C. Cherryh - Stirpe di alieno

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Stirpe di alieno: краткое содержание, описание и аннотация

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Lo avevano chiamato Thorn, e ancora neonato lo avevano affidato al più grande giudice-guerriero di quel mondo, Duun, perché lo allevasse come un membro della loro razza. Ma ben presto Thorn si rende conto di essere diverso; la sua pelle è chiara e priva di morbida pelliccia argentea, le sue mani mancano di artigli, e in tutto quel mondo non esiste un’altra creatura simile a lui. Quando poi gli attentati alla sua vita si moltiplicano, fino a condurre l’intero pianeta a una strenua guerra civile, Thorn capisce che deve cercare nello spazio la risposta all’enigma della sua origine, ben sapendo che da lui può dipendere il futuro di due lontane civiltà.
Nominato per i premi Hugo e Locus in 1986.

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Un giorno ho percorso una strada
che non avevo mai conosciuto;
un giorno ho trovato un sentiero
che non avevo mai visto.
Ho camminato per le colline
ho attraversato la valle,
e ho incontrato un uomo furbo
che nessuna canzone può descrivere.
Non ho mai incontrato un uomo
come lui:
non riuscirò mai a dire
quant’era diverso e uguale a me.
Quest’uomo incontrai quel giorno.
Aveva la mia faccia, aveva i miei occhi,
aveva il mio modo di fare, davvero.
Che sciocco sei, mi disse,
e mi cantò la canzone
che vi ho appena cantato.

Thorn si mise a ridere quando Duun ebbe finito. Duun sorrise e regolò una corda. — Dallo a me — disse Thorn.

— Ah, non c’è rivincita. Il mio repertorio è infinito. — Il labbro con la cicatrice si contrasse: gli succedeva quando sorrideva così. — Maledizione. — La corda si era rotta. Thorn ebbe un sobbalzo. — Era vecchia — osservò Duun. — Domani me ne procurerò un’altra. — Gli diede il dkin per metterlo via; Thorn prese lo strumento e lo mise con cura nella sua custodia. — Vai a dormire — disse Duun.

— Sì — disse Thorn. E si girò con le ginocchia sul rialzo, perché Duun si era alzato e gli era venuto alle spalle, e Thorn era diffidente. Alzò gli occhi. Duun lo fissò a lungo, poi si voltò e si allontanò. Il silenzio lasciò una sensazione di freddo addosso a Thorn. Chiuse la custodia.

(Stava pensando qualcosa. Stava progettando qualcosa. Voleva farmelo capire. Dei, cosa?)

Duun si fermò sulla soglia. Si voltò a guardare e proseguì.

(Aspetta che io faccia… cosa?)

(Duun fa mai qualcosa senza ragione? Fa mai la più piccola mossa senza ragione?)

(Ho paura di questa gente. Lo sa?)

Una confusione di luce bianca e di sabbia bianca… La palestra roteò e la sabbia incontrò la schiena di Thorn; rotolò su se stesso e si rimise in piedi, con le luci che gli esplodevano negli occhi.

— Ancora — disse Duun.

Il ginocchio sinistro di Thorn cedette e la gamba si piegò. Cadde sulle ginocchia con una scossa, sentendo le escoriazioni. La scivolata si era fatta sentire anche sulle spalle. Il sudore gli bruciava, lì. Alzò una mano, facendo segno di aspettare fino a quando lo stordimento non fosse passato.

Duun gli si avvicinò e gli prese la faccia fra le mani, gli sollevò le palpebre e gli tastò il cranio.

— Ancora — disse Thorn. Duun gli lasciò andare la testa con una violenza che lo fece ondeggiare, gli diede una pacca sull’orecchio e indietreggiò.

Thorn si rimise in piedi e rimase a gambe larghe, vacillante.

— Non hai imparato ancora tutto, pesciolino. Avanti, più adagio. Un poco alla volta, di nuovo.

Thorn venne avanti, allungò la mano, nella lenta danza che Duun voleva, si girò e rigirò finendo nuovamente contro il braccio di Duun, che si era mosso altrettanto adagio.

— Così si fa. Fallo, pesciolino.

C’era una contromossa. Arrivò contro la cassa toracica di Thorn, al rallentatore, e lui ne evitò la forza simulata. Il sudore gli volò dai capelli e bagnò la sabbia, mentre ritraeva sinuosamente il suo corpo. Duun lo affrontò, con le mani sulle ginocchia. Duun non sudava. La lingua ogni tanto gli ciondolava dalla bocca che si apriva mostrando i denti aguzzi. E con un guizzo la lingua raccoglieva la saliva. Duun si chinò, invitandolo ad attaccare. — Adagio, Thorn. Ho ancora dei trucchi in serbo.

Thorn aveva creduto di conoscerli. La luce che vide negli occhi di Duun lo allarmò: non aveva mai visto Duun impegnarsi al massimo contro di lui. Se ne rendeva pienamente conto.

