Philip Farmer - Il fiume della vita

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Il fiume della vita: краткое содержание, описание и аннотация

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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Burton non gli credette. Ritenne comunque di potersi fidare di lui per un po’. Goering aveva bisogno di un potenziale alleato, almeno finché avesse tastato il polso alla popolazione di quella zona e visto cosa poteva o non poteva fare. Inoltre era possibile che fosse cambiato in meglio.

No , disse Burton tra sé. No. Ci caschi di nuovo. Per quanto tu sia cinico a parole, sei poi sempre pronto a perdonare, a passar sopra alle offese che ti vengono fatte, a concedere al tuo nemico una seconda possibilità. Non comportarti un’altra volta da sciocco, Burton.

Tre giorni dopo, Burton era ancora indeciso riguardo a Goering.

Burton aveva assunto l’identità di Abdul ibn Harun, un abitante del Cairo del diciannovesimo secolo. Le ragioni di questa scelta erano numerose. Burton parlava un ottimo arabo, conosceva il dialetto del Cairo di quell’epoca, e aveva il pretesto per coprirsi il capo con una salvietta avvolta a mo’ di turbante. Sperava che questo contribuisse a fargli cambiare aspetto. Goering non svelò il travestimento: Burton ne era abbastanza sicuro, dal momento che il tedesco stava con lui per la maggior parte del tempo. Erano stati alloggiati nella stessa capanna, finché non si fossero abituati ai costumi locali e avessero superato il periodo di prova. Questo comprendeva, tra l’altro, un intensivo addestramento militare.

Burton era stato uno dei più grandi spadaccini del diciannovesimo secolo, e conosceva pure ogni tipo di lotta con le armi o con le mani. Dopo una dimostrazione delle sue capacità in una serie di prove, era stato ammesso come recluta. In più gli avevano promesso che, una volta imparata a sufficienza la lingua, l’avrebbero nominato istruttore.

Goering ottenne con altrettanta rapidità la stima degli indigeni. Malgrado i suoi difetti non gli mancava il coraggio. Sapeva maneggiare le armi con abilità ed energia, era allegro, si rendeva simpatico quando questo serviva ai suoi scopi, e si andava impadronendo della lingua con la stessa facilità di Burton. In breve tempo ottenne, e cominciò a usare, l’autorità, come si addiceva all’ex-Reichmarschal della Germania di Hitler.

Quel settore della sponda occidentale era abitato da gente che parlava una lingua sconosciuta perfino a Burton, superpoliglotta sia sulla Terra che sul pianeta del Fiume. Quando Burton l’ebbe imparata abbastanza da poter fare domande, arguì che si trattasse di una popolazione vissuta nell’Europa centrale all’inizio dell’Età del Bronzo. Aveva curiose abitudini, una delle quali era il coito in pubblico. Questo era assai interessante per Burton, che era stato, nel 1863, uno dei fondatori della Reale Società di Antropologia di Londra, e durante le sue esplorazioni sulla Terra aveva visto tante cose strane. Egli non partecipava a tale rito, ma neppure ne era scandalizzato.

Un’usanza che Burton adottò invece con entusiasmo, era quella dei baffi dipinti. I maschi erano seccati per il fatto che i Resurrettori avessero loro tolto per sempre il pelo dal volto, così come per essersi trovati circoncisi. Per il secondo «oltraggio» non potevano far nulla, ma potevano rimediare in parte al primo. Si spalmavano sul labbro superiore e sul mento un liquido scuro composto di carbone macinato finemente, colla di pesce, tannino di quercia, e parecchi altri ingredienti. I più raffinati si tatuavano con tale colorante, sottoponendosi a una dolorosa e interminabile serie di punzecchiature mediante un’acuminata scheggia di bambù.

Ora Burton era doppiamente camuffato, e tuttavia era nelle mani di uno che lo poteva tradire alla prima occasione. Egli desiderava attirare un Etico, ma non voleva che l’Etico fosse certo della sua identità.

In sostanza gli bastava essere sicuro di poter fuggire in tempo prima di cadere nella rete. Era un gioco pericoloso, come camminare su una fune tesa sopra un recinto di lupi affamati, ma gli piaceva giocarlo. Sarebbe scappato solo in caso di assoluta necessità; per il resto del tempo avrebbe fatto la parte dell’inseguito che insegue l’inseguitore.

