— Mi fido di lui. — Ma, si chiese Andrew, forse Damon pensava semplicemente che se perdevano l’imminente battaglia sarebbe stato inutile per tutti loro sopravvivere… compresi Ellemir e il nascituro? Con fermezza, scacciò quel pensiero. Damon era il loro Custode. L’unica responsabilità di Andrew consisteva nel decidere se Damon meritava fiducia, e poi seguire le sue direttive senza riserve mentali. Perciò chiese: — Cosa dobbiamo fare, per prima cosa?
— Costruiamo la Torre, e la rinsaldiamo con tutte le nostre forze. Esiste da molto tempo, ma è quello che noi immaginiamo che sia. — E Damon aggiunse, rivolgendosi a Ellemir: — Tu non sei mai stata nel sopramondo: ti sei limitata a vegliarmi, da qui. Collegati con me, ti ci condurrò io.
Con un energico slancio mentale giunse nel sopramondo: Ellemir era accanto a lui nel grigiore. Dapprima indistinte, poi sempre più chiare nella sopraluce, scorse le mura del loro edificio.
All’inizio era stato un rifugio rudimentale, come la capanna di un mandriano, visualizzato quasi accidentalmente. Ma a ogni uso successivo era cresciuto e si era rafforzato, e adesso intorno a loro sorgeva una Torre autentica, con i grandi muri azzurri e lucenti, reale al suo passo e al suo tocco come la stanza di Castel Comyn dove avevano consumato il loro quadruplice legame. In verità avevano portato con sé molto di quel mondo, perché, pensò Damon, il vincolo quadruplo e il suo completamento erano in un certo senso la cosa più importante che fosse mai accaduta a ognuno di loro.
Come sempre nel sopramondo, si sentì più alto, più forte, più sicuro: e questa era l’essenza di tutto. Ellemir, al suo fianco, non somigliava a Callista quanto le somigliava nel mondo concreto. Fisicamente, lei e la sua gemella erano molto simili; ma lì, dove era la mente a determinare l’aspetto fisico, erano molto diverse. Damon conosceva a sufficienza la genetica per chiedersi se erano gemelle identiche. Se non lo erano, questo poteva significare che Callista avrebbe potuto dargli un figlio con minori rischi di Ellemir. Ma quello era un pensiero per un altro momento, per un altro livello di coscienza.
Dopo un istante, Callista e Andrew li raggiunsero nel sopramondo. Damon notò che Callista non si era abbigliata nella veste cremisi da Custode. Quando le pervenne quel pensiero, lei sorrise e disse: — Lascio quella carica a te.
Per un duello tra Custodi, forse Damon avrebbe dovuto abbigliarsi col cremisi rituale dei Custodi: ma arretrò davanti a quella bestemmia, e all’improvviso comprese il perché.
Non avrebbe combattuto quella battaglia secondo le leggi di Arilinn! Non era Custode secondo quelle leggi crudeli, che rinnegavano la vita: era tenerézu di una tradizione più antica, e difendeva il diritto di esserlo! Avrebbe portato i colori del suo dominio, e nient’altro.
Andrew si mise nella posizione di scudiero, due passi dietro di lui. Damon prese la mano di Ellemir, che era alla sua destra, e quella di Callista, che era alla sua sinistra: sentì leggermente il tocco delle loro dita, come avveniva sempre nel sopramondo. Disse, a voce bassa: — Il sole sorge sulla nostra Torre. Sentite la sua forza intorno a noi. L’abbiamo eretta qui, come un rifugio. Ora deve restare, non soltanto per noi ma come un simbolo per tutti i meccanici delle matrici che rifiutano la spietata costrizione delle Torri, come un rifugio e un faro per tutti coloro che verranno dopo di noi.
A Andrew, nonostante le lucenti mura azzurre della Torre che si ergevano intorno a lui, sembrò di vedere il sole del sopramondo attraverso quelle pareti. Una volta Callista gliel’aveva spiegato. Nel mondo della sopraluce, dove si trovavano ora, la tenebra non esisteva perché la luce non proveniva da un sole concreto. Veniva dalla rete d’energia del sole stesso, che risplendeva attraverso la rete d’energia del pianeta. Per Andrew il sole rosso era enorme, e un orlo pallido spuntava oltre la Torre e in un certo senso attraverso la Torre, spandendo una luce cremisi e facendo sgocciolare nubi color sangue.
