James Blish - Guerra al grande nulla

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Guerra al grande nulla: краткое содержание, описание и аннотация

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È possibile che gli altri mondi non siano abitati. Ma finora, niente esclude che possano invece ospitare forme di vita, simili o no alla nostra. Questo è un problema che le scoperte della nuova scienza rendono attuale e non più ignorabile, una questione che va considerata sotto tutti gli aspetti. Anche quello religioso. Infatti, fra i doveri della Chiesa c'è quello di mantenersi in linea coi tempi; e il punto a cui è arrivata la giovane scienza spaziale ha spinto appunto la Chiesa a interessarsi dell'eventualità che esistano altri pianeti abitati. A questo proposito importanti esponenti del Clero hanno consentito a rispondere alle domande dei giornalisti, e il risultato delle speciali recenti interviste è stato ampiamente pubblicato su autorevoli quotidiani. Il romanzo che presentiamo in questo numero sembra scritto proprio in seguito alle ipotesi formulate da un Padre Gesuita nel corso del colloquio cui abbiamo accennato. E, guarda caso, a protagonista del suo romanzo, James Blish ha scelto un Gesuita. Il tema è ardito, e solo un autore intelligente, obiettivo, e abile come Blish lo poteva affrontare. Ne è uscito il racconto più eccitante che sia mai stato scritto nel campo della fantascienza. Un romanzo che i lettori di Urania non possono ignorare.
Premio Hugo per miglior romanzo in 1959.

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Poi, ritornato sulla Terra, s’era appena irritato quando il «Journal of Interstellar Research» aveva trascurato di invitarlo a partecipare alla preparazione dell’articolo preliminare su Lithia. L’avventura lithiana aveva cominciato ad apparirgli remota, come un sogno, ed egli già sapeva che tra loro non avevano altro da dirsi, su quell’argomento, che avesse un senso comprensibile a tutti.

E questo era poco male, ma fino a quel momento nulla poteva spiegare quella sensazione di disperazione senza fondo, di solitudine e di disgusto che si era abbattuta su di lui quando aveva scoperto quella cosa apparentemente insignificante in sé: che il suo programma favorito televisivo non sarebbe stato trasmesso quella sera. A parte questa particolarità, tutto sembrava andare per il meglio. Egli era stato invitato a passare un anno presso l’istituto sismologico di Fordham, in ragione dei suoi lavori precedenti sulle onde gravitazionali (le scosse dovute alle maree e i moti sismici veri e propri) e il suo arrivo era stato accolto con rispetto ed entusiasmo da parte dei Gesuiti che dirigevano il dipartimento scientifico della grande università. Il suo appartamento, nel padiglione degli studenti di scienze, non aveva nulla di monastico, anzi era quasi lussuoso per un uomo solo, ed era stata messa a sua disposizione tutta l’apparecchiatura strumentale che un geologo in simili circostanze possa sognare; era virtualmente libero dall’obbligo di tenere lezioni; si era fatto vari amici fra i neolaureati che gli erano stati assegnati come assistenti. Ciò nonostante, quella sera, mentre fissava sullo schermo il programma che si trasmetteva in sostituzione di quello di Egtverchi…

Retrospettivamente, ognuno dei passi che lo avevano portato verso l’abisso sembrava irrevocabile, e nello stesso tempo ognuno di essi era stato così insignificante! Era stato così felice all’idea di ritornare sulla Terra, e non per qualche suo aspetto particolare, ma per ritrovare la vista confortante delle cose familiari. Ma, tornato sulla Terra, non aveva trovato proprio nessun conforto nel rivedere le antiche cose familiari: anzi, parevano piuttosto squallide. Lo attribuì al fatto di essere stato libero, anzi, di essere stato quasi solo, su un pianeta pressoché spopolato; era prevedibile che ci sarebbe stata una certa scossa, nel riadattarsi a vivere la vita di una talpa tra milioni di talpe.

E invece non c’era stata nessuna scossa. Invece, c’era stata una stranissima mancanza di ogni tipo di sensazione, come se le cose familiari non avessero più avuto il potere di richiamare la sua attenzione. Mentre i giorni passavano, quel torpore intellettuale ed emotivo s’era accentuato, fino a divenire una specie di vertigine, come se egli fosse sul punto di precipitare senza veder nulla a cui aggrapparsi.

