Philip Farmer - Il fiume della vita

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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— Le insegneremo l’inglese — disse Burton. — E la chiameremo Gwenafra. — Prese in braccio la bimba e riprese il cammino. La piccola scoppiò in lacrime, ma non fece alcun tentativo di liberarsi. Il pianto era la reazione a quella che doveva essere stata una tensione pressoché insopportabile, e al tempo stesso era dovuto alla gioia di aver trovato un protettore. Burton chinò il collo per nascondere il volto contro il corpo di Gwenafra. Non voleva che gli altri gli vedessero le lacrime negli occhi.

Nel punto in cui al terreno pianeggiante subentravano i pendii, l’erba bassa terminava, come se fosse stata tirata una linea di confine, e ne iniziava una alta fino alla cintola, folta, simile alla comune alfa. Anche lì crescevano rigogliosi i pini, le querce, i tassi, i nodosi giganti con foglie scarlatte e verdi e i bambù. Questi ultimi erano presenti con molte varietà, dall’esile pianticella di poco più di un metro alla pianta di più di quindici metri. Molti alberi erano ricoperti di piante rampicanti che portavano enormi fiori verdi, rossi, gialli, blu.

— Il bambù — disse Burton — è un materiale adatto per manici di lance, tubi per acquedotti, contenitori; è anche la materia prima per costruire case, mobili, imbarcazioni; se ne può perfino ricavare il carbone che serve per produrre la polvere da sparo. E i giovani steli di alcune specie possono essere buoni da mangiare. Ma abbiamo bisogno di pietra con cui fabbricare gli attrezzi per tagliare e lavorare il legno.

Si inerpicarono su per le colline, la cui pendenza aumentava a mano a mano che le montagne si facevano più vicine. Dopo che ebbero percorso circa tredici chilometri, corrispondenti a tre in linea d’aria, furono fermati dalle montagne. Queste si ergevano con una parete simile a una scogliera, formata da una roccia eruttiva d’un colore nero-bluastro cosparsa di enormi macchie di lichene verde-blu. Non c’era modo di stabilire l’altezza di quelle montagne, ma Burton non credeva di sbagliare molto valutandola almeno seimila metri. E tutt’attorno alla valle la montagna presentava un fronte compatto.

— Avete notato l’assenza completa di vita animale? — disse Frigate. — Neppure un insetto.

Burton lanciò un grido. Corse verso un gruppo di rocce sgretolate e raccolse un pezzo di pietra verdastra, grande come un pugno. — Selce! — esclamò. — Se ce n’è abbastanza possiamo ricavarne coltelli, punte di lancia, asce, scuri. E con queste costruire case, imbarcazioni, e molte altre cose.

— Attrezzi e armi devono essere legati a manici di legno — osservò Frigate. — Cosa useremo come lacci?

— Forse pelle umana — rispose Burton.

Gli altri parvero sbigottiti. Burton fece una strana risatina cinguettante, assurda in un uomo dall’aspetto così virile. Poi spiegò: — Se saremo costretti ad uccidere per autodifesa, o avremo la fortuna di imbatterci in un cadavere che un assassino sia stato così gentile da mettere a nostra disposizione, saremmo sciocchi se non usassimo ciò che ci serve. Ad ogni modo, se qualcuno di voi è provvisto di tanto spirito di sacrificio da offrire la propria epidermide per il bene del gruppo, si faccia avanti! Lo ricorderemo nelle nostre preghiere.

— Lei sta certo scherzando — disse Alice Hargreaves. — A me non garbano molto questi discorsi.

— Gli stia vicina e ne sentirà di peggiori — osservò Frigate; ma non spiegò quello che intendeva con tali parole.

CAPITOLO SESTO

Burton esaminò la roccia lungo la base della montagna. La pietra nero-bluastra, dalla grana sottile, era una specie di basalto. Ma c’erano dei pezzi di selce sparpagliati sulla superficie del terreno, e altri che spuntavano dalla base stessa della parete. Poteva darsi che i primi fossero caduti da qualche sporgenza soprastante, per cui era possibile che la montagna non fosse una massa compatta di basalto. Usando un pezzo di selce che aveva un bordo sottile, Burton sollevò in un punto lo strato di licheni. La roccia che stava sotto sembrava una dolomite verdastra. Evidentemente i pezzi di selce si erano prodotti dalla dolomite, benché non ci fosse traccia di trasformazioni o di fratture nella vena.