Un lampo balenò intorno a loro, accecandoli, e per un momento parve che la Torre tremasse, ondeggiasse, che l’intera struttura del sopramondo vibrasse nel grigiore. Ecco , pensò Damon: l’attacco che attendevano era venuto. Fortemente collegati l’uno all’altro, sentivano le mura della Torre salde e protettrici intorno a loro, mentre Damon lanciava una spiegazione a Andrew e Ellemir, che erano meno esperti.
Tenteranno di distruggere la Torre; ma poiché è la nostra visualizzazione a mantenerla solida, non riusciranno a scuoterla a meno che vacilli la nostra percezione.
Uno dei giochi dei tecnici, durante l’addestramento, consisteva nel combattere duelli scherzosi nel sopramondo, dove la sostanza-pensiero era immensamente plastica e tutte le loro costruzioni potevano essere annientate con un pensiero, con la stessa rapidità con cui erano state create. Sebbene sapesse che era soltanto un’illusione, Damon provò tuttavia un fremito irrazionale di paura fisica quando, una dopo l’altra, le folgori si avventarono sulla Torre squassandola con tuoni assordanti. Poteva essere un gioco pericoloso, perché tutto ciò che accadeva al corpo del mondo astrale poteva capitare, per ripercussione, anche all’io fisico. Ma dietro le mura delle loro Torri erano al sicuro.
Non possono farci del male. E io non voglio far male a loro, voglio solo stare in pace con i miei amici… Ma sapeva che i nemici non avrebbero mai accettato questo. Prima o poi, l’incessante attacco dall’esterno avrebbe indebolito lui e gli altri. La sua unica difesa era l’attacco.
Rapidi come il pensiero, si ritrovarono sul più alto bastione della loro Torre. Andrew ebbe la sensazione di sentirla tremare sotto i piedi. Come sempre nel sopramondo, era vestito della stoffa grigio-argentea di un’uniforme dell’impero terrestre: e quando se ne accorse, la sentì cambiare. No, adesso non sono più terrestre. Infatti subito dopo notò che indossava i calzoni di pelle sciupati dalla sella, e la giubba foderata di pelliccia che portava per lavorare nella tenuta. Bene, adesso quella era la sua vera personalità: adesso apparteneva ad Armida.
Dall’alto della Torre potevano scorgere Arilinn, come un faro fiammeggiante. Come mai era così vicina?, si chiese Damon. Poi comprese che era la visualizzazione di Leonie e del suo cerchio: Leonie aveva detto che la Torre proibita era stata eretta davanti alla loro soglia. A Damon era parsa lontana, distante mondi e mondi. Ma adesso erano vicini, così vicini che lui poteva vedere Leonie, come una statua velata di cremisi, che afferrava manciate di sostanza-pensiero e scagliava una folgore. Damon la colpì a mezz’aria col proprio fulmine: la vide esplodere e scrosciare sopra il cerchio raccolto sul pinnacolo di Arilinn, vide una crepa aprirsi nella fortezza di Leonie.
Ci percepiscono come una minaccia per loro. Perché?
Solo un momento, e il tuono scrosciò di nuovo intorno a loro, in un ardente duello di fulmini scagliati e intercettati, e Damon captò un pensiero fuggevole (doveva essere di Andrew): Mi sento come Giove che lancia i tuoni ; e si chiese, con un frammento infinitesimale di coscienza, chi fosse o cosa fosse quel «giove».
Posso abbattere la Torre di Arilinn, perché per qualche ragione incomprensibile loro hanno paura di noi. Ma bruscamente Leonie cambiò tattica. Le folgori cessarono, e all’improvviso i quattro si sentirono soffocare in una pioggia di limo nauseante che precipitava su di loro facendoli vomitare per lo schifo. Come letame, liquido seminale, sterco di cavallo, le tracce lasciate dalle lumache che invadevano le serre nella stagione delle piogge… Stavano annegando nella sozzura. È così che vedono ciò che abbiamo fatto? Damon lottò per liberarsi la mente dalla nausea, pulendosi la faccia dal… No, questo significava riconoscerne la realtà. Prontamente, collegandosi col suo cerchio, addensò il viscidume, lo mutò nella ricchezza del suolo fecondato, lo fece cadere dai loro corpi fino a quando spuntarono fiori e foglie che coprirono il tetto della Torre con la lussureggiante vegetazione di una fioritura primaverile. Trionfanti, stettero nel prato fiorito, riaffermando la vita rinata dalla bruttura.
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