— Era l’unica cosa in grado di convincerti che la Resurrezione non è un evento soprannaturale. E di metterti sulle tracce degli Etici. Avevo ragione? Be’, certo che l’avevo. Su, prendi questa.
Tese a Burton una minuscola capsula. — Mandala giù. Morirai all’istante, e per un po’ sarai lontano dalle Loro grinfie. E le tue cellule cerebrali verranno disgregate in modo tale che Essi non potranno ricavarne alcuna informazione. Svelto! Io devo andare!
— E se non la prendo? — disse Burton. — Se lascio che Essi mi catturino?
— Un uomo con la tua aura non lo farebbe mai — rispose lo sconosciuto.
Burton fu lì lì per decidere di non inghiottire la capsula. Perché doveva permettere a quell’arrogante di dargli ordini?
Poi considerò che non doveva darsi la zappa sui piedi. Così come stavano le cose, poteva soltanto fare il gioco dello sconosciuto o cadere nelle mani degli Altri.
— D’accordo — disse. — Ma perché non mi uccidi tu? Perché vuoi che lo faccia io?
L’uomo scoppiò a ridere, poi disse: — In questo gioco ci sono delle regole, che ora non ho tempo di spiegarti. Ma tu sei intelligente, e sei in grado di immaginartele quasi tutte da solo. Una è che noi siamo Etici. Possiamo dare la vita, ma non possiamo riprenderla direttamente. Non è che sia per noi inconcepibile, o al di fuori delle nostre capacità; è soltanto molto difficile.
Di colpo l’uomo scomparve. Burton non esitò, e inghiottì la capsula. Ci fu un lampo accecante…
… E i suoi occhi furono colpiti dalla luce del sole appena spuntato. Ebbe appena il tempo per una rapida occhiata circolare, con cui poté vedere il graal, il mucchio di salviette piegate strettamente… ed Hermann Goering.
Poi Burton e il tedesco furono afferrati da piccoli uomini scuri con la testa grossa e gambe arcuate. Costoro portavano asce di selce e lance, e indossavano salviette ma solo come cappe assicurate al collo corto e tozzo. Strisce di cuoio (senza dubbio pelle umana) erano avvolte intorno alla fronte sproporzionatamente grande e al cranio per trattenere i lunghi capelli ruvidi e neri. Sembravano un po’ dei mongoli, e parlavano una lingua sconosciuta a Burton.
Gli ficcarono sul capo un graal aperto, con l’imboccatura in basso, e con una cinghia di cuoio gli legarono le mani dietro la schiena. Cieco e impotente, con le lance dalla punta di pietra che lo pungolavano da tergo, Burton fu spinto attraverso la pianura.
Aveva fatto trecento passi allorché venne fermato. Cosa diavolo sarebbe accaduto? Forse quella era una cerimonia religiosa, in cui alla vittima veniva impedito di vedere? Perché no? Sulla Terra c’erano state molte popolazioni che non permettevano a chi era sacrificato in un assassinio rituale di riconoscere quelli che spargevano il suo sangue, altrimenti il fantasma dell’ucciso sarebbe tornato a vendicarsi degli uccisori.
Ma ormai tutti gli abitanti del pianeta del Fiume dovevano sapere che i fantasmi non esistevano. Oppure questi consideravano i «lazzari» appunto come tali, come fantasmi che si potevano rispedire alla loro terra d’origine semplicemente uccidendoli di nuovo?
Goering! Anch’egli era risorto lì. Accanto alla stessa pietra-fungo. La prima volta poteva essere stata una coincidenza, benché le probabilità contrarie fossero molto alte. Ma tre volte una dopo l’altra? No, questo era…
Al primo colpo la parete del graal si piegò contro il capo di Burton, facendolo quasi svenire. Tutto il corpo vibrò, macchie di luce presero a danzargli davanti agli occhi, ed egli cadde in ginocchio. Non riuscì a sentire il secondo colpo, e invece si svegliò un’altra volta in un posto diverso…
… E accanto a lui c’era Hermann Goering.
— Tu ed io dobbiamo essere anime gemelle — disse Goering. — Sembra che il Responsabile di tutto ciò ci abbia accoppiati.