Il lichene poteva essere Parmelia saxitilis , che cresceva pure su vecchie ossa, teschi compresi, per cui, secondo la Dottrina delle Segnature, costituiva una cura contro l’epilessia e un balsamo medicamentoso per le ferite.

Sentendo un rumore di rocce che cozzavano, Burton tornò al gruppo. Si erano messi tutti in circolo intorno al subumano e all’americano, che stavano seduti schiena contro schiena intenti a lavorare la selce. Entrambi avevano ricavato dei rozzi martelli, e ne produssero altri sei sotto gli occhi degli astanti. Poi presero un grosso pezzo di selce massiccia e lo ruppero in due col martello. Operando su una metà alla volta staccarono dall’orlo esterno delle lunghe scaglie sottili. Procedettero così finché ciascuno ebbe davanti a sé una dozzina circa di pezzi taglienti.

Lavoravano insieme: l’uno, appartenente a una razza che era vissuta centomila anni o più prima di Cristo; l’altro, il raffinato culmine dell’evoluzione umana, il prodotto della più evoluta civiltà (tecnologicamente parlando) della Terra, o in effetti, se si doveva credere a quanto diceva, uno degli ultimi terrestri.

D’improvviso Frigate urlò: balzò in piedi e si mise a saltellare tutt’intorno tenendosi il pollice sinistro. Una delle sue martellate aveva mancato il bersaglio. Kazz sghignazzò, mostrando enormi denti simili a pietre tombali. Anch’egli si alzò, e si incamminò sull’erba con la sua curiosa andatura ballonzolante. Ricomparve dopo alcuni minuti portando sei canne di bambù con le estremità appuntite, e parecchie altre tagliate invece trasversalmente. Tornò a sedersi e si diede da fare su una canna finché ebbe praticato una spaccatura ad una estremità inserendovi poi una testa di scure ridotta a forma triangolare. Quindi l’assicurò con alcuni lunghi steli d’erba.

Entro mezz’ora il gruppo era armato di asce di pietra, scuri col manico di bambù, pugnali, lance di bambù e di selce.

Ormai la mano di Frigate aveva cessato di dolere, e non sanguinava più. Burton gli chiese come mai era così abile nella lavorazione della pietra.

— Ero un antropologo dilettante — rispose Frigate. — Un mucchio di persone (un mucchio relativamente parlando) aveva imparato per passatempo a fabbricarsi attrezzi e armi di pietra. Alcuni di noi divennero veramente bravi, benché io non creda che nessun moderno fosse abile e veloce come uno specialista del Neolitico. Capisce, quelli lo facevano per tutta la vita. Io poi conoscevo bene anche l’arte di lavorare il bambù, perciò posso essere di qualche utilità per voi.

Si rimisero in cammino per tornare al fiume. Fecero una breve sosta in cima a un’altra collina. Il sole era quasi esattamente allo zenith. Poterono spaziare con lo sguardo per molti chilometri lungo e oltre il fiume. Benché fossero troppo lontani per distinguere delle sagome sull’altra riva, poterono scorgere ugualmente le pietre a forma di fungo. La regione di là dal fiume era identica a quella in cui essi si trovavano. Una fascia pianeggiante larga un paio di chilometri circa, e forse quattro chilometri di colline coperte di alberi. Al di là, la parete quasi verticale di un’insormontabile montagna nera e verde-bluastra.

La valle si stendeva diritta da nord a sud per una quindicina di chilometri. Poi faceva una curva, e il fiume scompariva alla vista.

— L’alba deve arrivare tardi e il tramonto presto — disse Burton. — Bene, dobbiamo sfruttare il più possibile le ore di luce.

In quell’istante tutti fecero un salto, e molti gridarono. Una fiamma azzurra proruppe dalla cima di ogni fungo di pietra, s’innalzò per non meno di sei metri, quindi svanì. Pochi secondi dopo giunse il rumore di un tuono lontano. Il rombo colpì la montagna alle loro spalle ed echeggiò.

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