facendosi forza, si rialzò e riprese a salire, con maggior cautela questa volta, e cercando sempre di ripararsi dietro qualche cespuglio.

Un secondo sfrigolio, un forte odore di ozono… L’uomo-topo aveva sparato ancora, colpendo una zolla d’erba che si incendiò, fumando, mentre le cime di alcune betulle, troncate di netto dal raggio mortale, precipitavano al suolo in un turbinio di cenere e di scintille.

Lo sconosciuto faceva dunque sul serio, doveva aver capito di esser chiuso in trappola.

Enoch era molto preoccupato per Lucy. Quella sciocchina avrebbe dovuto ubbidirgli. Non era un luogo per lei. Faceva già male a girare per i boschi a quell’ora: certamente Hank l’avrebbe nuovamente accusato di averla rapita. Chissà perché era arrivata fin lì…

Il crepuscolo s’infittiva, e solo la sommità degli alberi più alti era ancora illuminata dai raggi dell’ultimo sole. L’aria andava gradatamente rinfrescandosi, e il terreno emanava odore d’umidità. Poco lontano, un uccello mandava il suo lamentoso richiamo.

Enoch continuò a inerpicarsi con cautela, finché arrivò sotto un grosso tronco abbattuto, che sembrava messo lì come una barricata. Si nascose dietro di esso e riprese fiato.

L’uomo-topo era scomparso e non sparava più.

Sempre al riparo del tronco, Enoch esaminò il terreno davanti a lui. Calcolò che avrebbe potuto raggiungere la piattaforma con due balzi, riparandosi dopo il primo dietro un mucchio di pietre, e fermandosi poi proprio sotto il macigno che lo delimitava da quella parte. Una volta lassù, avrebbe deciso il da farsi.

Era impossibile far progetti, prestabilire una tattica. Una volta sulla piattaforma, avrebbe agito secondo l’ispirazione del momento: sperava di riuscire a catturare vivo lo sconosciuto, pronto a portarlo di peso fino alla stazione. Lì all’aperto, il fetore sarebbe stato meno micidiale.

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