Ad un certo punto di questo processo, egli aveva cominciato ad ascoltare le trasmissioni di Egtverchi: per semplice curiosità, gli pareva, entro i limiti in cui si può ricordare una cosa tanto lontana nel tempo. In quelle trasmissioni c’era qualcosa che gli era utile, anche se non avrebbe saputo dire che cosa. Come minimo, a volte Egtverchi lo divertiva. A volte la creatura gli ricordava in modo oscuro che su Lithia, per quanto egli fosse stato lontano dal modo di pensare e dagli scopi degli altri membri della commissione, egli era quasi unico; la cosa era confortante, pur trattandosi di un conforto molto esiguo. E a volte, durante gli attacci più feroci di Egtverchi contro la Terra che era familiare ad Agronski, provava un certo moto di piacere, come se Egtverchi fosse stato qualcuno che si vendicava per lui di nemici nascosti e sconosciuti. Ma la maggior parte delle volte, Egtverchi non riusciva a penetrare l’opaca atmosfera malsana che si era stretta intorno a lui; le trasmissioni erano semplicemente un’abitudine.

Intanto, sempre più spesso si accorgeva di non capire che cosa stessero facendo i suoi colleghi, o, in quei pochi casi in cui lo capiva, gli pareva che si trattasse di qualcosa di assolutamente banale; perché la gente si incatenava a certe assurde routine? Dove volevano andare, di così importante? L’aria di preoccupazione sicura e opaca con cui il troglodita medio si recava al lavoro, passava le ore di lavoro, e tornava nuovamente al proprio angolo nella sua zona bersaglio, gli sarebbe parsa tragica, se gli attori non fossero stati degli zeri così assoluti; la totale immersione delle persone che credevano importanti se stesse o il proprio lavoro gli sarebbe parsa assurda se egli avesse potuto trovare al mondo qualcosa che fosse degno della sua attenzione, ma ormai il sapore si stava allontanando da ogni cosa. Perfino le bistecche, da lui tanto desiderate quando era su Lithia, ormai erano soltanto una delle tante cose da fare: un esercizio di coltello, forchetta, denti e di riposo pomeridiano.

A volte, in brevi guizzi istantanei, gli capitava di invidiare gli scienziati Gesuiti. Essi credevano sempre all’importanza della geologia: un’illusione che ad Agronski pareva appartenere al lontano passato, anche se erano trascorse soltanto poche settimane. Anche la loro religione sembrava costituire per loro una fonte continua di eccitazione intellettuale, soprattutto durante quello, che era l’Anno Santo. Le sue conversazioni con Ruiz-Sanchez, due anni prima, gli avevano insegnato che l’ordine dei Gesuiti è la corteccia cerebrale della Chiesa, che a loro erano affidati i più complessi problemi di morale, di teologia e d’organizzazione. In particolare, ricordava, i Gesuiti avevano la responsabilità di soppesare i problemi politici e di fare le loro raccomandazioni a Roma. E a Fordham, Agronski aveva saputo che quell’anno sarebbe venuta la soluzione, per proclamazione del Santo Padre, d’una delle grandi questioni dogmatiche del Cattolicesimo; paragonabile al dogma dell’Assunzione di Maria Vergine, proclamato un secolo prima; discussioni appassionate, di cui aveva sentito dei frammenti nel refettorio, gli avevano consentito di concludere che i Gesuiti avevano già esposto il loro punto di vista; quella che restava ancora da discutere era la decisione più probabile che Papa Adriano avrebbe definitivamente preso. Il fatto che vi fossero ancora dei dubbi lo sorprese un poco, finché alcuni brani di conversazione, colti in refettorio, gli fecero capire che le decisioni dell’Ordine non erano assolutamente vincolanti. Ad esempio, i Gesuiti dell’epoca si erano vigorosamente opposti alla dottrina dell’Assunzione, nonostante il fatto che fosse una chiara preferenza personale del Papa; il dogma era stato proclamato: la decisione presa in San Pietro era inappellabile.

Nel mondo, apprese Agronski nella sua generale nausea, non c’era nulla che fosse altrettanto certo. Alla fine, i suoi colleghi di Fordham gli parvero altrettanto remoti quanto lo era stato, su Lithia, Ruiz-Sanchez. Nel 2050 la Chiesa Cattolica Romana era sempre la quarta del pianeta come numero di fedeli: dopo Isiam, Buddismo, e le sette Hindi. Dopo il Cattolicesimo veniva il numero confuso delle chiese protestanti, che poteva forse superare i cattolici se si incameravano in esso tutti coloro che nel mondo non avevano una fede ben definita; ed era probabile che agnostici, atei e altri senza interessi, presi come gruppo separato, fossero numerosi almeno come gli ebrei, e forse anche di più. Quanto allo stesso Agronski, egli non apparteneva a nessuno di questi gruppi: si stava allontanando alla deriva; stava lentamente cominciando a dubitare dell’esistenza dell’universo fenomenico stesso, e non poteva indursi a speculare su una cosa, probabilmente irreale, fino a convincersi che aveva importanza l’organizzazione intellettuale che gli veniva imposta sopra, Alto Anglicana o Logico Positivista che fosse. Quando una persona non prova più interesse per le bistecche, che gli importa del modo in cui sono state fatte crescere, macellate, cucinate e servite?

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