— Senza dubbio sono stati gli dei.
L’irriverenza lo inorridì, anche perché veniva dalla bocca di Duun. Replicò con un’altra bestialità: — Gli dei hanno il senso dell’umorismo?
Duun tirò indietro le orecchie. — Ne parleremo più tardi.
— Non mi darai mai una risposta. Vero?
Ci fu un lungo silenzio. Sì e no oscillarono sul filo di una lama. Per la prima volta Thorn sentì che Duun era vicino a rispondergli: sarebbe bastato un filo d’aria per fare pendere la bilancia da una parte. Trattenne quel fiato; finché non sentì male ai fianchi.
— No — disse Duun. — Non ancora.
— È intelligente — ammise Ellud. Duun si afferrò le caviglie incrociate, e gli restituì un’occhiata impassibile. — Ho mai detto di no? — chiese. — Cos’altro dicono i tuoi agenti?
Ellud appiattì le orecchie. — Ma se li ho messi a tua disposizione!
— Avanti, Ellud. Da quante parti guardi contemporaneamente?
Ellud si mosse impacciato dietro la sua scrivania. — Sto schivando pietre, Duun; lo sai.
— Questo lo so. Voglio sapere con chi parli.
— Con il concilio. Il concilio vuole parlargli.
— No.
— Tu dici di no. Loro ricevono un no da te, e vengono alla mia porta. Mi stanno tagliando i rifornimenti: ritardi nelle consegne, pratiche smarrite…
— Non possono essere coincidenze?
— Non a questo ritmo — disse Ellud. Duun ispirò profondamente e raddrizzò la schiena. Ellud alzò una mano. — Ci penserò io, Duun. Sarei venuto da te se non avessi potuto.
— Cosa dice Tshon di me?
Ellud spalancò la bocca. — Duun…
— Non sono offeso. Cosa dice di me?
— Ho detto al concilio che sei del tutto equilibrato. Il suo rapporto è stato un grande vantaggio: per entrambi noi.
Duun sorrise. Con tutto l’orrore che quell’espressione aveva per chi lo guardava; e quando stava con Ellud, era sempre consapevole di questo. — Ho mandato una lettera al concilio. Se vogliono una sanzione hatani da intendersi individualmente, che si scordino il contratto. Il governo l’ha stipulato. E loro se lo devono tenere fino al giorno della mia morte.
— O della sua.
— Mi stai dicendo qualcosa, Ellud?
— Non ricordo di averti detto niente. Giurerei che non ti ho detto niente.
Alcune cose disturbavano la concentrazione di Duun: questa era una. Ellud sedeva immobile, con le mani abbandonate in grembo e gli occhi nei suoi occhi.
— Se ci fosse un incidente — disse Duun.
— Non so come potrebbe capitare. È hatani, hai detto. Non sarebbe facile. Duun… devi capire, non è solo il concilio; ci sono pressioni dell’opinione pubblica. La faccenda di Sheon… è risaputa.
Duun rimase in silenzio. Ellud alzò una mano in un gesto vago e proseguì il discorso. — Hanno chiamato i magistrati, che a loro volta hanno chiamato il capo della provincia nel timore di avere dei guai con la Corporazione e di ritrovarsi invischiati in una questione di hatani… e così la cosa si è gonfiata: certi uffici l’hanno saputa, e alcuni ricchi possidenti, a qualche festa… Sai come succede? Insomma la faccenda ha finito con l’attirare l’interesse di certi uomini politici. E il successore di Rothen…
— Shbit.
— Shbit. Esatto… vuole giocare al politico: con la scusa che la faccenda è degenerata. — Ellud fece un gesto d’impotenza. — Duun, per quanto sia difficile pensare che qualcuno sia tanto ottuso da…
— Non lo trovo affatto difficile. Comprendo molto bene la venalità. È la stupidità. Il domani non arriva, e una pietra scagliata in alto non torna giù. Per essere uno che ha rinunciato, sono un uomo molto pratico, Ellud. Ricordalo.
— Sì che me lo ricordo. Duun, per l’amore degli dei… stanno cercando di mettersi fra te e le Corporazioni. Lo sai come faranno. Stanno cercando di rallentare il lavoro del mio ufficio con intralci burocratici. Vogliono le prove di una prevaricazione: per questo faccio tutto in duplice copia. Fortunatamente per me li ho colti con le mani nel sacco, e se dovesse accadere qualcosa potrei portarli davanti alla Corporazione, senza problemi.
