Esaminò ancora attentamente i massi che si ammucchiavano sulla piattaforma, ma non riuscì a scorger l’uomo-topo; finalmente decise di muoversi, strisciando con la massima cautela per non far rumore. D’un tratto, avvertì un fruscio leggero alle spalle, e subito si volse, impugnando il fucile. Ma non fece neppure in tempo a prendere la mira, che un’ombra gli fu sopra e una grossa mano gli tappò la bocca.
— Ulisse? — riuscì a mormorare, ma l’altro si limitò a fargli segno di tacere, prima di lasciarlo libero.
Poi Ulisse gli si sdraiò accanto e sussurrò nell’orecchio: — Il Talismano. Ha il Talismano.
— Il Talismano! — esclamò Enoch, dimenticando ogni prudenza.
Dalla piattaforma sovrastante, rotolò un masso che cadde sobbalzando lungo il pendio. Enoch si appiattì al riparo del tronco: — Giù — gridò all’amico. — Giù, è armato.
Ma Ulisse gli artigliò la spalla: — Guarda, Enoch, guarda!
Enoch sollevò la testa e vide, sul ciglio del pendio, stagliate contro il cielo già scuro, due figure avvinghiate.
— Lucy! — urlò.
In una di esse, aveva riconosciuto Lucy. Nell’altra, l’uomo-topo.
"È riuscita a strisciargli alle spalle, quella sciocca!" pensò. Mentre lo sconosciuto dedicava tutta la sua attenzione al pendio, lei lo aveva aggirato, e colto di sorpresa. Era armata di un bastone, probabilmente ricavato dal ramo d’un albero, e lo teneva levato in alto, pronta a colpire, ma l’altro la stringeva, impedendole di muoversi.
— Spara — gli ordinò Ulisse.
Enoch puntò il fucile, aguzzando gli occhi nell’oscurità ormai quasi completa. Erano così vicini, quei due… troppo vicini.
— Spara! — urlò Ulisse.
— Non posso. È troppo buio.
— Devi sparare — gl’intimò Ulisse con voce tesa e dura. — Devi approfittare dell’occasione.
Enoch tornò a prendere la mira. Nonostante il buio, l’aria era limpida e la visibilità buona; ma non era solo l’oscurità a trattenerlo. Ricordava il colpo mancato, laggiù durante l’ultima "caccia"; se aveva sbagliato allora, poteva sbagliare anche adesso.
— Spara — tuonò Ulisse per la terza volta.
Enoch premette il grilletto e il colpo partì. Sull’orlo della piattaforma, appena visibile nell’ultimo chiarore del crepuscolo, la creatura di un mondo sconosciuto si afflosciò, inerte, col capo orribilmente squarciato.
Enoch lasciò cadere il fucile e si gettò al suolo, conficcando le unghie nel muschio, sopraffatto dall’orrore di quello che sarebbe potuto accadere se avesse sbagliato la mira… Fortunatamente, le lunghe e frequenti esercitazioni non erano state inutili!
La pace di quella sera tranquilla calmò il suo turbamento. Gli pareva che il cielo, e le stelle, e tutto l’universo gli si fossero stretti attorno per sussurrargli che erano con lui; per un attimo gli parve di aver intravisto una grande verità, e provò una serenità sconosciuta.
— Enoch — mormorò Ulisse. — Enoch, fratello mio…
La voce di Ulisse aveva un timbro nuovo, quasi fosse rotta dai singhiozzi; per la prima volta chiamava "fratello" il terrestre.
Enoch si drizzò in ginocchio, e vide che sopra i massi della piattaforma si diffondeva una luce delicata, come se una gigantesca lucciola avesse acceso la sua lampada per rischiarare la scena.
La "lucciola" si avvicinava, muovendosi tra le rocce, e Lucy pure: era come se la fanciulla camminasse reggendo una lanterna.
Ulisse posò una mano sul braccio di Enoch.
— Vedi? -. domandò.
— Sì. Che cosa…
— È il Talismano! — esclamò estatico Ulisse, in un sussurro. — E Lucy ne è la nuova custode. Colei che abbiamo cercato inutilmente per tanti anni!
