— I Razionali e i Paterni non badano mai al sapore del cibo.
Ma Odeen aveva spiegato: — È ancora allo stadio sperimentale. Stanno lavorando sodo per migliorarlo, i Duri, intendo. Soprattutto Estwald… quello che ho nominato prima, quello nuovo che non ho ancora visto. È lui che ci dà più dentro. Ogni tanto Losten ne parla come se fosse qualcosa di speciale, uno scienziato eccezionale.
— Come mai non l’hai ancora visto?
— Io sono solo un Morbido. Non crederai che i Duri mi facciano vedere tutto e mi spieghino tutto, vero? Prima o poi lo vedrò, immagino. Lui ha scoperto una nuova fonte di energia che potrebbe salvarci tutti se…
— Io non voglio del cibo artificiale — aveva affermato Dua, e poi aveva piantato in asso Odeen.
Questa conversazione aveva avuto luogo poco tempo prima e Odeen non aveva più nominato quell’Estwald, ma Dua sapeva che ne avrebbe riparlato e ci stava riflettendo sopra, mentre era in superficie, al tramonto.
Aveva visto una volta sola quel cibo artificiale: un abbagliante globo di luce, simile a un piccolo Sole, in una caverna artificiale sistemata dai Duri. Poteva ancora sentirne il sapore amaro.
L’avrebbero davvero migliorato? Sarebbero riusciti a dargli un gusto più buono? Delizioso, magari? E lei avrebbe dovuto mangiarne a sazietà, finché la sensazione di pienezza le avesse fatto provare un incontrollabile desiderio di fondersi?
Aveva paura di quel desiderio che nasceva spontaneamente. Era diverso, quando derivava dall’eccitante stimolo combinato del suo sinistride e del suo destride. Il suo sorgere spontaneo, invece, significava che lei sarebbe stata matura per dare inizio a una piccola mediana. E… e lei non voleva farlo!
Per molto tempo si era rifiutata di ammettere la verità anche con se stessa: non voleva dare inizio a un’Emotiva! Era perché, dopo che tutti e tre i bambini fossero nati, sarebbe inevitabilmente giunta l’ora di trapassare, e lei non voleva trapassare! Ricordava il giorno in cui il suo Paterno se n’era andato per sempre e non voleva che succedesse la stessa cosa a lei! Per questo era così decisa.
Le altre Emotive non se ne preoccupavano perché erano troppo stupide per pensarci, ma lei era diversa. Lei era la strana Dua, la Emo-Sinistride. Era così che la chiamavano, no? E lei sarebbe stata diversa: finché non avessero avuto il terzo bambino, non sarebbe trapassata ma avrebbe continuato a vivere.
Perciò, lei non avrebbe avuto quel terzo bambino. Mai! Mai !
Ma come avrebbe fatto a scansare il pericolo? Come poteva impedire a Odeen di scoprire la verità? E, se l’avesse scoperta, cos’avrebbe fatto Odeen?
Odeen aspettava che fosse Tritt a fare qualcosa. Era ragionevolmente sicuro che non sarebbe salito in superficie a cercare Dua, perché in questo caso avrebbe dovuto lasciare i bambini, e per Tritt era sempre difficile farlo. Tritt, dal canto suo, aspettò in silenzio per un po’, poi se ne andò in direzione della stanza dei bambini.
Odeen fu quasi contento che Tritt se ne andasse. Naturalmente non perché Tritt si era arrabbiato, ritraendosi in se stesso, così che il contatto interpersonale si era indebolito e tra loro era sorta una barriera di scontento. No, per questo Odeen era molto triste: era come se l’impulso vitale si fosse attenuato.
A volte si chiedeva se anche Tritt sentisse allo stesso modo… No, quello era un pensiero ingiusto: Tritt dedicava tutto se stesso ai bambini.
E in quanto a Dua, chi conosceva i suoi sentimenti? Chi mai poteva dire che cosa provasse un’Emotiva? Erano talmente diverse che al loro confronto sinistridi e destridi potevano considerarsi uguali in tutto, tranne che nella mente. Ma anche tenendo conto dell’imprevedibile comportamento delle Emotive, chi poteva dire che cosa Dua — specialmente Dua — provasse?
Era questo il motivo per il quale era quasi contento quando Tritt se ne andò: perché il problema in ballo era Dua. Il ritardo nel dare inizio al terzo bambino era davvero eccessivo, e Dua era sempre più strana e ribelle. Anche lui cominciava a provare una singolare irrequietezza, che non riusciva a definire… Era meglio che ne parlasse con Losten.