— L’asino e il bue erano insieme — replicò Burton, lasciando al tedesco di decidere chi dei due era l’asino. Poi entrambi ebbero un gran daffare a presentarsi (o a tentare di presentarsi) agli abitanti della regione. Costoro, come Burton scoprì più tardi, erano Sumeri dell’epoca classica, vissuti cioè tra il 2500 e il 2300 a.C. Gli uomini si radevano il capo, cosa non facile con rasoi di selce, e le donne andavano a petto scoperto. In genere avevano corpo basso e tozzo, occhi sporgenti, e faccia, secondo Burton, orribile.
Ma se tra i Sumeri l’indice di bellezza non era elevato, i Samoani di epoca precolombiana che costituivano il trenta per cento della popolazione erano più che attraenti. E naturalmente c’era l’immancabile dieci per cento di gente di ogni luogo ed epoca, con prevalenza del ventesimo secolo. Questo era logico, poiché il loro totale costituiva un quarto dell’intera umanità. Naturalmente Burton non possedeva statistiche precise, ma i suoi spostamenti l’avevano convinto che gli uomini del ventesimo secolo erano stati sparpagliati lungo il Fiume in misura maggiore di quanto egli si fosse aspettato. Questo era un altro particolare del pianeta del Fiume che egli non capiva. Cosa avevano voluto ottenere gli Etici con quella distribuzione?
C’erano ancora troppe domande senza risposta. Burton aveva bisogno di tempo per riflettere, e non avrebbe concluso nulla se avesse continuato a compiere un viaggio dopo l’altro sul Direttissimo del Suicidio. Quella regione, a differenza della maggior parte delle altre, poteva offrire la quiete necessaria alla meditazione. Perciò Burton decise di rimanervi per un po’.
E poi c’era Hermann Goering. Burton intendeva osservare la sua strana forma di intossicazione. Una delle molte domande che non aveva potuto rivolgere allo Straniero Misterioso (Burton aveva la tendenza a pensare in lettere maiuscole) riguardava appunto la narcogomma. In che punto del quadro generale andava collocata? Faceva anch’essa parte del Grande Esperimento?
Sfortunatamente Goering non durò a lungo.
La prima notte cominciò a urlare. Poi si precipitò fuori dalla sua capanna e corse verso il Fiume, fermandosi di quando in quando per colpire l’aria o afferrare esseri invisibili o rotolarsi avanti e indietro nell’erba. Burton lo seguì fino in riva al Fiume. Qui giunto, Goering si preparò a gettarsi in acqua, probabilmente per affogarsi. Ma d’improvviso s’irrigidì, poi prese a rabbrividire, e infine crollò a terra, immobile come una statua. I suoi occhi erano aperti, ma nulla vedeva di ciò che lo circondava. La visione era esclusivamente interna. Dal momento che era incapace di parlare, non si poteva capire a quali orrori stesse assistendo.
Le sue labbra tremavano senza però emettere alcun suono, e non si fermarono per tutti e dieci i giorni in cui egli sopravvisse. Gli sforzi di Burton per farlo mangiare furono vani: la mandibola era bloccata. Goering si assottigliava davanti agli occhi di Burton: la carne si dissolveva, la pelle si ritirava, lo scheletro diventava evidente. Una mattina Goering ebbe le convulsioni, poi si alzò a sedere e gridò. Un attimo dopo era morto.
Burton, incuriosito, gli fece l’autopsia con quello che aveva a disposizione: coltelli di selce e seghe di ossidiana. La vescica di Goering, dilatatasi, era scoppiata spargendo l’urina in tutto il corpo.
Burton, prima di seppellire il cadavere, gli estrasse i denti. I denti avevano un valore commerciale, perché potevano essere infilati su budella di pesce o su tendini formando collane assai richieste. Lo scalpo fece la stessa fine. I Sumeri avevano copiato dai loro nemici, gli Shawnee del diciassettesimo secolo che stavano dall’altra parte del Fiume, l’abitudine di togliere lo scalpo ai morti. Poi avevano aggiunto la trovata «civile» di cucirne insieme un certo numero ricavandone mantelli, gonne, e perfino tende. Alla borsa-merci uno scalpo non valeva quanto un dente, però aveva sempre una buona quotazione.
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