La mano di Duun si allungò di scatto e lo toccò sulla guancia, quando lui venne avanti. — Sei morto. Morto , Haras-hatani.

Thorn si asciugò la faccia. La sua concentrazione era sparita. La recuperò. (Non farti ingannare. Scaccia la paura. Scacciala , pesciolino.)

Duun lo afferrò e lo piegò indietro, senza farlo cadere. Lo lasciò andare e Thorn si salvò dalla vergogna rimettendosi in piedi con una capriola. Sulla sua pelle sudata c’era appiccicata la sabbia.

Duun gli voltò le spalle e si allontanò.

— Duun. Duun-hatani. — La faccia gli bruciava.

Duun si voltò. — Non hai bisogno di dire non posso. Sei questo. Il mondo non aspetta i tuoi umori, pesciolino.

Mettimi alla prova!

Duun tornò indietro e lo stese subito sulla sabbia. Poi rimase a guardarlo. — Bene, non è stato un non posso che ti ha steso, questa volta. Ti ho forse promesso un miracolo?

Thorn rotolò e cercò di fargli lo sgambetto.

Questa volta finì a pancia in giù, sputando la sabbia che gli si era attaccata alla faccia, alle mani e al corpo; aveva il ginocchio di Duun sulla schiena, e il braccio ritorto dolorosamente. Duun lo lasciò andare e si sedette sulla sabbia.

(Un invito?) Ma Duun alzò la mano. — No — disse. — Non sarebbe saggio.

Thorn sapeva dove l’avrebbe portato l’attacco: nella stretta di Duun, se si fosse rifiutato di volare sopra la sua testa. E con i suoi denti alla gola. “Mai attaccarmi corpo a corpo”, gli aveva detto e ripetuto Duun. “La natura ti ha fatto più piccolo.” E Duun quel giorno aveva sorriso, per sottolineare l’affermazione.

Thorn si sedette, abbracciandosi le ginocchia. Il sudore gli scendeva negli occhi. Si passò una mano sporca di sabbia sulla fronte, piegò le dita e le mostrò.

— Stai tirando fuori gli artigli, Duun-hatani. — Il dolore gli si gonfiava dentro, riempiendogli il petto: e non era solo il dolore di varie cadute sul pavimento. — Avresti potuto farmi a pezzi. Avresti potuto squarciarmi la gola. Qualunque persona normale… l’avrebbe fatto.

— Gli occhi — gli ricordò Duun, toccandosi l’occhio sul quale il sopracciglio sporgente gettava ombra. — È l’errore peggiore. Hai lasciato che ti arrivassi alla faccia. Non farlo mai.

— Mi dispiace, Duun.

— Non saresti dispiaciuto. Saresti cieco. Certo che li tiro fuori. Fallo ancora e ti lascerò la cicatrice. Capito?

Thorn si chinò in una specie di inchino. Sentì male. Le ossa gli dolevano come se fossero state tutte spostate.

— Sì, Duun.

— Riguardo agli artigli… potrebbero ferirti se ti toccassero. Se tu facessi lo sciocco. Io sono molto bravo, Thorn. Questo non ti dice qualcosa?

Thorn non rispose subito. Il dolore gli era arrivato alla gola, e rimaneva lì, fastidioso. — Che potrei anche farlo.

— Mi hai toccato?

— No, Duun-hatani.

— Ho sentito non posso questa volta?

— No, Duun-hatani.

— Hai in testa quegli estranei. Le loro mosse ti hanno infettato. Lasci che ti tocchino?

— Si toccano l’un l’altro. Non me.

— E invece, sì che ti toccano… qui. — Duun si appoggiò un dito sulla fronte. — Hai perso la concentrazione. La giovinezza, Thorn: rinuncia anche a quella.

Thorn tirò un altro doloroso sospiro. (Sono tuoi. Non è così? Un hatani decide le mosse che gli altri fanno… Duun-hatani.) — Cosa possono insegnarmi che tu non puoi?

— Ciò che è ordinario. Ciò che è il mondo.

(Il mondo è grande, pesciolino.)

— Duun… loro si comportano come se io non fossi niente di speciale.

Duun alzò le spalle.

— Mentono, vero?

— Cosa ti detta il tuo giudizio?

— Che mentono. Fingono. Tu li hai mandati. Tu controlli tutto.

— Tkkssss. Hai una mente sospettosa, Haras-hatani.

— Tu l’hai sempre avuta. Sto forse per batterti in questo? Nessuno è come me. Non c’è nessun altro. Io sono diverso. E loro si danno tanto da fare per non notarlo, che lo gridano. Perché , Duun?

— Fai castelli in aria.

Sulla roccia. Su ciò che vedo e non vedo. — I muscoli di Thorn cominciarono a tremare; strinse allora le braccia attorno alle ginocchia, ancora più forte, per non mostrare il tremito. Ma Duun avrebbe visto ugualmente: a lui non sfuggiva nulla. — Cosa non va in me? Come sono? Perché sono così?

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