Perciò si diresse verso il basso, alle caverne dei Duri, affrettando i propri movimenti fino a farli diventare uno scorrere continuo, che però non era poco dignitoso come l’ondeggiamento veloce delle Emotive, tutto curve e stranamente eccitante, e nemmeno ridicolo come il pesante e inerte spostamento dei Paterni…
(Rivide d’un tratto, col pensiero, l’immagine di Tritt che arrancava ponderoso all’inseguimento del loro piccolo Razionale, il quale alla sua età era ovviamente poco meno sgusciante di un’Emotiva, e l’immagine di Dua costretta a bloccare il bambino per riportarlo indietro. E poi Tritt che chiocciava, indeciso se scrollare ben bene lo scopo della sua vita, oppure avvolgerlo con tutta la sua sostanza. Fin dall’inizio Tritt poteva rarefarsi per i bambini con più efficacia che per lui, Odeen, e quando lui se n’era lagnato Tritt gli aveva risposto, serio, perché naturalmente era privo d’umorismo quando si trattava di quella questione: “Ah, ma i bambini ne hanno più bisogno!”.)
Odeen si compiaceva un po’ egoisticamente del suo scorrere, ritenendolo aggraziato e imponente insieme. Ne aveva parlato una volta a Losten — al quale, nella sua qualità di maestro Duro, lui raccontava tutto — e Losten aveva detto: “Ma non credi che un’Emotiva o un Paterno provino la stessa cosa per il loro modo di scorrere? Se ognuno di voi pensa e agisce in modo diverso, perché non dovrebbe essere compiaciuto in modo diverso? La triade non esclude l’individualità, lo sai”.
Odeen non era convinto di capire del tutto il concetto di individualità. Significava l’essere soli? Un Duro era solo, naturalmente. Loro non avevano triadi… e come facevano a sopportarlo?
Era ancora molto giovane quando si era posto quella domanda. I suoi rapporti con i Duri erano agli inizi e all’improvviso si era reso conto di dubitare che essi avessero le triadi. Era una storia che i Morbidi raccontavano, ma quanto di vero c’era in quella storia? Odeen vi aveva riflettuto sopra e aveva deciso che fosse necessario chiederlo, e non accettarla come materia di fede.
Aveva chiesto, quindi: — Voi siete un sinistride o un destride, signore? — (In seguito pulsava al semplice ricordo di quella domanda. Com’era stato ingenuo a farla! Ed era stato di scarsa consolazione sapere che tutti i Razionali la ponevano a uno dei Duri, presto o tardi… di solito presto.)
Losten aveva risposto, calmo: — Né l’uno né l’altro, piccolo sinistride. Tra i Duri non ci sono né destridi né sinistridi.
— E nemmeno medi… Emotive?
— Mediane? — Il Duro aveva modificato la forma della sua zona sensoria fissa in un modo che alla fine Odeen aveva imparato ad associare a divertimento o a piacere. — No. Nemmeno mediane. Solo Duri di uno stesso genere.
Odeen era stato costretto a chiedere ancora. La domanda gli era uscita involontariamente, quasi contro il suo desiderio. — Ma come fate a sopportarlo?
— È diverso per noi, piccolo sinistride. E ci siamo abituati.
Ci si sarebbe mai potuto abituare lui? Prima c’era stata la triade del Paterno, che aveva colmato la sua vita per molto, molto tempo, e poi la certezza che in un momento non troppo lontano avrebbe lui stesso formato una sua triade. Che cos’era mai la vita senza di essa? Ci aveva pensato molto, di quando in quando. Lui pensava sempre molto, su tutti i problemi: era fatto così. E talvolta era riuscito ad afferrare una parte del significato di quella situazione. Voleva dire che i Duri avevano solo loro stessi: né fratello sinistride, né fratello destride, né sorella mediana, né fusione, né bambini, né Paterni. I Duri possedevano solo la mente, solo la ricerca pura di tutto ciò che esisteva nell’universo. Forse gli bastava. Crescendo, Odeen aveva capito meglio, a sprazzi, il significato delle gioie della ricerca pura. Erano quasi sufficienti — quasi — e poi gli tornavano in mente Tritt e Dua, e decideva che, in confronto a loro, anche tutto l’universo non era per niente sufficiente.
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