Tuttavia l’immagine della Torre Scura, o Grande Graal, era sempre presente nei suoi pensieri. Perché giocare al gatto e al topo quando invece poteva addirittura dar l’assalto ai bastioni del castello in cui riteneva che gli Etici avessero il quartier generale? Ovvero (se «dar l’assalto» non era l’espressione esatta) introdursi di nascosto nella Torre, scavarsi un passaggio come fa un topo in una casa… o in un castello. Mentre i gatti guardavano da un’altra parte, il topo si sarebbe intrufolato nella Torre, e qui avrebbe potuto mutarsi in una tigre.

A questa immagine Burton scoppiò a ridere, provocando occhiate di curiosità da parte dei due uomini che dividevano con lui la capanna: Goering e un inglese del diciassettesimo secolo, di nome John Collop. La sua risata era di scherno verso di sé, all’idea della tigre. Cosa l’autorizzava a credere che egli, semplice uomo e da solo, potesse colpire in qualche modo i Creatori di quel pianeta, i Resurrettori di miliardi di morti, che provvedevano al cibo e alle necessità di chi era chiamato di nuovo in vita? Intrecciò le mani, sapendo che in esse e nel cervello che le guidava era racchiuso il potere di sconfiggere gli Etici. Ma ignorava quale fosse la spaventevole cosa che albergava in lui. Però Essi lo temevano. Se solo avesse potuto scoprire perché…

Ma solo per metà la sua risata era stata di scherno. Con l’altra metà di sé riteneva di essere una tigre in mezzo agli uomini. L’uomo è ciò che è la sua mente , mormorò.

Goering disse: — Amico mio, la tua risata è davvero singolare. Un po’ troppo femminea per un uomo così virile. Sembra… sembra una pietra che rimbalzi su un lago gelato. O il verso di uno sciacallo.

— Io ho qualcosa dello sciacallo — replicò Burton. — E anche della iena. Così affermavano i miei denigratori, e avevano ragione. Ma io sono ancora più di questo.

Si alzò dal letto e fece gli esercizi per scacciare dai muscoli il torpore del sonno. Entro pochi minuti si sarebbe recato con gli altri alla pietra-fungo accanto all’argine del Fiume, per caricare il graal. Poi ci sarebbe stata l’ora dedicata alle pulizie. Indi l’addestramento seguito da esercizi con la lancia, la clava, la frombola, la spada dalla lama di ossidiana, l’arco, l’ascia di selce; infine la lotta a mani e piedi nudi. Un’ora per riposare, chiacchierare, mangiare. Un’ora di lingua. Due ore di lavoro obbligatorio alla costruzione dei bastioni che segnavano i confini dello staterello. Mezz’ora di riposo, poi una corsa di un chilometro e mezzo, anche questa obbligatoria, per acquistare resistenza. Cena col solito sistema dei graal, quindi serata libera, tranne per chi aveva il turno di guardia o altre incombenze.

Simili programmi e attività erano svolti negli altri minuscoli stati a monte e a valle del Fiume. Quasi dovunque l’umanità era in guerra, o si apprestava ad entrarvi. Gli abitanti dovevano tenersi in forma ed essere in grado di combattere al massimo delle proprie capacità. Inoltre l’addestramento li teneva occupati. Per quanto monotona fosse la vita marziale, era sempre meglio che non sedersi in cerchio e chiedersi cosa fare per divertirsi. La mancanza di preoccupazioni per il cibo, l’affitto, le rate, e tutte le piccole e grandi seccature che avevano assillato i terrestri facendo saltar loro i nervi, non era un grande dono. Era in corso una lotta sistematica contro la noia, e i capi di ciascuno stato erano indaffarati a escogitare sistemi per tenere occupati i loro sudditi.

Nella valle del Fiume avrebbe dovuto esserci il paradiso: invece c’era guerra, guerra, guerra. Secondo alcuni, comunque, a parte altre considerazioni, in quel mondo la guerra era un’ottima cosa. Dava un significato alla vita ed eliminava il tedio. La bramosia e l’aggressività umane avevano il loro lato positivo.

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