"Impossibile stancarsi di questa grande serenità…" pensava Enoch mentre attraversavano i boschi. Avrebbe voluto poter vivere sempre così, e non avrebbe scordato mai quegli attimi di estasi…
Era una sensazione indescrivibile, che riuniva in sé l’amore materno, la fierezza paterna, l’adorazione di un innamorato, l’intimità di un amico, e molte altre cose… ancora. Annullava le distanze, e semplificava le questioni complesse; cancellava il dolore e la paura, pur lasciando un profondo rimpianto, l’impressione che mai più, nella vita, si sarebbe ripetuto un istante simile. Ma non doveva essere così, perché l’ebbrezza di quell’istante continuava, facendosi sempre più intensa… Lucy camminava in mezzo ai due amici, reggendo fra le braccia la valigetta che conteneva il Talismano; ed Enoch, guardandola al debole splendore di quelle luci, la paragonò a una bambina che stringeva al cuore il gattino prediletto.
— Da secoli, il suo splendore non è così bello! — disse Ulisse. — Io, certo, non l’ho mai visto così. Non è meraviglioso?
— Sì — confermò Enoch.
— Adesso torneremo a essere uniti — riprese Ulisse. — Non saremo più tante razze, ma un popolo solo.
— Ma lo sconosciuto che l’aveva…
— Era un furbacchione. Voleva fare un ricatto.
— Allora l’aveva rubato?
— Non lo sappiamo ancora con precisione — rispose Ulisse — ma lo scopriremo.
Proseguirono, in silenzio, nel bosco. A oriente, fra i rami degli alberi, si intravedeva il chiarore della luna che stava per sorgere.
— Non capisco una cosa — disse Enoch.
— Parla.
— Come mai quella creatura non sentiva l’effetto del Talismano? Altrimenti, non l’avrebbe rubato.
— Soltanto una persona su milioni è in grado di… come dire? Di farlo funzionare? Se avessimo tentato tu o io, non saremmo riusciti a nulla. Ma se quella tal persona lo sfiora anche solo con un dito, esso prende vita. Esiste un tipo di sensibilità capace di stabilire un rapporto tra questo strano congegno e la forza spirituale cosmica. Soltanto la sensibilità della creatura vivente, permette alla macchina di captarla e di trasmetterla a noi.
Dunque si trattava solo di un congegno meccanico, anche se diverso da tutti gli altri, come il primo aminoacido della giovane Terra era stato diverso dall’attuale cervello umano. Tuttavia, per quanto meravigliosa, la macchina non poteva funzionare senza l’apporto di un essere vivente! Forse il Talismano era la massima espressione dell’intelligenza delle creature: impossibile andare più in là.
O, forse, le possibilità dell’ingegno erano illimitate e non sarebbe mai giunto il momento in cui una creatura, o una razza, si sarebbero fermate dicendo: "Basta, non possiamo andar oltre. Questo è il limite massimo". Ogni nuovo progresso, infatti, apre mille strade, e ogni strada sì dirama in infiniti sentieri. "Non ci sarà mai una fine" pensò Enoch. "Mai una fine… a nulla."
Raggiunto il campo, si diressero alla volta della stazione. Dal versante della collina, proveniva un rumore di passi affrettati.
— Enoch! — chiamò una voce nel buio. — Enoch, sei tu?
— Sì, Winslowe — rispose Enoch che aveva riconosciuto la voce. — Cosa succede?
Il postino sbucò dalle tenebre e si fermò, ansimando, davanti a loro.
— Enoch, vengono! Hanno due autocarri. Io sono riuscito a precederli e alla svolta, dove comincia il sentiero, ho rovesciato un barattolo di chiodi a tre punte. Così perderanno tempo.
— Chiodi a tre punte? — domandò Ulisse.
— La folla… Mi danno la caccia… — tentò di spiegare rapidamente Enoch.
— Ah, capisco. I chiodi servono per sgonfiare gli pneumatici.
Winslowe fece un passo avanti, con gli occhi fissi sul bagliore che emanava dal Talismano.
— È Lucy Fisher? — domandò.
— Certo — rispose Enoch.
— Suo padre è sceso di corsa in paese poco fa dicendo che era scomparsa un’altra volta. Ormai tutto era tornato tranquillo, ma lui è riuscito ad aizzarli di nuovo. Allora sono andato in magazzino, ho preso i chiodi e li ho preceduti.
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