— Saggio.
— La gente ha paura, Duun.
— Continua a sorvegliare l’ingresso posteriore. A quello davanti ci penso io.
— Per amore degli dei…
Duun gli rivolse un’occhiata fredda. — Chiamare Shbit risolverebbe la faccenda.
— Non riusciresti a raggiungerlo.
— Davvero? — Duun strinse le labbra e respirò quell’aria che puzzava di politica. — Staremo a vedere — disse, sentendo il suo cuore battere più in fretta.
— Dei. No. No. Ho solo bisogno di tempo. Ascolta, Duun: lascia che me ne occupi io, per un po’. Cosa mi succederebbe se la faccenda scoppiasse? Tu hai la Corporazione. Io non ho alcuna protezione. Credi che non possa cavarmela? Me la sono cavata per sedici anni, mentre tu te ne stavi ad ammuffire fra le colline. Per amore degli dei, lascia a me la politica, e dammi quello che mi serve. Hai già abbastanza cose per le mani. Credimi su questo.
Duun aggrottò la fronte. — Ossia?
— Lasciami raccogliere dati. Per un po’.
— La Corporazione sarebbe un’altra risposta. Potrebbe farcela.
— Dei. Non parlerai sul serio.
— Siamo di idee molto larghe.
Le orecchie di Ellud si afflosciarono, in segno di sbigottimento.
— Ci sto lavorando — disse Duun. — Questo te lo posso dire. Ma non è ancora pronto.
— Sai cosa provocherebbe una cosa del genere?
— E sono pronto a prevenirlo.
Ci fu un lungo silenzio. Poi: — I nastri, Duun. Per l’amor del cielo, puoi cominciare ? Puoi farlo?
Duun lo fissò, pensandoci. — Sì.
Erano seduti insieme, Elanhen, Betan, Sphitti e Cloen. — Le cose stanno così — disse Elanhen. — Ci hanno sorteggiato insieme. Tutti. Tu sei stato unito al gruppo. Se non impari, il fallimento è di tutti.
— Perdiamo i nostri lavori — disse Betan.
— Qual è il vostro lavoro? - chiese Thorn, perché tutto ciò che dicevano lo stupiva.
Le loro facce si avvicinarono alla sua, allora, per dei segreti che non volevano divulgare.
— Hai un problema — disse Betan, chinandosi sulla sua spalla, mentre lui batteva sulla tastiera che teneva in grembo e guardava una finestra, dall’altra parte della stanza, sulla quale delle linee di luce s’intersecavano accendendosi e spegnendosi. — Se questa è la traiettoria, con questa accelerazione dove la intercetterai?
Qualche volta i problemi avevano un senso vago. E qualche volta no.
(Cosa c’è al mondo che si presenta in gruppi di duecentoventiquattro?)
(Stelle, Alberi, Erbe. Le vie di un Fiume. L’ostinazione di un bambino.)
(Posso calcolare la velocità del vento, nominare le stelle, le città del mondo…)
— … in ordine, le particelle…
Betan gli sfiorò il braccio chinandosi su di lui. Lei aveva un odore diverso e nessuna reticenza con lui; non badava affatto a come si chinava. La sua gola era senza difesa, e il corpo, coperto da una pelliccia liscia, le odorava di muschio…
— Esatto — disse Sphitti, mentre si raccoglievano attorno alla sua scrivania, sedendosi sui bordi. — Adesso ecco un’applicazione. Se fossi sospeso in aria, senza attrito né gravità…
(Stanno cercando di incastrarmi.) — Non è possibile.
— Supponiamo di sì.
Betan agitò un orecchio verso di lui. Forse era uno scherzo a sue spese.
— Scrivi — disse Cloen.
— Non ne ho bisogno.
— Lasciamolo fare come preferisce — disse Sphitti. A questo punto doveva fare assolutamente tutto giusto.
— Esatto — disse Elanhen dopo aver ascoltato la risposta.
— Maledetta arroganza hatani — commentò Cloen, senza essere proprio fuori portata di voce, seduto alla propria scrivania in compagnia di Elanhen.
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